Politically Incorrect

Ci sono le parole e le cose. La sciatteria, la banalità e la ricorsività delle parole, fino al loro logoramento, sono un sintomo del degrado delle cose nel tempo presente. Eccone un (malinconico e parziale) saggio.

Abbassare i toni. Fare un passo indietro. Aprire un tavolo (di confronto o di trattativa). Aprire / chiudere i cordoni della borsa. Tirare per la giacchetta (di solito il Presidente della Repubblica). I mal di pancia (della maggioranza). Non si fanno le nozze con i fichi secchi. Le fibrillazioni (sempre della maggioranza). Il ritorno della balena bianca. I falchi e le colombe. I responsabili. Fare un salto nel buio. Il teatrino della politica. Essere maggioranza in Parlamento ma minoranza nel Paese. Ma anche. Va detto con estrema chiarezza / con franchezza. Uno tzunami finanziario. Nel nostro Dna. Una porcata. Il porcellum. Il mattarellum. Un santo puttaniere. Sono stato frainteso. I retroscena e i retroscenisti. Il labiale. Scendere in campo. Fare gioco di squadra. Azienda Italia. Fatti scopare, che è meglio. Forza Gnocca. Senza t-shirt sono ancora meglio. Il discorso del predellino. Non siamo mica qui a… La società civile. Bipartisan. La Casta (non Laetitia). La première dame. È un ribaltone. (Tutti gli interventi di Di Pietro, il buonismo di Veltroni e la fabbrica di Nichi). Quant’altro e piuttosto. Diciamo e come dire. Il populismo. Liberale, liberismo e liberalizzare. L’Italia delle corporazioni. Realizzare un sogno. Siate affamati, siate folli (new entry). Lacci e lacciuoli. Il tunnel dei neutrini (da Ginevra al Gran Sasso). Premiare il merito. I giovani. I bamboccioni. Il diktat della Bce. Il vento del Nord. Il Trota. Riforma del fisco. Ora rilanciare lo sviluppo. Il condono fiscale. Il condono edilizio. Il condono tombale. Lo scudo fiscale. Il rientro dei capitali dall’estero. La scure finanziaria. L’Italia può farcela. L’Italia è ferma. Il declino italiano. L’Italia è un paese solido. Le tre I. Rimbocchiamoci le maniche. Le auto blu. La fuga dei cervelli. La casa di Montecarlo. La casa con vista sul Colosseo. I tagli lineari. Siete l’Italia peggiore. Quei maledetti e bastardi anni ’70. L’utilizzatore finale. La macchina del fango. La gogna mediatica. Il listino bloccato. Un Parlamento di nominati. La Salerno Reggio Calabria. Il mitico nordest. La politica degli annunci. Via le Br dalle Procure. Le sinergie. L’italianità delle imprese. Il patto generazionale. La soglia di povertà. Non arrivare alla quarta settimana. Non farcela ad arrivare alla fine del mese. Le famiglie italiane. L’impoverimento del ceto medio. Tirare la cinghia. Il manager italo-canadese. Il suo pullover. La politica urlata. Basta con la politica urlata. La piaga del lavoro nero. Essere sotto attacco. È come un videogame. I Suv…

Ora, un po’ di teoria. Jean Baudrillard, già alla fine degli anni Settanta, aveva sostenuto che l’esplosione del segno provoca l’implosione del senso. La società della comunicazione, nella sua forma degradata (o forse nella sua essenza), è proprio questo: le parole più sono usate più si consumano, fino a rimanere degli involucri vuoti. I significati se ne vanno, restano solo dei suoni o delle macchie di colore sulla carta o sugli schermi. Come un indistinto brusio di fondo.

Qualche anno dopo, Michele Apicella (Nanni Moretti), in Palombella rossa (1989), a una giornalista dirà (anzi, urlerà): “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” E ancora: “Trend negativo […] Io non l’ho mai detto! Io non l’ho mai pensato! Io non parlo così!”

Infine, al Festival di Sanremo del 1996, Elio e le Storie Tese con La terra dei cachi, vale a dire “Italia sì, Italia no”, avevano già detto tutto.

Parole – è proprio il caso di dirlo – gettate al vento.

Nota: non sono si sono citate frasi “rubate” e “fuori contesto”, provenienti da intercettazioni. A proposito di “privacy” e “legge bavaglio”.

 Claudio Tondo

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