Due mesi fa partivo per l’Africa ignara, e allo stesso modo, entusiasta per ciò che andavo a fare: sapevo che questo viaggio non mi avrebbe cambiato la vita, non mi avrebbe reso un’eroina, una persona da ammirare per l’esperienza che mi stava aspettando, ma sapevo e tutt’ora sono convinta che questo viaggio mi avrebbe riempita di consapevolezza, affetto e colori.
L’Africa, semplicemente, ti entra dentro, ti resta nel cuore e nell’anima: ancora adesso a distanza di mesi dall’arrivo la mia mente è invasa dai ricordi, dagli occhi e dai sorrisi delle bambine della “Maria Romero Children’s Home”, l’orfanotrofio di Nairobi che ci ha ospitato per i primi dieci giorni del nostro viaggio.
L’orfanotrofio accoglie 34 bambine dai cinque ai quindici anni, tutte con un passato, nonostante la loro età, piuttosto difficile: violentate, sfruttate e abbandonate, molte prive di famiglia e dell’amore materno.
Nonostante il Governo africano non aiuti queste strutture, Suor Assunta, insieme alle altre Sorelle, accoglie tutte le bambine, cercando di offrirle una possibilità ma soprattutto la speranza di una vita migliore, lontana dalla strada, lontana dalla droga, lontana dall’alcool, lontana dal loro passato.
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Possiamo evitare confronti spiacevoli con noi stessi e con gli altri soltanto allontanandoci
L’invenzione della solitudine di Paul Auster è un’autobiografia in cui l’autore, dopo l’inaspettata morte del padre, sente il dovere di ricordarlo nella maniera che più gli riesce meglio, la scrittura: decide così di scrivere un memoriale su suo padre.
Nella prima parte del libro, “Ritratto di un uomo invisibile”, Auster, ritrovandosi nella casa in cui aveva trascorso l’infanzia fino alla separazione dei suoi genitori, cerca di descrivere il padre e il rapporto che aveva con lui.
Il difficile rapporto tra padre e figlio era dovuto soprattutto al carattere del padre tanto che egli scrive:“solitario ma non nel senso di stare da solo. Solitario nel senso del ripiegamento, del non dover vedere il volto, dal non vedere se stesso nello sguardo di un altro. Parlargli era un’esperienza ardua”.
Auster infatti sottolinea più volte nel libro le difficoltà di iniziare una conversazione: sembrava che ogni cosa non gli interessasse.
“Non che sentissi che mi detestava, solo sembrava distaccato, incapace di guardare nella mia direzione” e scrive ancora:“Io compresi che anche se avessi realizzato tutte le mie aspirazioni, la sua reazione sarebbe stata uguale. Il concetto che aveva di me non dipendeva da quello che facevo, ma da ciò che ero e questo voleva dire che mi avrebbe percepito sempre allo stesso modo. Eravamo cristallizzati in un rapporto immutabile.”
Nella seconda parte, “Libro della memoria”, invece il ruolo dello scrittore cambia: da figlio di un uomo praticamente invisibile ora assume la funzione di padre del figlio Daniel.
“Libro della memoria” è caratterizzato da uno stile diverso, in cui l’autore vive un periodo difficile; segue infatti la separazione dalla moglie, che comporta quindi anche un distacco dall’amato figlio e la consapevolezza che la scrittura, ciò che più lo rendeva felice, lo porta ad un isolamento anche nei confronti del figlio.
Elisabetta Stella, 4Ds