Leopardi e Majorana: dialogo improbabile tra un fisico e un poeta

IMG_1197È il primo evento dell’edizione 2013 di Pordenonelegge, mercoledì 18 settembre, Loggia del Municipio, ore 9.00, a cura degli studenti del Liceo Leopardi-Majorana, in collaborazione con la Compagnia teatrale Punto e… a Capo, con i docenti Susanna Corelli e Massimiliano Merisi, il coordinamento di Silvia Corelli e Carla Manzon e la partecipazione straordinaria di Alberto Casadei. L’evento, destinato a durare sino alle 12.30, si propone di scoprire, attraverso delle letture, le figure del poeta Giacomo Leopardi e del fisico Ettore Majorana, per quanto sia possibile nel pur lungo tempo per cui si estende.
Parlando del Recanatese, non si poteva non iniziare dal più celebre dei Piccoli Idilli, da quei quindici endecasillabi che racchiudono la visione, come dice il titolo, dell’Infinito. È il canto del poeta rinchiuso nel paterno ostello, che ama quell’ermo colle e quella siepe perché, sbarrandogli il mondo esterno e la realtà, lo lasciano spaziare colla fantasia, senza limiti, immaginando

“[…] interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quïete”.

Le cinque letture successive sono dedicate a Ettore Majorana, il geniale fisico siciliano misteriosamente scomparso nella notte del 25 marzo 1938. Sono perlopiù tratte dall’opera La scomparsa di Majorana, scritta da Leonardo Sciascia nel 1973. C’è, in particolare, una frase che mette in collegamento i due personaggi in oggetto, che pure sembrano tanto distanti: “La scienza, come la poesia, si sa che sta ad un passo dalla follia”. Questi passi inquadrano meglio la figura dello scienziato, a partire dalla descrizione fisica di un uomo con “un’andatura timida, quasi incerta […] gote lievemente scavate […] occhi vivacissimi e scintillanti”. Emerge che Majorana non ebbe mai buoni rapporti con Fermi e i ragazzi di via Panisperna, anzi nutriva nei loro confronti “senso di estraneità […] diffidenza […] a volte […] antagonismo”. Si parla di un paio di episodî intervenuti tra Majorana e Fermi. Una volta Majorana entrò di corsa nell’ufficio di Fermi, gli chiese di vedere la tabella che aveva approntato per risolvere una complicata equazione, estrasse di tasca un fogliolino scritto in fretta e furia e, vista la coincidenza, stabilì che la tabella di fermi andava bene.  Si ricorda poi che mentre Fermi faceva i calcoli con un regolo calcolatore, Majorana nello stesso tempo li eseguiva a memoria. “Fermi e i ragazzi- scrive Sciascia- cercavano […] lui [Majorana] semplicemente trovava”. Attorno alla scomparsa di Majorana si mossero poi false speranze dei familiari, sollecitazioni e interessi dalle alte sfere, la negligenza- insinua l’autore- della polizia che condusse le indagini, una girandola senza fine d’ipotesi, ma quello che oggi ci rimane di lui, avvolto nel mistero, è il suo genio.
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Dieci (e più) domande a Carla Manzon

Carla ManzonSiamo nel chiostro della biblioteca. I raggi smorzati del pomeriggio e un po’ di brezza danno sollievo a studenti trasognati che un po’ sfogliano appunti, un po’ parlano già del mare. C’è un’atmosfera flemmatica, serena. Devo lottare con il registratore del cellulare e devo chiedere a Carla di ripetermi la prima risposta. Un ampio sorriso, però, mi lascia intendere che non c’è fretta.

Chi o che cosa ti ha fatto capire di voler fare l’attrice?

Non c’è stato un qualcosa che mi ha fatto decidere di voler fare l’attrice. Ho cominciato per sbaglio, per caso, perché un giorno ho visto una locandina Pro Pordenone con su scritto “corso di teatro” – parlo del 1975, troppi anni fa –. Arrivata a casa, da buona adolescente poco inquieta, non avevo voglia di fare niente e allora ho detto: “Boh, provo”. Mia madre era d’accordo, così quella sera sono capitata in questa sede dove c’erano dei matti che facevano versi strani, una tipa faceva il pappagallo su una sedia… Ho pensato: “Mamma mia, dove sono capitata!”. Tornata a casa, ho giurato a mia madre che non ci sarei più andata, lei però ha insistito. La seconda volta c’è stato il colpo di fulmine e da lì non ho più voluto smettere di fare teatro: è stato come trovare l’uomo della mia vita.

Controllo che il cellulare non mi abbia tradita di nuovo. No, per fortuna. Seconda domanda.

Ispirazione: dove la trai, da chi, e quanto è importante nel tuo mestiere?

L’ispirazione? – ci pensa un momento ma poi la voce è sicura – È importantissima. Nel lavoro dell’attore è una specie di folgorazione in cui vedi il personaggio come un ologramma che si muove davanti a te – una specie di spirito shakespeariano, un’anima. Oppure nasce dallo studio approfondito dell’autore e del periodo storico. In quel caso è proprio un tarlo più che uno studio: un tormento, un lavorio continuo della mente e anche del corpo – qui sorride – A me è capitato tante volte di seguire delle persone per strada che secondo me avevano le caratteristiche giuste per interpretare un personaggio. Eh sì, tante volte arriva anche dall’osservazione della gente. È un lato affascinante del nostro lavoro.

