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Il questionario di Proust: Massimiliano Merisi
Dove ti piacerebbe vivere?
Nell’incertezza tra Vienna (per la musica) e Lisbona (per la luce), tutto sommato Pordenone va benissimo (almeno fino alla Pensione). E poi si sa che Romae Tibur amem, ventosus Tibure Romam…
Il tuo ideale di felicità terrena?
Idealmente, in un giusto mezzo tra il bios theoretikòs e gli eroici furori, ma devo eccepire che, quoad nos, cioè nella realtà del limite che ci contraddistingue, l’espressione è una contraddizione in termini, un ossimoro bello e buono: il Paradiso Terrestre è per sempre perduto e chi ha cercato di riconquistarlo ha sempre finito per generare l’inferno. Felicità, a costo di essere banali, è accettare “laicamente” la propria inevitabile finitezza, aperti a una Trascendenza donata. In questo classicità e cristianesimo hanno un insegnamento solo.
Per quali errori hai più indulgenza?
Per quelli di chi se ne pente dopo averli commessi.
Qual è il tuo personaggio storico preferito?
Se, come dice il Filosofo, la poesia presenta le cose come avrebbero dovuto essere e la storia come esse sono effettivamente state, direi il personaggio che nella realtà storica del Seicento potrebbe aver coinciso con Lucia Mondella.
I tuoi pittori preferiti?
Una lunga schiera di un periodo breve (1400-1600), ma sintetizzo con Raffaello e Caravaggio.
I tuoi musicisti preferiti?
In effetti ne ho già cianciato da queste parti pomposamente qualche tempo fa. Per non ripetermi, voglio rendere qui nostalgicamente il giusto omaggio a Guccini, Conte, e al Fossati del doppio live 1993.
I tuoi registi cinematografici preferiti?
Da parte di chi non mette piede in una sala da almeno vent’anni, Clint Eastwood mi sembra una risposta di tutto rispetto.
Quale qualità prediligi in un uomo?
L’assenza di vana curiositas.
Quale qualità prediligi in una donna?
Il non voler essere a tutti i costi un uomo.
Quale sport pratichi?
Il calcio. Ma in maniera rigorosamente platonica.
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La playlist dei prof. – Massimiliano Merisi
Premessa.
In quella parte del libro de la mia memoria, dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice… Heavy Metal (ebbene sì), e da lì – pur con un’acribìa insolitamente selettiva ed esigente (soprattutto per i testi, che traducevo da autodidatta, io studente di Tedesco…), dati il genere e l’età – devo confessare di avere inizialmente attinto, durante le scuole medie, armi tanto rumorose quanto ingenue per cercare di difendermi dall’assalto inarginabile della pervasiva musica easy dei tardi anni Ottanta.
E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventudine pare alcuno parlare fabuloso, mi partirò da esse; e trapassando molte cose […] verrò a quelle parole le quali sono scritte ne la mia memoria sotto maggiori paragrafi.
Benché adesso ascolti abitualmente tutt’altro, non posso non aprire questa mia personale lista, con un doveroso omaggio nei confronti degli Autori sinfonici, romantici e decadenti (da Brahms a Schoenberg, per intenderci, attraverso Tciaikovskij o Chopin) di cui fino a non molti anni fa letteralmente mi beavo, con vera passione da rockettaro adolescente, procurandomene tutti i dischi, in molteplici esecuzioni (anche dieci della stessa composizione), e girando le capitali europee alla ricerca di loro concerti. Due nomi in particolare mi sembrano compendiare esaustivamente e in maniera mirabilmente fedele, le mie passioni di “quand’era in parte altr’uom da quel ch’i sono”: Strauss (Richard, quello di Monaco, non i due Giovanni viennesi!) e Gustav Mahler.
Decadente e ombroso questo, quanto solare e limpidamente classico l’altro. Fra le molte opere, sceglierei, non senza rimpianti per le troppe esclusioni, almeno i Vier letze Lieder di Strauss (in particolare l’ultimo, Im Abendrot, con quel meraviglioso accordo iniziale) e Der Abschied di Mahler, conclusivo malinconico quadro del tardivo Lied von der Erde, per contralto e grande orchestra.
In tempi più recenti – in perfetto anche se ritardato parallelismo coi miei gusti artistici in generale, e letterari in particolare – ho puntato a sfrondare ed essenzializzare, riducendo i volumi orchestrali e ripiegando convintamente verso epoche più classiche ed estetiche meno roboanti. Il nome d’obbligo di questa fase, ça va sans dire, è quello di Monteverdi, di cui, data la vastità della produzione e la sua invariabilmente eccelsa qualità, non saprei veramente cosa consigliare. Azzarderei forse, tra i superbi madrigali concertati, il fascinoso Lamento della ninfa (di cui peraltro – e la cosa non dovrebbe stupire poi più di tanto dato il gusto tutto italiano, e perenne, per la melodia – esiste pure una non disprezzabile cover in inglese di una cantante rock contemporanea).
