Leggiamo insieme – Antonio Tabucchi in Biblioteca Civica (a cura di Alessandra Merighi)

COMUNE DI PORDENONE – BIBLIOTECA CIVICA

Leggiamo insieme (per ragazzi delle scuole superiori)

Antonio Tabucchi, Piccoli equivoci senza importanza

A cura di Alessandra Merighi

Giovedì 20 marzo 2014 – Sala Conferenze “Teresina Degan” – ore 15.00-16.00

tabucchiPiccoli equivoci senza importanza è una raccolta di undici racconti (di cui il primo dà il titolo all’intera raccolta) uniti dal filo rosso della riflessione sul significato della vita, e in particolare di come la nostra vita sia determinata da eventi casuali o da equivoci, appunto, che sebbene sembrino di poca importanza, diventano poi, per citare il primo racconto, «senza rimedio». In un primo momento la decisione di assumere come nucleo fondamentale della raccolta l’interrogarsi senso della vita può sembrare una scelta scontata e poco originale. Tabucchi invece riesce a creare piccoli ritratti postmoderni in cui dubbi, timori e nostalgie affiorano in modo non banale. Ogni racconto ci presenta un personaggio e la sua storia; varia è l’estrazione sociale e l’età dei protagonisti e vario il loro grado di cultura. Le storie, poi, non sono mai scontate, e si dipanano per la maggior parte in modo non lineare. Notevoli sono infatti i salti temporali, che alternano narrazione presente, a volte anche in prima persona, ricordi e memorie, eventi immaginari, sogni. Tutti i racconti giocano inoltre sulla sovrapposizione di piani narrativi diversi, che in un primo momento ingannano il lettore, e che solo più avanti nel testo verranno chiariti dal narratore. In “Cinema”, ad esempio, la scena si apre con un dialogo alla stazione fra una ragazza e un partigiano, interrotta solo dopo alcune pagine, e senza stacchi narrativi, da un «“Stop!”, gridò il ciak», che riporta tutta la sequenza ad una scena di un film. Questi giochi narrativi sono presenti in tutti i racconti, ed emergono soprattutto nella tendenza a non introdurre graficamente le battute di discorso diretto, creando un primo momento di smarrimento nel lettore. Elementi di postmodernità si trovano anche nei continui rimandi intertestuali; si va da Machado a Ponson du Terrail (scrittore francese di romanzi popolari vissuto nell’Ottocento), dal Marchese di Carabas del Gatto con gli stivali a Chamisso. Il gioco intertestuale può essere esplicito, come nel caso del personaggio che si crea la finta identità di «Peter Schlemihl, […] invenzione di Chamisso», oppure sottilmente camuffato nei nomi dei personaggi. La piacevolezza della scrittura di Tabucchi è poi rafforzata dalla notevole presenza di metafore sulla vita, sempre efficaci nel focalizzare un particolare aspetto di ogni personaggio, e che pervadono ogni racconto. Un ulteriore punto di contatto è dato dalla difficoltà nel prendere decisioni. Nella maggior parte dei racconti i personaggi non prendono attivamente una decisione, ma sono per lo più passivamente guidati dagli eventi, dalle casualità. Anche quando c’è un forte desiderio di cambiamento, il finale riporta all’abitudine, alla passività, alla storia già scritta che non si riesce a infrangere (“Cinema”). La riflessione di Tabucchi non si esaurisce però in una condanna di queste mancate azioni, che possono poi sfociare in nostalgia e rimpianto. Quando il protagonista prende la sua decisione, infatti, come quella di lasciare il lavoro per laurearsi e poi lottare per un posto di valore nell’Università (“Il rancore e le nuvole”), la sua vita viene scandita da “vittorie”, e questa eterna rincorsa del successo si trasforma in una perdita di contatto e compassione verso gli altri.
Nonostante la raccolta si chiuda su una nota di rassegnazione (l’attore che voleva infrangere il copione per portare la vita reale nel film rinuncia infatti al proprio proposito di rottura dato il parere contrario del regista), è comunque significativo che Tabucchi affidi il suo messaggio a un personaggio che, a differenza di altri, ha quantomeno tentato di svincolarsi dalla rete degli “equivoci” che la vita ha intrecciato.


