In tutti i sensi – Reportage degli studenti della IIIE classico del liceo Leopardi Majorana al convegno Certamen Lucretianum del 3 Aprile 2014

IN TUTTI I SENSI

“Sic ego nunc, quoniam haec ratio plerumque videtur/ tristior esse quibus non est tractata, retroque/ volgus abhorret ab hac, volui tibi suaviloquenti/ carmine Pierio rationem exponere nostram/ et quasi musaeo dulci contingere melle” 
De rerum natura, IV, 18-22 

E’ con questi versi che Lucrezio ribadisce (è un passo che era già apparso in I, 943-947) il ricorso al mezzo poetico (il dolce miele) per rendere più accessibile e gradito al lettore il contenuto di un’opera che mira a delineare la filosofia epicurea. Un forte richiamo alla sfera dei sensi sembrerebbe dunque collocarsi proprio all’inizio del IV libro, ad essa dedicato: è la percezione del gusto dolce del miele che maschera la medicina (la filosofia). L’appuntamento con la scienza non è mancato nel convegno del 03 aprile in occasione della VII edizione del Certamen Lucretianum Naoniense. E’ stato il prof. Michele Marenco ad offrire il suo contributo di fisico ad un evento che da sempre intreccia due campi del sapere, quello umanistico e quello scientifico, apparentemente distanti. Un intervento capace di instaurare un legame sincero con la platea iniziato all’insegna della scoperta di Ikeda Kikunae dell’umami, un sesto gusto che sfugge ai più. Un “pizzico” che assieme ad una accattivante indagine sull’esperienza olfattiva (possiamo consigliare a chi vende casa di diffondere un invitante profumo di biscotti appena sfornati per incentivare l’acquisto) ha ridestato quegli animi fluttuanti fra gli innumerevoli excursus letterari del prof. Mario Labate. E nel mare magnum della classicità è emerso, tra i tanti aneddoti, il mito di Ermafrodito, se-dotto dalla ninfa Salmacide e intrappolato in un abbraccio che fa dei due soggetti in “costituzionale idiosincrasia” (cit. del prof. Labati) un corpo unico (commissa corpore toto). E’ un tripudio del tatto, un tatto che disorienta come nell’opera di Marina Abramović ‘Imponderabilia’, dove i corpi nudi dell’artista montenegrina e del suo compagno Ulay, posti all’ingresso della mostra, pongono il visitatore di fronte a decisioni critiche. La performance art della Abramović è stata solamente la punta dell’iceberg di un itinerario nell’arte che ha assunto il ruolo di intermezzo tra gli interventi dei due eminenti professori moderati dalla dott.ssa Chiara Sartori. Un’arte alle prese con i sensi che non vuole più limitarsi solo alla vista, ma che cerca di esplorare l’intero universo sensibile.
Paolo Venti
Un ringraziamento speciale degli studenti al prof. Paolo Venti per l’aiuto offerto e il grande impegno prestato nell’occasione del Certamen!

Paolo Pacetto

IN TUTTI I SENSI1

[…] Nonostante fosse un’operazione ardua da compiere in così poco tempo la ragazza, G. Rigo, riesce ad essere concisa e chiara attraverso l’uso di immagini e di un chiaro supporto multimediale, individuando per ogni senso un concetto associato: la vista è rappresentata da uno specchio che inganna ma anche rende visibile l’ignoto; l’olfatto è simboleggiato dai fiori ma anche dal tabacco; l’udito dagli strumenti musicali, suonati o meno; il gusto è associato alla frutta e ai dolci, e dunque al peccato di gola; e infine il tatto dà il senso del concreto ma anche è principio di sensualità. […]