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La poesia 2.0 in cerca di pubblico

Un festival letterario decide di lanciare un censimento dei poeti italiani fra i 20 e i 40 anni. Ma per farlo deve prima rispondere a una domanda: che cosa si intende per poeta, quando complice il web i versi sono dovunque e, come ci fa osservare l’editore Nicola Crocetti, se si digita la parola «poesia» le segnalazioni possono essere 108 milioni su Yahoo e 72 milioni su Google? Bisogna scegliere. Quelli di Pordenonelegge hanno così stabilito un criterio in apparenza complicato, basato su una specie di catena di Sant’Antonio: sono partiti da una ventina di giovani poeti ben riconoscibili, chiedendo di indicarne altri e via via arrivando per incroci ai primi 284 autori.
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Votate Pordenonelegge al Festival of Festivals Awards 2012

Il poster, lo spot e il sito web di pordenonelegge sono in finale per i Festival of Festivals Awards 2012!

Cliccando qui: http://www.festivaloffestivals.org/sections/default
votate (e fate votare…) nelle sezioni “Best poster”, “Best web site” e “Best promo”.

C’è tempo fino al 17 ottobre…

Grazie!

Recalcati: professore di desideri

«Noi non possediamo il desiderio, ma è lui che ci possiede».
Con questa affermazione lo psicoanalista Massimo Recalcati, in un recente intervento a Pordenone-legge, ha cercato di spiegarci che non possiamo imporci al desiderio, perché esso è una forza che ci spinge verso molte direzioni.
Il desiderio non è né giusto né sbagliato perché «il desiderio non segue la morale». Il bene del desiderio coincide con la sua realizzazione, anche se, talvolta, può entrare in conflitto con i desideri altrui.Questo atteggiamento potrebbe essere visto come un atto di egoismo. Recalcati afferma invece che «l’egoismo è imporre agli altri il proprio desiderio».
Il compito dello psicoanalista è quello di trovare la vocazione di ognuno: «Se una persona segue la vocazione, realizza la propria beatitudine, al contrario c’è la malattia»
Inoltre, «il desiderio umano si soddisfa quando si è desiderati». Ma ciò non è così semplice, poiché uomini e donne hanno visioni diverse dei concetti di amore e di godimento: gli uomini hanno una visione feticistica, perché desiderano il “pezzo” (ovvero una parte del corpo). Le donne, al contrario, non vogliono essere parcellizzate. Infatti, cercano sicurezza e continue conferme: loro non sono innamorate del “pezzo”, ma dell’amore che ricevono.
Inoltre, a rendere più complesso il rapporto tra uomo e donna, negli ultimi decenni si è verificata un’importante trasformazione. Per Recalcati, infatti: «Con l’emancipazione femminile, c’è un’assimilazione della visione maschile da parte della donna».
Tralasciando questi casi particolari, c’è quindi una disimmetria dei godimenti tra i due generi, quello maschile e quello femminile. Quando questa si supera e «quando l’oggetto diventa insostituibile c’è amore».
Il desiderio è comunque difficile da soddisfare. Infatti, «l’homo felix è eternamente insoddisfatto».
A questo proposito, Lucrezio scrive: «L’uomo è come un vaso forato, è un buco che non può essere colmato perché fatto della stessa stoffa di cui è fatto l’uomo».
Anche se il desiderio è un niente, è perennemente dentro di noi perché questa presenza costituisce “l’Io stesso”. Per questo, anche se non ne siamo consapevoli, l’assenza dell’oggetto ci porta ad uno stato febbrile e di sofferenza.
Dunque, il desiderio per l’uomo è come la luce per una falena: lo attira fino a “bruciarlo”.

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Le frontiere delle neuroscienze – Alberto Oliverio a Pordenonelegge

Il cervello è la struttura più complessa dell’Universo, composta da miliardi di neuroni e da una fittissima rete di connessione. Da sempre ha affascinato l’uomo e per questo nel corso della storia è stato oggetto di innumerevoli speculazioni filosofiche e scientifiche. Ma quanto sappiamo realmente di esso? Ad ogni area del cervello corrisponde una specifica funzione? Quanti tipi di memoria conosciamo? Quali sono i confini delle mente umana?
Nel diciannovesimo secolo, agli albori della neuroscienza, gli studi sembravano portare a una forte localizzazione delle nostre funzioni in specifiche aree del cervello. Si pensava che le capacità di muoversi, decidere, emozionarsi, ricordare fossero legate a precise e specializzate aree indipendenti tra di loro e che fosse possibile ottenere una mappa degli emisferi cerebrali. In realtà questa convinzione si rivelò solo parzialmente esatta poiché forniva un’immagine troppo semplificata del cervello. Ricerche più approfondite hanno dimostrato che quest’organo non può essere pensato come una semplice collezione di funzioni separate ma piuttosto un insieme di settori interdipendenti. Il processo evolutivo ha infatti permesso che un’ area specializzata fosse integrata da altre: in questo modo se questa dovesse cessare di funzionare, le altre supplirebbero a questa lacuna. Continua a leggere