Guidorizzi e la concezione del corpo nel mondo antico (Francesco Amato, Alberto Francesconi, Irene Altomare, Elena Visentin, Alessia Avon)

Guilio Guidorizzi

Giulio Guidorizzi, grecista, filologo e professore all’università di Torino, ha magistralmente trattato, nella Sala Grande di Cinemazero, uno degli argomenti più complessi della letteratura greca, nonché un grandissimo problema di natura antropologica: la concezione del corpo.
“Talvolta il corpo può rispecchiare la propria interiorità” così ha esordito il professore dopo essersi alzato in piedi, gesto simbolico dato il tema che sarebbe andato ad approfondire. “Un corpo tatuato, ad esempio, si diversifica dagli altri in quanto caratterizzato da segni distintivi. Allo stesso modo il corpo degli eroi greci è un corpo dalle prestazioni eccezionali, poiché è eccezionale la persona stessa”. Secondo la cultura greca anche gli dei possedevano un corpo di forma umana, mancante però di un’anima.
Insomma, il corpo assume funzioni diverse in base alle culture e alle usanze della società. Secondo il parere del professore, l’anima è un concetto molto interessante: è infatti l’unica distinzione tra mortali e immortali, in quanto è compagna inseparabile per gli uomini e assente negli dei (“la psyché non è degli dei”, afferma il professore). La tradizione che gli dei fossero fatalmente attratti dagli uomini proprio per questa particolare distinzione lo conferma. Lo stesso Zeus, padre dei numi e signore del cielo, era appunto più attratto dalle donne mortali che dalle “comuni” dee. Questa sorta di malcontento nei confronti della mortalità da parte degli dei è visibile anche se prendiamo sotto esame un altro aspetto: se l’uomo soffre può usare il “dono” della mortalità e mettere fine alle sue pene; se invece un dio si trovasse in questa situazione non avrebbe altra scelta se non quella di persistere in questo stato per tutta l’eternità, poiché immortale, ma non totalmente immune al dolore. Dopo un breve inciso riguardante l’uso della parola “soma” nei testi omerici, dove questa presenta il significato di “cadavere” e non di “corpo vivo”, nozione mancante in tali opere, il professore ha proseguito con due interessanti analisi che vertevano su argomenti molto diversi: nella prima, ha evidenziato il fatto che gli dei non possono “banchettare” con gli uomini, in quanto il loro cibo è diverso e il nutrirsi dei cibi umani porterebbe alla perdita della loro natura divina.  Nella seconda ha ribadito come il concetto di corpo non riguardi solo la fisiologia o la medicina, ma abbia un’importante funzione culturale. Un altro esempio di tale affermazione è dato dalla volontà dei Greci di esaltare il corpo, nel pieno della sua bellezza (“avere un corpo bello per i Greci significava avvicinarsi agli dei”). Tale aspetto era ritenuto così importante che coloro i quali avevano la sfortuna di possedere un corpo deformato erano oggetto di numerose prese in giro; persino il teatro, nella Grecia antica, “giocava” con le deformità.
Dopo queste analisi di notevole peso contenutistico, Guidorizzi si è cimentato in una breve spiegazione riguardante la concezione del corpo nell’Odissea, opera tanto cara a noi ginnasiali. Il professore ha messo in evidenza il fatto che Ulisse più volte nella durata delle vicende abbia cambiato la natura del suo corpo, anche grazie a interventi divini. Ma non solo lui. In tutta l’Odissea infatti si gioca sulla diversa fisionomia del corpo; basti pensare a Polifemo, alle Sirene, a Circe o ai corpi dell’Ade. Guidorizzi ha poi proseguito con una delle affermazioni più interessanti del suo discorso: “Un corpo senz’anima non è più il corpo della persona a cui apparteneva”. Affermazione di grandissimo peso e il cui approfondimento avrebbe richiesto molto più tempo di quello rimanente. Dopo qualche altro breve riferimento all’argomento “corpo-dei” e dopo aver risposto in modo più che esauriente alle domande degli studenti, per la verità mai così numerose, la conferenza si è infatti conclusa tra gli applausi di tutti i presenti. Noi “classicisti del Leo-Major” siamo così tornati a casa con la consapevolezza di aver arricchito e non poco il nostro bagaglio culturale, avendo approfondito uno dei temi fondamentali della letteratura di tutti i tempi, in particolar modo di quella della Grecia antica, sempre più indissolubilmente legata alla vita scolastica di noi ragazzi.