Si noterà che ho proceduto riducendo costantemente la componente strumentale a vantaggio di quella vocale, pur presente fin dall’inizio, e, alla fine, ho deciso di farla sparire del tutto (con l’eccezione di un mistico velo di organo d’accompagnamento) attestandomi felicemente, anche per ragioni personali, sul Canto gregoriano, apprezzando con vivo piacere estetico e spirituale le bellezze della monodia e il realismo sovrano della modalità, rispetto alle successive evoluzioni della musica. Suggerire degli esempi in questo àmbito, più che azzardato, rischia di apparire grottesco ma, data la finalità didascalica di questa rubrica, sfiderò il ridicolo a beneficio dei miei venticinque followers, trascegliendo dal mare magnum almeno un paio di cosette sublimi. Per quanto riguarda il Proprio, dunque, propongo almeno il Graduale del giorno di Pasqua Haec dies (ma in forte concorrenza, abbiate pazienza, con il secondo Alleluja di Pentecoste), mentre per l’Ordinario, con sicura univocità, rimando alla Missa I, Lux et origo (del Tempo pasquale).
Ascoltatene almeno lo struggente Gloria, e provate a trattenere le lacrime…
Massimiliano Merisi
Ci gorgoglia nella strozza
“Braccia rubate all’agricoltura”; non dite di non aver mai pensato che Dante invece della penna avrebbe potuto impugnare una zappa. Spesso è noioso ascoltare in classe la Divina Commedia o riempire pagine di parafrasi e commenti.
Anche molti di noi, quando abbiamo deciso di partecipare alle letture, non impazzivano per Dante, ma spinti dalla curiosità ci siamo messi in gioco.
Quindi incominciano le prove.
Conosciamo gli altri ragazzi perlopiù di vista, incontrati forse lungo i corridoi; ma dopo scambi di opinioni e qualche chiacchiera si crea un clima amichevole a scherzoso.
Seguono il progetto Carla Manzon, attrice cosmopolita (come le piace definirsi), e Silvia Corelli, della compagnia teatrale “Punto e… a capo”.
Con il loro aiuto iniziamo a farci spazio tra enjambement, pause espressive e allitterazioni, ma malgrado queste difficoltà non ci lasciamo intimidire.
La lingua del poema poco a poco ci suona più familiare e la lettura scorre; prendono forma i personaggi: gli eterni Poeti e Filosofi del limbo fanno innamorare Carla al canto IV: dalle sue parole traspare tanta ammirazione da commuovere; richiama dal foglio le anime magne (“quelli è Omero poeta sovrano; / l’altro è Orazio satiro che vene; / Ovidio è ‘l terzo, e l’ultimo Lucano”).
Caratterizzare i personaggi è parte della lettura espressiva, senza dimenticare mai le emozioni e il contenuto. Un po’ di tecnica è fondamentale: Silvia in questo è abilissima. Con qualche trucchetto scioglie problemi che prima ci sembravano tanto intricati: per non essere piatti, basta variare la velocità; per chiarire il concetto, inserire brevi pause e accentare le parole-chiave; per passare da un dialogo, a un ricordo, a una descrizione bisogna modulare la voce.
Facciamo progressi: Dante diventa chiaro, ci scappa perfino qualche risata.
Ora che tra di noi ci conosciamo meglio le battute sulla Divina Commedia vengono naturali.
Sbocciano maliziosi fraintendimenti (uno fra tutti: “come l’uom si fa sego” Pg,XVII,58), speculazioni sulla natura degli STUPEFACENTI mezzi usati dal poeta, qualche parolaccia dantesca a condire le nostre prove.
Presto arriva Pordenonelegge e i nostri instancabili lettori sono pronti ad aprire la manifestazione. Dal 19 al 21 settembre ci siamo esibiti in Biblioteca Civica con Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Salire sul palco ci ha emozionati più del previsto, ma riusciamo a mantenere un clima allegro e di curiosità.
Alla maratona prendono parte ospiti e inaspettati lettori, tra cui i professori universitari Francesco Bruni e Alberto Casadei, il sindaco Claudio Pedrotti, il filosofo della scienza Stefano Moriggi, il sociologo inglese Robert Dunbar, che ha portato la sua versione dell’Inferno in Inglese.
Non dimentichiamo la partecipazione dei prof. Susanna Corelli e Massimiliano Merisi, e di tutti quelli che ci hanno ascoltato: senza di loro non saremmo mai riusciti a organizzare questo evento.
Possiamo dire di aver riscoperto il significato originario della Divina Commedia e di aver apprezzato per la prima volta la musicalità, la narrazione e le passioni che muovono il poeta.
Il giudizio di un’opera non dovrebbe essere alterato solo perché incide sul rendimento scolastico.
Speriamo di avervi con noi per uno dei prossimi classici!
Giulia Appi e Alberto Scala