
Un tempo era London calling. In queste ore, purtroppo, a causa delle durissime e inaspettate rivolte in corso, è London burning. Ma si tratta sempre, e in ogni caso, di Anarchy in Uk, le cui motivazioni e radici devono essere scandagliate da sociologi e criminologi, ma che, di fatto, già erano state raccontate da un’altra categoria intellettual-professionale, quella degli scrittori di fantascienza. «Distopia», ampiamente frequentata dalla science fiction del secondo Novecento, che ha saputo farsi sempre più fantapolitica e fantasociologia, è la parola magica che ci aiuta a leggere, con uno sguardo preveggente, l’esplosione riots di questi giorni nelle periferie della capitale britannica. Distopia, ovvero l’anti o contro-utopia, che all’idea della città perfetta del futuro contrappone quella del potere totalitario o della società perversa e in via di disfacimento, come nella Londra dominata dal Grande Fratello del celeberrimo romanzo 1984 di George Orwell. O come nella futuribile (ma non troppo) Gran Bretagna del 2019 presentata dalla graphic novel V for vendetta di Alan Moore e David Lloyd (e relativo film dei fratelli Wachowki), dove comanda un regime che controlla capillarmente le coscienze attraverso i mass media e che fa perno sul fascismo postmoderno del Norsefire Party; segni particolari: l’essere giunto al potere precisamente all’indomani di un lungo periodo di massicce proteste popolari sfociate in una sorta di bellum omnium contra omnes, per decretare la cui fine il capo del partito Adam Sutler propone un patto neohobbesiano che prevede la pace interna in cambio della rinuncia alla libertà.
E, infatti, il tristo principio dell’homo homini lupus e la minaccia costante della guerra civile che stanno alla base della filosofia politica del Leviatano rappresentano anche gli innegabili pilastri della distopia della letteratura fantascientifica, naturalmente riveduti e corretti in salsa postmoderna. Perché se Londra bruciava già sotto l’attacco dei ripugnanti tripodi de La guerra dei mondi della science fiction tardo-vittoriana e di fine secolo di Herbert George Wells, i roghi si moltiplicano a dismisura con l’avvento della signora Thatcher e i fasti del neoliberismo e del «fascismo consumistico», espressioni, per molti scrittori, della distopia divenuta realtà che i loro libri semplicemente trasfigurano e ripropongono sotto altra forma. Come nel caso di James G. Ballard, un maestro assoluto del genere, che riempie di orrore, massacri e rivolte quei sobborghi residenziali (come Pangbourne Village in Un gioco da bambini oChelsea Marina di Millennium People) nei quali si è trincerato il ceto medio per evitare situazioni come quelle cui stiamo assistendo nei quartieri indigenti di Londra, ma dove un mix imprevedibile di noia, follia (sempre in agguato dietro la quiete borghese, secondo questo scrittore «neohobbesiano») e disagio psichico e sociale fa esplodere la violenza più cieca e insensata, dalla quale non saremmo mai al riparo. Del resto, proprio gli studenti, figli delle middle classes in via di impoverimento, non troppi mesi fa, si erano resi protagonisti di un’altra serie di manifestazioni che avevano paralizzato le strade di Londra. Al centro delle rivolte le moltitudini, manifestazione postmoderna del collettivo, direbbe qualcuno, che si colloca a mezza via tra le folle ottocentesche e le masse novecentesche, dove si fondono ribellismo, frustrazioni sociali e furioso pensiero antisistema che non riesce, finita l’età delle ideologie, ad assumere forma politica coerente. A dare loro corpo (anche se aduso a perdere pezzi…) e sembianze cinematografiche ci prova il filone di grande successo dei film sugli zombi, come l’ansiogeno 28 giorni dopo di Danny Boyle (il regista di Trainspotting e di The Millionaire ), con la sua strepitosa sequenza di immagini di una Londra deserta, evacuata dopo la diffusione dell’epidemia che converte gli esseri umani in mostri famelici. In una singolare convergenza di certa teoria politica à la page e di immaginario distopico, le orde di zombi (come quelli anticapitalistici della famosa Notte dei morti viventi di George Romero o quelli delle banlieues anti-Sarkozy del recente La horde ) finiscono per coincidere con le moltitudini dei nuovi poveri e degli esclusi (o autoesclusi) dal sogno occidentale del benessere. E, così, il cerchio si chiude con quanto sta accadendo a Brixton e Tottenham, mostrandoci, una volta di più, come politologi e sociologi farebbero probabilmente bene a inserire tra le proprie letture anche la fantascienza migliore.