Antonio Tabucchi (Pisa, 24 settembre 1943 – Lisbona, 25 marzo 2012 ) nasce a Pisa il 24 settembre 1943; pochi giorni dopo la nascita, viene portato nella casa dei nonni materni a Vecchiano. Dopo aver completato le scuole dell’obbligo in questa piccola cittadina, egli termina il liceo a Pisa e si iscrive alla facoltà di lettere e si laurea nel 1969 con Silvio Guarnieri e Luciana Stegagno Picchio con una tesi sul “Surrealismo in Portogallo”. In questi anni egli compie studi disordinati e numerosi viaggi a Parigi e a Lisbona che destano in lui interessi letterari su autori che già aveva conosciuto tramite la lettura di numerosi testi provenienti dalla fornita biblioteca dello zio materno. Tra tutti gli autori conosciuti, Tabucchi rimane particolarmente colpito da Fernando Pessoa di cui curerà lo studio e le traduzioni. Dopo aver conseguito la laurea, egli si perfeziona alla Scuola Normale Superiore di Pisa negli anni ‘70 e nel 1973 viene chiamato ad insegnare Lingua e Letteratura Portoghese a Bologna. Dopo aver pubblicato numerose opere ispirate al surrealismo portoghese, nel 1975 esce il suo primo romanzo Piazza d’Italia e nel 1978 viene chiamato ad insegnare all’università di Genova. Negli anni ottanta sono stati pubblicati numerosi racconti tra i quali è significativa la raccolta “Piccoli equivoci senza importanza” e due romanzi: Notturno Indiano e “Il filo dell’orizzonte” . Nel 1989 il presidente della Repubblica portoghese gli conferisce l’Ordine “Do Infante Dom Herique” e nello stesso anno è nominato “Chevalier des Arts et des Lettres” dal Governo francese. Nei primi anni novanta Tabucchi pubblica “L’angelo Nero” , Requiem e nel 1994 pubblica il romanzo “Sostiene Pereira”, vincitore di numerosi premi tra i quali il premio “Super Campiello” ed il premio “Scanno”. Nel novembre 1994 viene chiamato dell’Ecole des Hautes Etudes di Parigi a tenere una serie di lezioni.
Muore a Lisbona all’età di 69 anni.
Alessandra Merighi
Insegna in un Istituto superiore di Pordenone. Da anni si impegna per promuovere il piacere della lettura nei giovani.

Le Voci del Corpo / 5 – Roberto Cescon e Marco Durigon il 12 marzo alle 17.30 in Biblioteca Civica

Biblioteca PordenoneBiblioteca Civica di Pordenone – Sala “Teresina Degan”, 12 marzo 2014 – h. 17:30

Roberto Cescon – Il corpo nella poesia del Novecento

Ciascuno è il suo corpo e ha il suo corpo con cui può andare al cuore delle cose e fare esperienza del limite. Ogni epoca ha la sua immagine del corpo, così come una lingua per rappresentarlo.
Nel Novecento, a una maggiore disgregazione dell’identità percepita dal poeta corrisponde una maggiore attenzione al corpo deformato, sezionato o ibridato.
Il trauma della Grande Guerra e la crisi dei fondamenti determinano la pietrificazione del corpo nei versicoli de Il Porto Sepolto e la teatralizzazione del poeta saltimbanco, che mette a nudo in Aldo Palazzeschi la mercificazione borghese del sentire. Per Andrea Zanzotto il corpo esiste nel testo ogni volta in cui si ha un atto di lingua, intesa come denso magma di significanti, dove si dissolvono l’identità e il paesaggio. L’esattezza inflessibile della scrittura di Valerio Magrelli pone il problema della percezione, intesa come atto biologico, di cui la scrittura è metafora: la mano-penna è una protesi che permette al poeta di riconoscersi, l’occhio miope media tra il mondo-cervello e l’ambiente esterno.

