Sono le tre e mezza. È ora di partire.
L’auto scivola sull’asfalto in silenzio. Io non lo spezzo con le parole.
Come sarà la ragazza? Sarà simpatica? Chissà. Sarà loquace o ci guarderemo senza sapere cosa dirci? Di cosa avrà bisogno?
Mille erano gli interrogativi che mi facevano, mio malgrado, compagnia. Le incertezze precedono sempre ogni impresa importante. L’incontro con lei sarebbe stato significativo. Non capita tutti i giorni, infatti, di accogliere nella propria scuola, nella propria casa, nella propria vita qualcuno che non si conosce. Noi, spesso abituati a vivere vite che si sfiorano l’un l’altra ma mai si compenetrano, fatichiamo a condividere le nostre giornate con qualcun altro. Tale fatica si accentua se questo “qualcuno” è sconosciuto, se non sappiamo quanto assorbirà dal nostro limitato mondo. Temiamo che la nostra libertà venga limitata, che le nostre abitudini debbano cambiare. Tali paure ci frenano e ci impediscono di fare esperienza di un incontro che, invece, volge il nostro sguardo verso orizzonti più ampi e lontani.
Quando ho finalmente visto Jasmine, la ragazza che avrei ospitato, i miei dubbi si sono dissolti in una certezza: avrei vissuto un’esperienza che mi avrebbe insegnato il valore dell’ospitalità.
Ho vissuto ognuno dei sette giorni con lo stesso stupore provato da Jasmine e dagli altri ragazzi: dai loro occhi traspariva la meraviglia per piccoli dettagli che a noi sarebbero parsi insignificanti. Questo sentimento nasce dalla scoperta che una stessa terra, una stessa vita si possono strutturare in forme diverse, sempre nuove. È sufficiente spostarsi all’interno della stessa Europa per accorgersene. Si capisce, così, che ogni cultura è sempre relativa alla sua storia, che tutte sono diamante fuso con cristalli di senso, che nessuna brilla più di un’altra. La cultura che ci contraddistingue, così, diventa anch’essa relativa e disposta a confrontarsi con nuove percezioni della realtà.
È curioso pensare che da uno stimolo proprio della nostra cultura si possano snodare strade che portano a paesi lontani. Ogni discorso che io e Jasmine portavamo avanti, infatti, aveva sempre due volti: quello italiano e quello inglese.
La scoperta di una nuova parola italiana, per esempio, era sempre accompagnata dalla corrispettiva in inglese; la struttura di una chiesa cattolica da quella di una protestante; l’origine del carnevale da quello di Bonfire Night; la storia del ghetto di Venezia da quella di una donna ebrea, protagonista di un romanzo in lingua inglese.
Durante questo scambio, insomma, noi ragazzi non abbiamo soltanto reso manifesti dettagli della nostra cultura; al contrario, abbiamo avuto la possibilità di conoscere, attraverso la voce di chi li raccontava, quelli di una cultura diversa. Le occasioni per confrontarci sono state molteplici, sempre diverse.
Il venerdì, dopo un mattino trascorso a scuola, è stato il giorno dedicato alla nostra città: Pordenone. Ognuno di noi studenti italiani ha presentato un luogo diverso: il convento di San Francesco, il teatro “Verdi”, il duomo di San Marco, la biblioteca civica, il palazzo della Provincia e la chiesa di San Giorgio.
La visita è proseguita ad Oderzo, nella famosa gelateria di Ca’Lozzio. Qui il noto gelataio Giuseppe Tonolo, vincitore di concorsi nazionali ed internazionali, ci ha offerto una dimostrazione di intaglio artistico di pere, mele, fragole e di ogni materiale decorativo per il gelato. Questo abile creatore di “emozioni di frutta” – definizione che lui dà dei suoi gelati – ha intagliato anche una grande zucca, plasmandola secondo la forma di una rosa.
Terminata la dimostrazione, siamo tornati a casa ricordando le parole di Giuseppe: “Si è più felici quando si rendono felici gli altri. La vita, infatti, è uno specchio che ti sorride se lo guardi sorridendo.”
Il giorno successivo, sabato, è stato destinato a Venezia, meta irrinunciabile per chiunque voglia apprezzare il fascino di una città diversa da tutte le altre. La calli strette e buie, i campi circolari e luminosi, il vivace mercato del pesce, i riflessi dell’acqua sono stati lo sfondo di incantevoli monumenti: la piazza ed il duomo di San Marco e palazzo Ducale.
La giornata di domenica è stata programmata secondo il piacere di ogni famiglia. Ognuna, infatti, ha previsto una meta diversa: occasioni per divertirsi sulla pista di pattinaggio o con il carnevale oppure per tuffarsi nell’arte con la visita alla Cappella degli Scrovegni.
Il lunedì è stato il giorno in cui abbiamo visitato una scuola originale: quella del mosaico di Spilimbergo. Osservando il lavoro paziente e minuzioso degli studenti, abbiamo potuto capire che ogni mosaico è frutto di un lungo lavoro sull’opera ma, anche, su sé stessi: dietro ogni tessera si cela un valore che deve essere considerato per non correre il rischio di togliere significato al mosaico.
Nel pomeriggio di lunedì i ragazzi inglesi hanno desiderato recarsi autonomamente a Venezia, per assaporarla con la luce dorata del sole,concessosi a noi con qualche resistenza nel corso dei sette giorni.
Il martedì ha visto l’intero gruppo dirigersi ad Aquileia e Trieste.
