Sono seduto al computer. Forse dovrei studiare per la simulazione della terza prova, ma in questo momento non è al primo posto delle mie preoccupazioni. In questo momento sono attratto dalla voce stupefacente di Joan Baez che canta Here’s to you composta a quattro mani con Ennio Morricone per il film Sacco e Vanzetti del 1971.
La sua voce caldissima mi ammalia. Dopo all’incirca venti volte che sento questa magnifica canzone mi sorge un pensiero improvviso: a cosa serve la musica?
Da che mondo è mondo, essa ha avuto tre funzioni principali: il diletto (per allietare le giornate delle persone), la preghiera (laudi, oratori, messe,…) ma soprattutto la musica ha la particolarità di narrare, per mezzo di parole o anche senza.
Quando nella prima metà del ‘900 la cosiddetta musica leggera prende il posto dell’opera, troppo lunga e troppo difficile per essere trasmessa in radio o in televisione, essa raccoglie anche la sua eredità di narratrice. Celebre è il caso del Nabucco di Verdi. Nel bel mezzo del Risorgimento gli italiani si identificano nel popolo ebreo, schiavo in Egitto e comprendono l’ideale per cui combattere.
Quando negli anni sessanta e settanta prendono piede i movimenti femministi, la rivoluzione sessuale e tutti gli altri profondi cambiamenti, le canzoni sono il primo mezzo di propaganda.
Assieme a Bob Dylan, la Baez è colei che incarna meglio gli ideali di quel periodo. Canta in qualsiasi lingua, anche in Italiano (lingua che moltissimi snobbano), purché la canzone sia bella e utile.
Tutto ciò sembra preistoria. Quando mai oggi si canta per un ideale, per denunciare qualche sopruso, qualche ingiustizia? L’ultimo cantastorie è stato De André, ma ora per cosa si canta? Perché si canta? Per i soldi, nient’altro.
Qualcuno dirà “anche Mozart e Beethoven scrivevano per soldi. Perché bisogna fare passare per fessi Mengoni & company quando anche i grandi geni del passato scrivevano per soldi?”.
Questa è un’ottima osservazione.
La differenza sostanziale sta nel fatto che Mozart e Beethoven percepivano i soldi come una conseguenza (in particolar modo Mozart, tant’è che, non volendosi piegare al volere degli altri, morì in miseria), mentre per tutti i cantanti odierni i soldi e la fama sono un fine. Diventa un “Io canto per guadagnare ed essere famoso, non perché credo che quello che scrivo possa veramente essere utile per qualcuno.
“Ma ad esempio Cristicchi ha vinto Sanremo con una canzone socialmente importante come i manicomi”. Questa canzone sarebbe stata perfetta nel ’77, non nel 2007 quando i manicomi sono stati chiusi da trent’anni.
Siamo totalmente incapaci oggigiorno di credere in qualcosa e portarlo fino in fondo. Siamo degli inetti totali. Non siamo più animati da un’ideale e non sappiamo più combattere per ottenere qualcosa.
Tutto ciò è molto triste. Siamo sempre più ricchi e benestanti.
Ma nella mente e nel cuore siamo sempre più poveri.
Filippo Menegotto
Non ti sembra di essere un po’ troppo duro con il nostro presente? Non avremo mai più un’altro Bob Dylan o un’altro De André (per quanto Cristiano ce la stia mettendo tutta), ma non ha senso piangere sul latte versato, abbiamo anche noi i nostri eroi: i Modena City Ramblers ad esempio, politicamente e socialmente pronti a denunciare lo ‘status quo’ con le loro canzoni o il molfettese Caparezza, altrettanto bravo e attivo anche se con un altro genere musicale e perchè non Elio e le storie Tese che portano alla luce temi a dir poco scottanti con una leggerezza da farti salire la risata istantanea anche in autobus alle 7,30 del mattino. E questi sono solo tre esempi italiani, visto che sono d’accordissimo col tuo discorso sull’italia(no) bistrattato, ma ce ne sarebbero anche di internazionali volendo.
Filippo hai perfettamente centrato il punto, la musica è diventata un business, non un’ arte.