Marco Durigon – Il culto del corpo nell’antica Roma

É a partire dal II secolo a. C. che a Roma si può parlare di culto del corpo, da quando cioè la città estende il suo potere su tutto il Mediterraneo e subisce gli influssi culturali provenienti dalla Grecia. Il cultus prevede che ci si lavi, ci si mantenga in forma, che l’uomo si tagli barba e capelli, che la donna si trucchi, si profumi; ma soprattutto prevede che entrambi si vestano adeguatamente per nascondere il più possibile il loro corpo (la parte naturale del corpo) alla vista degli altri. Acconciatura e abbigliamento devono evidenziare lo status sociale del cittadino romano, devono consentire a chiunque di distinguere a prima vista fra ricchi e poveri, liberi e schiavi, servi e potenti.
Le fonti letterarie ci tramandano una impressionante lista di prodotti utilizzati dalle donne (ma anche dagli uomini) per la cura del corpo, in particolare per le poche parti del corpo che il decus consente di esporre alla vista di tutti. Le testimonianze archeologiche ci offrono grandiosi esempi di edifici termali pubblici, una delle più grandi invenzioni della Roma di età imperiale, che pose l’igiene ai primi posti nelle attività giornaliere, e soprattutto che fece delle cure del corpo un piacere gradito e accessibile a tutti.
Accanto ai corpi in carne e ossa, il cittadino romano che passeggiava per le strade della città si imbatteva quotidianamente in una folla silenziosa di corpi di marmo o di bronzo che popolavano in grande quantità tutti i luoghi pubblici e privati. Le statue rappresentavano un ulteriore riconoscimento dello status sociale del cittadino, propagandavano messaggi politici e valori e forse, se collocate all’interno degli edifici termali, rappresentavano un modello a cui ispirarsi nella cura e nell’allenamento del corpo. A partire dall’età augustea le statue servirono soprattutto a tramandare l’immagine dell’imperatore, a rappresentarlo sempre più simile, nella sua grandezza e nella sua bellezza, alle statue delle divinità, a evidenziare la doppia natura, fisica e simbolica, del suo corpo: un corpo naturale, e quindi mortale da una parte, ma dall’altra anche un corpo politico, metafora di un potere senza limiti e senza fine.

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Incontri con la canzone di Giorgio Gaber in Biblioteca Civica

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A oltre dieci anni dalla scomparsa la personalità e l’opera di Giorgio Gaber, oltre l’unanime riconoscimento della loro validità ed importanza, continuano a prestarsi a letture anche molto lontane: Gaber rimane una figura controversa (il che può essere peraltro un segnale della sua intatta attualità) per molti aspetti del suo lavoro e specialmente per gli esiti estremi della sua ricerca personale ed artistica. Annesso disinvoltamente da destra e sinistra, resiste invece risolutamente ad ogni omologazione agli schieramenti dominanti, avvicinandosi in questo ad un altro grande irregolare della canzone italiana, Fabrizio De André, del resto anche lui venuto a mancare poco tempo prima.
Diventa allora una necessità, non solo un’opportunità, ripercorrere  un lungo itinerario “in direzione ostinata e contraria”, fino agli ultimi contributi di un autore non passato in giudicato. La Biblioteca Civica di Pordenone intende, anche in questo caso, offrire l’occasione per accostare, a grandi linee,  i tre tempi e volti della parabola gaberiana, con l’aggiunta di un quarto incontro per assaporarne la lucidità ed il rigore intellettuali quanto la straordinaria energia performativa che solo un video che ripercorra tutta la carriera può assicurare.

Calendario degli incontri a cura di Luigi Gregoris (alle 18 in Sala Conferenze “Teresina Degan”):

giovedì 6 marzo
Dagli esordi al congedo dalla televisione
 
giovedì 13 marzo
La parabola del Teatro Canzone
giovedì 20 marzo
Disincanto e nichilismo nell’ultimo Gaber
 

giovedì 27 marzo
Storie del signor G

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Le Voci del Corpo / 4 – Daniela Floriduz e Diego Kriscak mercoledì 26 febbraio in Biblioteca civica

