Sulla condizione della donna (Marta Fedrigo e Sara Valentini)

images_5Come sosteneva Freud, circa il problema dell’enigma della femminilità, gli uomini hanno sempre tentato di risolverlo, senza però riuscirci; la risposta non può certo venire dalle donne, in quanto loro stesse ne rappresentano il problema.
Quello della donna è stato fin dall’antichità, e continua ad esserlo, un argomento al centro dell’attenzione di grandi letterati, pensatori e artisti. Il grande paradosso in tutto questo è rappresentato dal fatto che sia sempre stato l’uomo ad avanzare supposizioni e argomentazioni circa l’altro sesso, sostituendosi al protagonismo femminile. Questo avveniva perché erano rari i casi di donne erudite o artiste.
In una cultura, rivelatasi maschilista, è sempre stata consuetudine associare alla donna un ruolo di subordinazione rispetto all’uomo. Tale aspetto è dovuto anche grazie alla diffusione del messaggio cristiano, secondo cui la donna è irrimediabilmente segnata dal peccato originale, che non le è mai stato perdonato. Sempre secondo il credo cristiano, la donna è sempre stata considerata nel ruolo di madre e di moglie, come colei che cura il focolare domestico e attende alle faccende domestiche. Questo aspetto di subordinazione si manifesta anche in altre religioni, come in quella islamica, dove anzi il maschilismo è molto più accentuato. Basti pensare che la nascita di una bambina rappresenta una disgrazia per la famiglia, dal momento che il suo arrivo destabilizza il mantenimento dei beni all’interno del nucleo familiare, con la possibilità di una perdita totale del patrimonio. A tal proposito, Tahar Ben Jelloun nel suo libro “Creatura di sabbia” la storia descrive di una bambina, ultima di sette figlie femmine, educata come un maschio, dal momento che il padre era ostile a voler consegnare il patrimonio nelle mani dei fratelli. Questa decisione paterna da un lato permette alla bambina di vivere un’infanzia serena e di frequentare la scuola, sfuggendo alla condanna di analfabetismo che caratterizzava il sesso femminile in quella cultura, dall’altro la costringe a rinunciare alla sua identità.
Non è solo la religione a definire un ideale di donna, ma, al giorno d’oggi, i mass media stanno condizionando sempre di più l’idea che le donne hanno di loro stesse. I mezzi d’informazione approfittano delle insicurezze, debolezze e mancanza di autostima legate al genere femminile, “abusando dell’anima della donna, imbruttendola e sfruttandola”. Conseguenze di questo processo sono alcune trasformazioni connesse al corpo femminile. Tra queste la paura dell’invecchiare ne rappresenta un fattore determinante. L’effetto immediato è quello dell’utilizzo, spesso in maniera massiccia, di cure cosmetiche e frequenti visite chirurgiche; se questo può aiutare ad accrescere la propria autostima qualche ritocco è tollerabile, ma l’ossessione per la giovinezza conduce le donne a una condizione di ridicolezza.
Se a tale “disagio” la società associa la parola “bellezza”, preoccupandosi solo dell’apparire, si denuncia una forte carenza di attenzione all’essere della persona. 
Il criterio “magrezza = bellezza” oggi sta diventando una costante problematica per molte ragazze (ma non solo). Affrontando la problematica dei disturbi alimentari, come l’anoressia, si possono notare delle motivazioni ricorrenti che ne determinano il presentarsi, tra le quali troviamo la difficile situazione familiare, il desiderio di perfezione per raggiungere un illusorio ideale di bellezza, nella convinzione che la magrezza sia il proprio punto di forza. E se apparentemente si potrebbe pensare che siano ragazze da un’adolescenza apparentemente “normale”, in realtà sono fragili, insicure.
Insensibilità, debolezza, mancanza di autostima che caratterizza non chi è anoressica, ma anche tutte quelle ragazze obese.
In entrambi i casi l’impressione è quella di sentirsi escluse dalla normalità del mondo, escluse dall’amore, dall’amicizia, da ogni tipo di relazione e dalla felicità. L’ossessione per il corpo caratterizza l’origine di tutti i problemi; ma la domanda che bisogna porsi è la seguente: è veramente il corpo che caratterizza tutta la persona?
A volte sembrerebbe che la risposta sia affermativa; basti pensare alla convinzione secondo cui per raggiungere un posto all’interno dell’èlite, o per raggiungere il proprio obiettivo in genere, le donne si “vendono”, svalorando in questo modo il proprio corpo e la propria persona.
Collegato a questo “commercio” di corpi femminili, si può contrapporre, l’ideale cristiano della purezza e della verginità prematrimoniale. Tuttavia, come è consuetudine, più una cosa si ostacola imponendone il divieto, più quella diventa un’attrazione per molti. E cosi avviene in una società a maggioranza cristiana, in cui la presenza di molte “donne di strada” raggiunge tassi considerevoli.
A quanto pare sembra che l’enigma della femminilità sia un interrogativo ancora aperto. Infatti, ogni donna va considerata nello specifico senza tentare di ricondurla a categorie già predefinite dall’universo maschile, soprattutto nel caso in cui in lei sia presente la volontà di liberarsi dai banali stereotipi attuali.

