Ciò che resta di un concorso letterario (Elda Picari)

Elda PicariNon sono il tipo di ragazza forte che si rialza dopo ogni caduta, che trova ogni volta l’energia per riemergere. Se cado rimango tanto tempo per terra, accumulo sconfitte su sconfitte e ho paura di riprovarci, ho paura perché sento che potrei rimanere soffocata sotto la montagna di delusioni che si verrebbe a creare. Sono quel tipo di ragazza che ha bisogno degli altri per andare avanti. Eppure odio quando gli altri mi affiancano in questi momenti, odio quando mi guardano mentre piango e cercano di consolarmi. Odio quando cercano di Ciò che resta di un concorso letterario (parlarmi quando ancora sto visibilmente soffrendo. Non possono semplicemente lasciarmi da sola con i miei pensieri, a elaborare il fatto di essere caduta? No, la gente deve parlare. Sempre. E chissenefrega se ti fanno ancora più male, loro devono parlare, perché devono fare qualcosa. A volte basterebbe solo che stessero zitti. Il silenzio è la soluzione migliore di fronte ad una persona che sta piangendo. Poi si può parlare. Ma solo dopo.
Il silenzio o una mano sulla spalla.
Io non volevo piangere: volevo essere quel tipo di persona che di fronte ad una sconfitta alza lo sguardo fiera e consapevole che le sconfitte forgiano il carattere. Ma le lacrime sono scese da sole, nel momento in cui mio fratello si è girato ed ho incrociato il suo sguardo. Mi ha fatto sedere su una sedia che si era appena liberata, si è messo dietro di me e mi ha messo una mano su una spalla e non ha detto una parola. Una donna ha iniziato a fissarmi, un uomo mi ha lanciato uno sguardo triste, chi andava via mi osservava per un attimo e poi proseguiva per la sua strada. Quelle persone stavano violando il mio dolore. Forse non è la sofferenza più grande di cui si possa scrivere, ma per me era importante ed era privata della sua intimità. Avrei voluto essere in una stanza da sola, ma ero in mezzo ad un mucchio di gente e la mia famiglia era lì. Cosa dire? Niente. Mio padre era in piedi, appoggiato al muro insieme a mio zio. Mi alzai, feci segno a mia madre e a mio fratello di alzarci, uscimmo  dalla  stanza,  seguiti  dagli  altri  due  e  andammo  fuori  all’aria  aperta.  Il  freddo  era insopportabile, ma mi sembrava una punizione giusta. In quel momento mi sentivo colpevole di avere creduto in qualcosa, di essermi illusa e di aver pianto come una stupida; e allora pensavo fosse giusto che soffrissi un po’. Mio padre si accorse che avevo indosso solo la maglietta nera con pizzo e mi ordinò di mettere su la felpa che avevo riposto nella borsa quando ero andata in bagno. Volevo sembrare un po’ carina quando forse mi avrebbero premiato. Nessuno disse niente del concorso e il mio era stato solo un disagio momentaneo, o forse no. Forse era ancora dentro di me. Discussero di cose futili e io mi limitai ad annuire e parlai solo con mio fratello, anche se di cose altrettante futili. I discorsi seri non avevo voglia di farli.
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