Storia di una ladra di libri (Filippo Menegotto)

Storia di una ladra di libri

Storia di una ladra di libri narra la storia trita e ritrita di una famiglia della Germania durante la seconda guerra mondiale. Verrebbe da pensare al solito film in cui si narrano le vicissitudini di una famiglia che per circostanze fortuite almeno quanto una vincita al lotto riescono a scampare alla morte. Insomma, il solito canovaccio, la solita commedia. Ma questo pregiudizio è destinato a scomparire subito.
Il film si presenta subito in una maniera particolare. La voce calda di un narratore pervade l’orecchio e ciò, unito alla scena innevata, dà la sensazione di essere vicino al fuoco ad ascoltare una vecchia storia del nonno. La storia che si racconta è intrisa di antichi valori che oggi sembrano perduti come lo spirito di fratellanza. La trama è densa di intrecci e particolari interessanti e mai scontati.
Liesel, una ragazza di undici anni viene adottata dalla famiglia Hubermann e grazie al padre adottivo impara a leggere i libri e ad apprezzarli. La signora per cui lavora la madre adottiva, avendo una sera notato il suo amore per i libri, la invita a leggere nella sua biblioteca ogni volta che vuole. Un giorno arriva dal signor Hubermann un ragazzo ebreo, Max, il cui padre aveva salvato la vita al padre di Liesel e si nasconde in casa sua. Il momento centrale della vicenda è la malattia che mette in pericolo la vita di Max. Liesel ruba alcuni libri dalla biblioteca della signora per leggerli e tenere vivo Max con la linfa vitale racchiusa dentro le parole. Ma la guerra che bussa alle porte della famiglia Hubermann sconvolgerà le vite di tutta la famiglia. Max se ne andrà per non mettere a repentaglio la loro incolumità mentre gli altri si salveranno dai bombardamenti finché possono.
La conclusione rivela l’identità che si cela dietro la voce narrante: la Morte.
Se dal punto di vista narrativo le considerazioni sono positive, il lato tecnico si rivela piuttosto scadente.
Le inquadrature sono sommarie e imprecise. I pochi effetti speciali sono camuffati con pressapochismo. Unica nota a favore è la colonna sonora, frutto del genio di John Williams, che permette al film di candidarsi all’Oscar come miglior colonna sonora.
A parte questo unico lato negativo, è un film da vedere assolutamente quando uscirà ad Aprile nelle nostre sale. Le emozioni la fanno da padrona e la storia merita. Un film come pochi.

Filippo Menegotto

Pensieri e parole sulla musica (Filippo Menegotto)

Joan BaezSono seduto al computer. Forse dovrei studiare per la simulazione della terza prova, ma in questo momento non è al primo posto delle mie preoccupazioni. In questo momento sono attratto dalla voce stupefacente di Joan Baez che canta Here’s to you composta a quattro mani con Ennio Morricone per il film Sacco e Vanzetti del 1971.
La sua voce caldissima mi ammalia. Dopo all’incirca venti volte che sento questa magnifica canzone mi sorge un pensiero improvviso: a cosa serve la musica?
Da che mondo è mondo, essa ha avuto tre funzioni principali: il diletto (per allietare le giornate delle persone), la preghiera (laudi, oratori, messe,…) ma soprattutto la musica ha la particolarità di narrare, per mezzo di parole o anche senza.
Quando nella prima metà del ‘900 la cosiddetta musica leggera prende il posto dell’opera, troppo lunga e troppo difficile per essere trasmessa in radio o in televisione, essa raccoglie anche la sua eredità di narratrice. Celebre è il caso del Nabucco di Verdi. Nel bel mezzo del Risorgimento gli italiani si identificano nel popolo ebreo, schiavo in Egitto e comprendono l’ideale per cui combattere.
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La Pizza di Adele (Filippo Menegotto)

