Le bugie degli economisti e l’egemonia liberista nei media

Carlo FormentiMichael Joffe, professore di economia all’Imperial College di Londra, ha scatenato una polemica sui media britannici, formulando un’imbarazzante (per molti suoi colleghi) domanda nel corso di una conferenza organizzata dal Tesoro sul tema dell’insegnamento dell’economia in tempi di crisi. Perché, si è chiesto Joffe, tanti professori continuano a insegnare teorie che la realtà empirica degli ultimi anni ha clamorosamente smentito?
Dopodiché ha aggiunto che, avendo domandato a un collega per quale motivo abbia inserito nel suo ultimo libro di testo una teoria palesemente falsificata dalla realtà, si è sentito rispondere candidamente che lo ha fatto perché l’editore se lo aspettava. Nel frattempo, l’Istituto per il rinnovamento del pensiero economico (INET), presieduto da un altro docente di economia della Oxford University, Eric Beinhocker, si è fatto promotore di una campagna per rompere l’egemonia del pensiero mainstream (rigorosamente liberista) nelle università, in modo che l’economia ridiventi una disciplina scientifica che tenta di descrivere la realtà come essa è, e non come dovrebbe essere, tornando a dare spazio alle teorie di Keynes e Marx – che spiegano la crisi attuale assai meglio di altre.
Continua a leggere

Un mondo senza lavoro?

carlo formentiChe ne sarà dei milioni di persone che campano guidando automobili o camion quando, da qui a un quarto di secolo, le loro professioni saranno sparite a causa del diffondersi di veicoli in grado di guidarsi da soli, sul tipo di quelli che sta sperimentando Google? Così inizia un lungo articolo sugli scenari della disoccupazione tecnologica apparso sull’edizione online del Washington Post che, poco più avanti, si chiede ancora: siamo pronti a vivere in un mondo in cui il 50% della gente non avrà un lavoro?
Il dibattito sugli effetti che le nuove tecnologie, robot, computer e software su tutte, avranno sull’occupazione nei prossimi decenni è divenuto, da qualche settimana, particolarmente vivace sui media americani; nei Paesi europei, al contrario, se ne parla stranamente poco , malgrado le pagine dei giornali siano piene di titoli allarmanti sull’aumento della disoccupazione provocato dalla crisi, come se la tecnica fosse un fattore estrinseco, relativamente poco influente sull’evoluzione del sistema economico.
A determinare questo diverso atteggiamento, probabilmente, contribuisce la maggiore attenzione che la cultura americana dedica da sempre nei confronti della tecnologia, fino a farne un oggetto di culto, unita alla profonda consapevolezza del fatto che l’egemonia economico-militare degli Stati Uniti è in larga misura fondata sulla supremazia tecnologica, e che la possibilità di conservare l’egemonia dipende, a sua volta, dalla capacità di mantenere tale supremazia. Ma, per tornare al nostro articolo, il suo anonimo (si tratta di un testo ripreso dall’agenzia Associated Press) autore delinea tre scenari possibili: 1) dopo la crisi l’economia tornerà a generare posti di lavoro, a prescindere dagli effetti dell’automazione di un numero crescente di mansioni; 2) l’economia tornerà sì a generare occupazione, ma si tratterà perlopiù di mansioni a basso livello di qualificazione; 3) dobbiamo rassegnarci al fatto che le nuove tecnologie sono inevitabilmente destinate a generare fenomeni sempre più gravi di disoccupazione di massa.
Continua a leggere