Dove ti piacerebbe vivere?
A Pordenone mi trovo bene, è una città che ti dà tranquillità, con tutti i rovesci della medaglia che vuoi. Ma a volte esco di qua alle due di notte, giro per la città anche per un’ora, senza problemi. Quindi la città ha anche dei vantaggi. Pordenone è anche un movimento culturale abbastanza interessante, anche per quello che vediamo adesso (giornate di Pordenonelegge, ndr).
Non tanto per quanto riguarda i lettori, ma per gli scrittori. Non ci sono mai stati così tanti scrittori come in questo momento (che può essere un bene o un male), la città è molto diversa rispetto a 20 anni fa.
Poi ci sono i posti di cui ti innamori, ma se ci andassi a vivere forse non sarebbe lo stesso. Ad esempio c’è un villaggio sopra Pesaro, a Casteldimezzo, affacciato sul mare, in mezzo alle colline, nella quiete totale…forse ci andrei da pensionato.
Secondo me Roma è la città più bella del mondo, per storia, per poesia, credo non abbia confronti. Però l’ho vista solo in agosto, e quindi non so come sia la vita durante l’anno. Da quello che dicono sembra che il resto dell’anno sia impraticabile. Non mi sposterei là però, ci passerei soltanto dei periodi.
Mi piacerebbe fare il libraio in Francia, è un altro mondo. Guardando l’Italia, io mi sto convincendo sempre di più che sia fondamentale per i ragazzi la storia. Dovremmo ripartire dalla spedizione dei Mille, dal Risorgimento, si capirebbe come sono andate le cose davvero.
La conclusione è che noi italiani non ne usciamo da questa situazione. Subito dopo ti dico: bisogna continuare a resistere, a lottare. Però è dura. A uno studente direi: vattene da qui.
A mio figlio che è Parigi dico: resta là. Là vedi la gente nei giardini, in metropolitana col libro in mano. Conosco librai “militanti” a Parigi. Certo, è una città grande, ma Roma è anche più grande come centro. Però non è pensabile fare il libraio militante qui.
Il tuo ideale di felicità terrena?
Penso che uno deve avere una missione, un ideale per cui combattere. Certo, non son per l’apatia, per la quiete. Uno deve lavorare, avere il senso dell’abnegazione, del dovere.
Per quali errori hai più indulgenza?
Quello in buona fede, cioè automaticamente quello per cui ci si ravvede. Altrimenti sono molto pesante, non transigo.
Il tuo personaggio storico preferito?
Non c’è, non credo agli eroi, ammiro solamente certe persone. Credo nella microstoria, nella storia fatta dalla gente. Poi certo ci sono delle persone che fanno da catalizzatori, però io credo davvero che una persona da sola non cambia il corso degli eventi. Ad esempio Napoleone si è trovato in un momento storico favorevole. E poi mi chiedo: ma se non fosse comparsa quella figura, quel fenomeno, sarebbe stato meglio o peggio? Per il Sud, la spedizione dei Mille è stata qualcosa in meglio in peggio? Ho una grande ammirazione di Garibaldi come personaggio, però non ho questa tendenza a vederli come eroi. Se vuoi, il personaggio a cui mi sento particolarmente vicino è Pasolini, che considero l’ultima genialità italiana. Dopo di lui c’è il vuoto. Forse aveva un po’ di sacralità della cultura, però era contraddittorio, bisogna prenderlo nella sua interezza. Dunque, vita, poesia, letteratura: sempre contro il potere. In questo senso è stato veramente notevole. Ha vissuto 55 anni e quello che è riuscito a fare in questo arco di tempo è straordinario, senza mai probabilmente raggiungere il capolavoro, ma è l’insieme che è un capolavoro.
Un altra figura importante è quella di Giulio Einaudi, che ha fatto una cosa unica al mondo, cioè formare una casa editrice, mettendo intorno al tavolo tutte le intelligenze di quel momento. Da lì sono passati tutti, ricordiamo Bompiani, Longanesi, Calasso che ha fondato l’Adelphi, Bollati che ha ripreso in mano la Boringhieri, sono usciti tutti da lì.