Francesco Amato, Alberto Francesconi, Irene Altomare, Elena Visentin, Alessia Avon, VBg

Franco Di Mare incontra gli studenti al Concordia di Pordenone (Alberto Francesconi, Francesco Amato)

Studenti del Leomajor e Franco Di Mare

Ospite d’eccezione all’Auditorium Concordia, per la V edizione degli Incontri con l’autore (Giornata internazionale del libro), organizzati dalla professoressa Merighi dell’Istituto Flora, è stato quest’anno il noto giornalista e scrittore Franco Di Mare, venuto per parlare del suo libro “Non chiedere perché”. Si tratta di un romanzo autobiografico nel quale l’autore riflette indirettamente sulla propria esperienza di inviato durante la guerra in Bosnia, all’inizio degli anni ’90 e sull’incontro con la piccola Malina, la bimba da lui salvata dall’inferno del conflitto armato di Sarajevo. Il primo intervento dell’autore è stato anticipato dalla proiezione in sala di un video e dalla lettura di una poesia e di una recensione, tutti lavori realizzati dagli studenti degli istituti coinvolti. A questo punto, ha preso la parola Di Mare, il quale si è soffermato sulla motivazione del peculiare titolo del romanzo e sulla descrizione della sua vita da giornalista inviato, che l’ha messo a contatto con la cruda realtà della guerra. Durante questo discorso di apertura, gli studenti che riempivano l’Auditorium hanno ascoltato rapiti le parole profonde dell’autore, il quale non ha solo parlato del suo romanzo, ma ha descritto emozionanti particolari della propria vita, catturando così l’attenzione dell’intera platea.
Nel corso dell’incontro sono state poste all’autore numerose domande dai ragazzi e i suoi brillanti interventi sono stati inframmezzati dalla lettura di altri testi e dalla visione di video, sempre realizzati dagli studenti. Le domande si sono distinte per serietà e impegno e Di Mare ha risposto con trasporto ed entusiasmo. In particolare, si è soffermato sulle esperienze più impressionanti vissute nei vari teatri di guerra e sui risvolti che hanno avuto sulla sua persona. Inoltre, in risposta ad una domanda da lui molto apprezzata, ci ha illustrato quello che, a parer suo, è il miglior percorso da intraprendere per diventare giornalista, spronandoci ad impegnarci a fondo per raggiungere i nostri obiettivi. Al termine dell’incontro Mattia Guido, giovane che frequenta la 3 AKC presso l’istituto “F. Flora”, ha avuto modo di stupire ed emozionare tutti i presenti con una lettera da lui scritta per Malina, o meglio Stella, la piccola protagonista del romanzo, adottata da Di Mare, il quale commosso ha assicurato che avrebbe consegnato la lettera alla figlia.
Dopo i ringraziamenti di rito da parte della preside del Flora, istituto promotore dell’evento, Di Mare si è dimostrato disponibilissimo a salutare di persona molti ragazzi, vogliosi di conoscere da vicino l’autore di un libro tanto apprezzato come “Non chiedere perchè” e di farsi autografare la propria copia del romanzo.
Questo incontro, in definitiva, non ha solo permesso ai numerosi studenti presenti di ascoltare le parole di uno scrittore e giornalista rinomato come Franco Di Mare, ma anche  di stabilire un dialogo profondo tra l’autore e i ragazzi stessi, attraverso domande, letture, video e interventi. E’ stata dunque un’esperienza assai apprezzata dall’intero pubblico di giovani, attenti e partecipi durante tutta la mattinata.

Alberto Francesconi, Francesco Amato V B ginnasio.

Liceo Classico: sì o no? (Alberto Francesconi)

naxos

“Prof, ma a che serve il liceo classico?”

Eccolo, è questo il momento. Un professore lo sa. Arriva sempre quella tredicenne che, con innocenza e un pizzico di curiosità, alla presentazione dei vari istituti superiori nelle scuole medie, chiede al classicone di turno a cosa servono quelle 9 ore di lingue morte alla settimana e nessuna di tecnologia, informatica, fisica… E’ questo il momento di colpire per un insegnante, di convincere quella giovane mente spaesata e un tantino scettica del fatto che il classico è una scuola più che mai utile e moderna. Quante cose potrebbe dire un professore, quanti elementi potrebbe elencare, quante applicazioni di greco e latino per un futuro universitario e non solo potrebbe snocciolare così, su due piedi… Ma il professor Riva, con quel sorriso compiaciuto di chi pregusta l’effetto delle parole che sta per pronunciare, risponde così:

“A fare la spesa.”

Possiamo solo immaginare la faccia stupita della ragazzina, inebetita di fronte ad una simile affermazione. Una sciocchezza, penserà. Ma, in verità, una sciocchezza non lo è affatto.
Già, perché quell’ammasso di ore passate a studiare lingue morte è una palestra mentale strepitosa, un’eccellente scuola di logica, una fatica che richiede organizzazione e impegno ma che, se affrontata in modo costruttivo, diventa fonte inimitabile di ordine mentale e capacità di ragionare, tutte doti fondamentali ogni giorno, che si tratti di tradurre Seneca o di comprare broccoli al mercato. Magister Riva dixit.
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