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¡Hola, chicos! ¿Qué tal? (Marta Fedrigo)

Fedrigo

La mia vita in Spagna è cominciata il 7 gennaio 2014 all’aeroporto di Madrid, dopo aver viaggiato con gli altri miei compagni (Elisa, Fabiano, Francesca, Silvia) da quel di Venezia con la nebbia, che è stato il nostro ultimo ricordo dalla terra italiana.
All’arrivo ho trovato Manuel, come Elisa Celia, Silvia Marta, Francesca Carmen e Fabiano Alex, con i loro genitori, in un clima di festa e di novità.
Dopo le iniziali presentazioni, ci siamo lasciati, ognuno alla volta della sua nuova famiglia. Io sono salita in auto con direzione “casa della nonna” che già era in fermento, curiosa di conoscere la nuova arrivata e impaziente di mostrarmi i numerosi presepi (mi pare 56) di cui era decorata la casa nel periodo natalizio.
Come non sentirmi già a casa: nella Semplicità di due donne (la mamma e la nonna di Manuel) ho ritrovato un pezzo della mia famiglia. Forse è vero: la bontà di cuore non ha passaporto.
I primi giorni sono stati essenzialmente di conoscenza: della famiglia, del territorio, della scuola.
Il calore della famiglia, la simpatia degli amici, una nuova vita da costruire, tutto ha contribuito a fare in modo che tutte le paure che assillavano i miei giorni prima della partenza (difficoltà ad ambientarmi e nostalgia di casa, soprattutto degli amici) sembravano avermi dato l’addio all’aeroporto di Venezia. Ero qui solo da pochi giorni ed era come se lo fossi da sempre. Probabilmente, però, l’accento e la parlata strana servivano a ricordarmi che non sono nata qui e che il 7 gennaio sono PARTITA dall’Italia.
Ma ora veniamo al racconto: probabilmente vi starete chiedendo che cosa facciamo tutto il giorno.
Innanzitutto, la scuola. Qui inizia alle alle 8.30 con 6 ore da 55 minuti, una ricreazione di 25 e una didattica un po’ differente dalla nostra. Ogni classe è dotata di un proiettore utilizzato dalla gran parte dei docenti per far fronte a una scuola e una metodologia non abituate all’uso del libro di testo. Le classi in Spagna non sono proprio quel blocco fisso di alunni a cui siamo abituati. Per la maggior parte del tempo i compagni rimangono gli stessi, ma al cambio dell’ora può capitare che arrivi qualcuno di “nuovo” per assistere alla lezione a cui è interessato, come può esserci gente che non partecipa e tutte le lezioni, ma solo a quelle in cui è stato “suspendido” l’anno precedente. In Spagna, infatti, la bocciatura non corrisponde al ripetersi di tutto un anno, ma l’obbligo è solo per le materie in cui è effettivamente avvenuta la bocciatura. Anche il ciclo di studi è organizzato in maniera differente. Gli anni delle nostre “scuole medie” sono infatti 4, cui ne seguono 2 di “superiori” prima id accedere alla carriera universitaria. Adesso noi, allievi di scienza umane, di quarta, per esempio, stiamo frequentando il secondo dei due anni precedenti all’università, mentre Silvia sta frequentando il primo di questi due (essendo un anno più giovane di noi).
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