Daniela Floriduz – Non solo buio

Il fenomeno della sinestesia, solitamente, rimanda al mondo artistico, in particolare alla musica, alla poesia, alla pittura. Tuttavia, soprattutto a partire dal XVIII secolo, la filosofia si è interrogata sulle modalità attraverso cui i sensi, travalicando la propria sfera di pertinenza, giungono ad interagire reciprocamente, rendendo il processo conoscitivo assai più variegato e complesso di quanto potrebbe far pensare un’analisi esclusivamente fisiologica. In particolare, in presenza di un deficit sensoriale, la sinestesia interviene in maniera pressoché costante e quotidiana, per compensare la mancanza di informazioni dovuta, per l’appunto, al deficit percettivo. Tipico è il caso della cecità: attraverso la vista, l’essere umano, soprattutto nel contesto sociale odierno, ricava il 98% delle informazioni sul mondo. Tuttavia la sinestesia permette di accedere, anche se in maniera mediata, ad esperienze prettamente visive, quali il colore. Naturalmente, il mondo dei ciechi non è strutturato a colori, ma non è neanche nero, come comunemente si crede. Anche se non esperito direttamente, il colore diventa parte del vissuto umano e psicologico dei non vedenti. Esistono esperienze interessanti che, attraverso l’attivazione di canali sensoriali non visivi, possono restituire ai ciechi la magia di un mondo a colori. Il tutto assume importanti conseguenze a livello di integrazione scolastica, attivando suggestivi canali di comunicazione tra il mondo dei vedenti e quello dei ciechi e acquista anche, per questi ultimi, un’importanza non trascurabile sul versante della vita quotidiana e dell’autonomia personale.

Diego Kriscak – Vibroacoustic body

“La Vita è vibrazione, la Materia è vibrazione. Gli Atomi vibrano, l’Universo vibra. Il Suono è vibrazione. La Luce è vibrazione. La Temperatura è vibrazione. Il Massaggio è vibrazione. La differenza tra tutte queste vibrazioni è data soltanto dalla velocità di ogni ciclo di impulsi (vale a dire dalla frequenza).”

Olav Skille

Risulta piuttosto ovvio come la musica, ovvero il suono, possa indurre o veicolare stati d’animo ed emozioni, agendo attraverso il canale uditivo che trasmette il messaggio sonoro al cervello. Ciò che forse è meno ovvio è il fatto che il suono possa giungere al cervello anche attraverso l’epidermide, le ossa e gli organi interni. La famosa percussionista Evelyn Glennie, sorda dalla nascita, risulta essere una delle musiciste più interessanti degli ultimi anni. In questo caso la sordità ha costretto Glennie ad acuire la percezione sonora attraverso l’uso delle vibrazioni che, dalla pedana di legno, si trasmettono ai suoi piedi. La percezione vibratoria è forse meno evidente di quella uditiva, ma gli effetti, in particolare delle basse frequenze, sono altrettanto e forse più significativi. Pensiamo al rombo di un treno in corsa, o al “pompare” dei bassi in una discoteca. Percepiamo questi suoni attraverso l’orecchio, certamente, ma anche il nostro corpo nella sua interezza riceve il messaggio. Lo studio sugli infrasuoni, vale a dire di quei suoni dalla frequenza inferiore all’udibile, dimostrano che molte situazioni di malessere fisico, quali nausea o emicranie, sono strettamente legate alla loro presenza nelle immediate vicinanze dei soggetti testati. La visione di figure immaginarie e fantasmatiche è anch’essa connessa alla presenza di infrasuoni: il suono, a tutti gli effetti, lavora profondamente su di noi. Ciò che negli ultimi anni si è cercato assiduamente è una sistematizzazione dell’effetto terapeutico della vibrazione sonora. Quello che si è potuto fissare con certezza matematica, a seguito di migliaia di ore di test, è che, a determinate frequenze, alcune specifiche parti del nostro corpo entrano in risonanza, producendo, in questo modo, una sorta di automassaggio, che dall’interno si propaga verso l’esterno. Esploreremo alcuni aspetti di questa esperienza che in Italia è ancora in buona parte sconosciuta.

Biblioteca Civica di Pordenone – Sala “Teresina Degan”, 26 febbraio 2014 – h. 17:30

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