Il mattino è trascorso nell’antica città romana, all’interno della grande basilica. Ogni sua pietra, ogni suo mosaico celano significati che noi siamo stati spronati a scoprire, grazie ad un questionario elaborato a proposito.
Nel pomeriggio, invece, abbiamo visitato il castello di Miramare, residenza degli Asburgo.
Dal lusso del castello, poi, siamo passati alle scarne linee della risiera di San Sabba.
Credo che la visita alla risiera abbia caratterizzato il momento emotivamente più intenso vissuto da tutti noi: non abbiamo parlato, cosicché il silenzio fosse l’unico suono udibile. L’unico che non prevedesse parole incapaci di trovare una razionale spiegazione ad una tragedia come quella vissuta tra le mura della risiera.
Visite a questi luoghi non lasciano mai indifferenti ma, anzi, provocano le coscienze nel profondo e impongono il dovere di ricordare. Le ceneri di molte persone, gli abiti, i documenti ed i testi vaghi delle condanne attestano con cruda sincerità il villipendio della vita umana perpetrato con il tacito consenso di molti. Anche i disegni carichi di angoscia e tormento sono urli strazianti appesi alle pareti grigie di stanze grandi, troppo grandi. Il senso di oppressione traspira da ogni oggetto della risiera e fa provare, seppur in misura insignificante rispetto a ciò che hanno provato i prigionieri, la sensazione vaga della morte.
Terminata la visita, il gesto di rientrare nel pullman è parso liberatorio. Eravamo stanchi, ma sapevamo che la nostra visita non era ancora terminata. Ci aspettava, infatti, il centro di Trieste.
La città non si era ancora presentata, fino a quel momento, nel suo aspetto peculiare: la Bora. Scesi da pullman, siamo stati sorpresi dal forte vento che ci ha condotti lungo le vie del centro cittadino e ci ha fatti sentire statuine inermi di fronte alla forza della natura. Rientrati definitivamente in pullman, abbiamo riso per quest’esperienza singolare.
Il mercoledì è stato l’ultimo giorno di permanenza degli studenti inglesi in Italia. Hanno passato la mattinata in classe con noi e poi, assieme, ci siamo diretti verso la cioccolateria “Peratoner”. Chi non avrebbe apprezzato una visita tanto golosa? Dopo aver assaporato una gustosa cioccolata calda, pasticcini e cioccolatini, gli studenti inglesi si sono sbizzarriti nell’acquisto di prelibatezze.
Nel pomeriggio ci siamo diretti verso le sorgenti del Gorgazzo. In tal modo nemmeno il paesaggio della zona pedemontana è rimasto escluso dalle visite. Dopo un’ultima sosta a Sacile, i ragazzi sono partiti per tornare a casa.
La malinconia che solitamente caratterizza i saluti finali è stata mitigata da frasi che sottintendevano la possibilità di rivedersi: <<Ci vediamo presto!>>, <<See you soon!>>. Non abbiamo salutato i nostri compagni definitivamente, infatti: in marzo andremo a Cambridge, frequenteremo la loro scuola, conosceremo le loro famiglie, vivremo le loro giornate. Non è possibile, insomma, scrivere “The end” a questa avventura. Forse, però, non sarà mai possibile scriverlo.
Quando si condividono con qualcuno la proprie giornate anziché ritagli di tempo, infatti, si dà la possibilità a due vite di intrecciarsi e di intessere, così, una nuova trama, che si arricchisce di dettagli, colori, sfumature: tanti più fili intrecceremo alle nostre vite, tanto più belle diventeranno.
Non sarà possibile, poi, sciogliere i legami: i fili saranno così strettamente intrecciati che avranno prodotto un elemento nuovo, che non sarà più “mio” o “tuo”, ma “nostro”.
Credo che oggi si avverta la necessità di intrecciare vite individuali a quelle degli altri, di concedere a queste vite di completarsi a vicenda, perché un’esistenza che prevede solo l’ “io” muore inesorabilmente. L’incontro autentico, invece, genera vita, perché riaccende l’entusiasmo e la curiosità di scoprire mondi – esteriori ed interiori – sempre nuovi.
Esperienze come questo scambio linguistico e culturale sono occasioni che permettono tale incontro. Ogni occasione, però, deve arricchirsi della volontà di ognuno di scoprire, di conoscere, di crescere: l’occasione non fornisce conoscenze, ma possibilità di conoscenza. Ogni persona, infatti, trae da un’esperienza tanto quanto è disposta ad investirci.
Il comportamento di chi non ritiene necessario volgere lo sguardo verso culture diverse dalla propria è simile a quello di un girasole, il quale segue incessantemente solo il movimento del sole. Quando quest’ultimo tramonta, il bel fiore pare piegarsi su sé stesso. Se questo stesso girasole, però, per caso, volgesse lo sguardo verso il Nord, verso il perenne buio, si meraviglierebbe davanti ad un infinito cielo scuro, illuminato da milioni di piccole stelle e si chiederebbe come mai non si fosse voltato prima verso quel cielo che, nonostante lui non lo avesse mai visto, è sempre esistito.
Per stupirci ancora, per meravigliarci è necessario che non ci stanchiamo mai di guardare attorno a noi, di gioire per ciò che ci era parso scontato: gli occhi di persone che guardano le cose in modo diverso ci possono aiutare a fare questo. Lo scambio linguistico, allora, permettendo l’incontro con chi sfiora profili diversi dell’esistenza, diventa, ancor prima che una possibilità per apprendere una lingua, un’esperienza di ospitalità, un’esperienza di vita.
Lucia Maccan, 3Cp