Heaney, la sfera magica della poesia

Seamus HeaneyProvo a fissare in un’unica immagine la vicenda poetica di Seamus Heaney e mi vengono in mente alcune parole di Josif Brodskij che risultano davvero perfette. «L’atto di conferire a un luogo lo status di realtà lirica», sosteneva Brodskij, «comporta più immaginazione e più generosità che non l’atto di scoprire e sfruttare qualcosa che era già creato». È vero infatti che d’immaginazione e di generosità Heaney ne ha profuse davvero tante. Nato in una famiglia di contadini cattolici a Mossbawn, una manciata di poche case sprofondata tra campi e antiche torbiere nella contea nordirlandese di Derry, Heaney è stato anzitutto questo: un poeta del luogo. Il che significa che ha avuto la capacità di fare dei propri territori elettivi una sorta di sfera magica o di costellazione, attraverso cui interrogare nella sua interezza il destino dell’uomo. «Ora puoi decifrare ogni paesaggio/ con questo: cose fondate sulla propria forma e basta,/ acqua e terra ai loro estremi» (la traduzione, qui e a seguire, è di Roberto Mussapi). A tutti gli effetti, la poesia del luogo coincide con un’antropologia. Forse perché fin da bambino ha vissuto sulla propria pelle la ferita delle divisioni, degli scontri civili, dei reticolati che dividevano un campo dall’altro, Heaney si è via via definito come un poeta straordinariamente inclusivo. Nel luogo della sua poesia ha provato a farci stare dentro tutto: mito, storia, tradizioni, immaginazione, responsabilità verso il presente, istanze personali, dimensione civile, riflessioni sulla lingua e la letteratura, senso di realtà, autocoscienza dei propri procedimenti espressivi. Ma non si tratta di una troppo facile conciliazione, quanto piuttosto dell’investimento sul luogo-poesia come possibilità di portare e sopportare differenze e contraddizioni. Una realtà fatta di diversità e paradossi, dunque, ma fermati nell’evidenza della rappresentazione, conosciuti e, proprio per questo, almeno in qualche misura governati. Continua a leggere