La vita di AdeleDi solito un film che vince una palma d’ora a Cannes è un film di qualità, con una trama interessante e valido dal punto di vista tecnico.
Così non è stato per “La vita di Adele”, film di Abdellatif Kechiche con Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux. Il film si sostiene sul nulla per tre ore. Lo spettatore aspetta per tutta la durata del film, restando a bocca asciutta alla fine.
La trama è semplicissima: Adele, giovane studentessa del Liceo, scopre di essere omosessuale e vive quindi un amore con Emma, una ragazza conosciuta in un bar gay, fino a quando, qualche anno più tardi, si lasciano perché Adele la tradisce con un uomo.
Una trama così semplice lascerebbe presupporre un messaggio finale, alcuni dettagli che facciano riflettere, un senso generale profondo, come peraltro suggerirebbe un tema così delicato come l’omosessualità. Invece no. Il film potrebbe tranquillamente non esistere. Il trailer spiega già tutta la trama, non servirebbe così flagellarsi il cervello con tre ore di primi piani pesanti da far venire il mal di testa. I primi piani insistono anche quando gli interlocutori sono cinque o più, così che chi vede il film resta stordito da continui cambi di inquadratura senza poter vedere altro dell’ambiente che talvolta risulta interessante spaziare più ampiamente.
La storia è totalmente priva di alcun significato e il film sembra un pessimo tentativo di copiare grandi capolavori di durata analoga, quali La Meglio Gioventù e il Titanic. Basti pensare che Adele ed Emma si lasciano mezz’ora prima che finisca il film. Il tempo che viene dopo è un susseguirsi di scene tutte uguali che potrebbero essere benissimo ridotte da mezz’ora a cinque minuti.
Le scene di sesso sono insistenti, monotone e troppo, troppo lunghe, i dialoghi prolungati oltre il sopportabile umano. Persino quando gli interlocutori non hanno più nulla da dirsi, l’inquadratura persiste nel dire il nulla più paralizzante.
Con un trailer così promettente, le attese sono state deluse oltre ogni aspettativa. Un film fatto solo per far notizia, che incassa solo per il semplice di trattare un tema altisonante come l’omosessualità. Un film brutto.

Filippo Menegotto

La donazione, un gesto di vita

“Coreit! Une vite in pericul:
un vieli una mari un canai?
Suspirs di mil fradis che climi
pes stradis e in ducj i ospedâi.
Corin! Une vite in pericul:
magari ‘l è un nestri nemî.
Plui bel ancjemò sustignîlu,
salvâlu e no fâsi capî.

Il sanc, o chel sanc che tu puartis
Al jemple la vene che a mûr;
la vite, la vite che a torne!
Si jemple di gjonde il to cûr.

Friûl, vonde sanc cu li sarmis;
il nestri che al sei sanc di amôr:
un ben che o metìn in musine
par vinci la muart e il dolôr.
Des monts fin jù jù pe marine,
Friûl ancje in chest tu sês prin,
content se a ti dîs: Diu t’al merti
un vieli, una mari, un frutin. 

Traduzione:

Accorrete! Una vita è in pericolo. Un vecchio? Una madre? Un bambino? Sospiri di mille fratelli che chiamano lungo le strade e in tutti gli ospedali.

Accorriamo! Una vita è in pericolo: magari è un nostro nemico. Ancor più bello aiutarlo, salvarlo e non farsi capire.

Il sangue, oh quel sangue che tu porti, riempie la vena che muore; la vita, la vita che ritorna! Il tuo cuore si riempie di gioia.

Friuli, basta sangue d’armi; che il nostro sia un sangue d’amore: un bene che mettiamo da parte per vincere la morte e il dolore.

Dai monti fin giù al mare, Friuli, anche in questo tu sei primo, sei felice se un vecchio, una madre, un bambino ti dicono “Dio te ne renda merito”

ImmagineL’inno del donatore friulano porta questo testo. Un testo commovente, che, aldilà dell’evidente patriottismo, spiega perché oltre cento alunni dai due licei più importanti di Pordenone siano accorsi per donare sangue. Gli studenti che hanno voluto compiere questo gesto significativo sono più che raddoppiati rispetto all’anno scorso. Segno di una sensibilizzazione crescente anche grazie ai presidi delle scuole, che hanno permesso che si utilizzassero delle ore di lezione per illustrare ai ragazzi cos’è la donazione, come si effettua e chi ne trae vantaggio.
La donazione è una piccola azione di altruismo per qualcuno meno fortunato di noi. Leucemia, anemia sono alcune tra le malattie che costringono le persone a continue trasfusioni per non morire.
Tutto quello che posso fare è raccontare la mia prima esperienza come donatore.
Prima si prova un sentimento che è un misto di paura ed eccitazione. Eccitazione perché si compie un qualcosa di nuovo, un gesto non così comune, ma la paura dell’ago che entra dentro, per quanto si possa essere coraggiosi, c’è sempre unita al fatto che parte del tuo sangue, della tua vita, viene asportata.

Tutto questo svanisce nel momento in cui entra l’ago. Un momento di dolore, ma poi ci si sente normali, rilassati, quasi si stesse prendendo il sole. Si parla con le persone vicino a te, con le infermiere, in un clima disteso, felice.
Nel momento in cui l’ago esce inizia l’estasi. Ci si sente immensamente felici, pervasi da un calore incredibile dentro il cuore. Questa sensazione è tipica di un donatore consapevole che sa perché sta condividendo il suo sangue. È lo stesso motivo che ti spinge poi a ritornare e a ritornare ancora.
La donazione è un gesto di generosità verso un ignoto prossimo, il modo di condividere se stessi con un altro. Un unico messaggio che posso dare è: donatevi al prossimo!

Filippo Menegotto