Alessia Del Bianco

[…] Nella parte introduttiva dell’esposizione di Giulia Rigo mi ha colpito il modo in cui l’artista, nel corso dei secoli, ha saputo dare vita sulla tela a qualcosa di magico e semplicemente unico.
La vista ci suggeriscono gli antichi è da considerarsi come il senso più importante, infatti attraverso essa passa circa il novanta percento degli stimoli. Questo dato, nel mondo dell’arte, è facilmente visibile nel ciclo degli arazzi del quindicesimo secolo della ‘Dama e l’unicorno’, e nelle altre opere inerenti il tema, dove la vista viene rappresentata come emblema del disvelamento della verità. Ad esempio nella grande scultura di ‘Amore e Psiche’ si può notare innanzitutto la sinuosità dei corpi avvinghiati l’uno all’altro, e lì Psiche desidera, brama, di vedere il volto dell’uomo che tanto aveva dimostrato di amarla, fino a tradire la promessa che la giovane stessa gli aveva fatto (cioè di non avvicinare mai la luce al suo volto così da renderlo visibile).
Anche l’udito risulta essere uno dei nostri sensi abilmente richiamato dallo stesso ciclo di arazzi precedente. In esso infatti si può notare ancora una volta la protagonista del dipinto, ovvero la dama che suona l’organo; proprio da questo dolce suono l’uomo sembra capace di percepire l’armonia cosmica.
Il gusto, considerato da sempre come il simbolo indiscusso del peccato di gola, viene richiamato attraverso la frutta dipinta sulla tela.
Anche dell’olfatto, a mio parere il senso più difficile da rappresentare sulla tela, si tenta una possibile percezione nel corso del Seicento, quando si cerca di rappresentare il tabacco.
Il senso del concreto invece, il tatto, permette una certezza maggiore rispetto agli altri sensi; simbolo di questo è San Tommaso, il quale viene sempre rappresentato come l’emblema dell’uomo che sente la necessità costante di certezze assolute nella vita per evitare di trovarsi davanti al nulla, alla vertigine e soffrire. Questa rappresentazione, usata molto nell’antichità, riacquista la sua massima espressione soprattutto nella pittura del cinquecento in particolare nelle rappresentazioni delle scene di vita quotidiana.
I sensi però vengono rappresentati anche come allegoria delle fasi della vita di ciascun uomo. Per un bambino infatti i sensi indispensabili sono la vista e l’udito; crescendo e divenendo uomo sente come indispensabile soprattutto la vista e l’olfatto. Infine nella persona anziana fondamentali per la vita quotidiana sono l’olfatto e il gusto, unici che permettano il sollievo dal tempo che passa. Ma la rappresentazione dei sensi può avere anche luogo nelle nature morte dove in questo caso possono essere considerati come rappresentanti del vizio e della ‘Vanitas’ o inutilità di ogni sforzo di soddisfazione dei propri istinti e piaceri. Nel caso in cui ad un uomo mancassero i sensi e finisse la sua capacità di sentire vi sarebbe la morte, ed ecco che un tema vitale come questo diventa spunto per ridefinire, con il ‘memento mori’, ovvero il ricordarsi continuamente del nostro comune destino di morte, i limiti del bene e del male, della tentazione e del peccato, portandoci perciò a divenire consapevoli della caducità della vita. […]

Gaia Bianchini

[…] La riflessione del professor Labate sui cinque sensi e i principi naturali sui quali si basa il loro funzionamento ha portato ad indagare il principio del piacere e del dolore, capisaldi del pensiero filosofico didascalico dal materialista Epicuro al cinico Diogene Laerzio con un occhio di riguardo per l’opera in forma dialogica ed epidittica di Marco Tullio Cicerone (il “De Finibus” e il “De amicitia”) giungendo all’apice della critica sensoriale con il poema di lucrezia (Focus sul IV libro de il “De Rerum Natura”) per terminare con un’immagine di altissima qualità letteraria e tremenda delicatezza umana quale il racconto metamorfico di Ermafrodito e Salmacide dall’opera di Publio Ovidio Nasone. Non è mancata la citazione dell’opera di sommo pregio letterario quale la “Antologia Palatina” e l’epigramma erotico dell’autore pagano Paolo Silenziario. […]
Dopo un breve coffe break il prof. Marenco ha parlato del rapporto tra la fisica e i sensi, costruendo un percorso scientifico e artistico ha saputo dimostrare come il senso del gusto risulti influenzato da tutti gli altri, di come tutti gli uomini provino esperienze comuni di cui non sono collettivamente consapevoli tranne quando uno solo acquista consapevolezza e ne rende partecipi gli altri […]
Valeria Gobbo-Giulio BertoloIl centro della riflessione si è spostato sul pensiero umano, inteso come senso attraverso la presentazione degli studenti Valeria Gobbo e Giulio Bertolo che con un discorso breve, leggero ma di grande consistenza antropologico-culturale hanno comunicato l’idea molto originale e affascinante di Lucrezio (libro III) secondo cui “Non è la mente a creare i pensieri, ma solo a percepirli” fondata sulle due istanze interiori e vitali dell’essere umano, alle loro interazione e alle loro forme di concretizzazione: l’animus e l’anima con i simulacra. I simulacra risultano quasi corrispettivi delle immagini fotografiche o dei ritratti realistici in quanto sono rappresentazioni pedisseque di realtà già esistenti ma al contempo sono anche distanti da essi in quanto espressioni di momenti già passati, immutabili nella loro collocazione spazio temporale e perciò “morte”.

Apotogbo Kezzia

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