
Mr Polansky perché i Rom coagulano così tanto odio?
«Perché spesso, a causa della loro povertà, rubano. Ma ci sono sempre dei problemi quando si ha a che fare con persone molto povere. A New York, un secolo fa, i migranti italiani erano stigmatizzati come sporchi, ladri, parassiti, mafiosi. Poi si sono integrati e hanno dato un grande contributo alla società americana. La soluzione, dunque, non è quella di segregare i Rom nei campi nomadi, ma l’educazione e l’integrazione».
Il suo ultimo libro come affronta questa tema?
«È un testo che, attraverso la poesia, racconta la situazione sociale dei Rom in Italia. Un lavoro scaturito dalla mia permanenza nei campi Rom a Milano, Cagliari, Bologna. E’ diviso in due parti: la seconda sezione è stata scritta da un poeta italiano, Roberto Malini, che si è occupato anche della traduzione dei miei versi. Dentro ci sono le voci, le storie di questo popolo, le loro credenze, le tradizioni, l’emarginazione, il dolore. Ma anche la dignità, l’allegria, le leggende. Mi hanno sempre ripetuto che l’Italia, per loro, era il posto migliore perché gli italiani credono ancora in Dio. Questa raccolta di poesie è un grido prestato a chi è costretto a stare in silenzio».
A proposito di silenzio: qual è oggi la situazione a Lety?
«Ancora adesso, su quello che è stato un campo di concentramento, esiste un allevamento di 25 mila maiali. Abbiamo chiesto di spostarlo: ci sembra un gesto di rispetto senza contare che è contrario alle disposizioni di Helsinki sui siti dell’Olocausto. Il governo ha risposto che trasferirlo, ormai, costerebbe troppo. Un vero sfregio alla memoria e al dolore di un popolo».
Lei ha denunciato anche un’altra ferita inferta agli zingari: la costruzione da parte dell’Onu, nel 1999, a Mitrovica, in Kosovo, di campi profughi destinati ad ospitare rom scampati alla guerra fra serbi e albanesi. Campi, però, costruiti su terreni tossici, contaminati dal piombo.
«È l’ennesima tragedia rimossa perché riguarda i Rom. Oggi dopo 13 anni e più di 100 morti, ci sono ancora 12 famiglie che vivono su quei terreni. Ogni bambino concepito all’interno del campo è nato con danni irreversibili al cervello. Quando ho portato uno di loro in Germania per farlo visitare, i medici mi hanno detto: “Questo bambino ha il fegato di un 60enne che beve una bottiglia di whisky al giorno: non arriverà a trent’anni e non potrà avere figli”».
E la petizione on line con 15 mila firme spedite al presidente Obama con la richiesta di accogliere 500 Rom nella base americana del Kosovo?
«Obama non ci ha mai risposto. E dire che parliamo di 500 persone quando ne 1999 gli Usa hanno ospitato 7 mila albanesi kosovari nel New Jersey per salvarli dai serbi».
Ecco, parlando di salvezza: a che serve la poesia?
«Serve a scuotere, a svegliare le coscienze. Una specie di pugno in faccia, insomma».
Perché spendersi per questo popolo?
«Perché è giusto opporsi all’ingiustizia. Perché, lo ripeto, sono esseri umani come noi, nostri fratelli».
Qual è la cosa più bella che ha imparato nella sua vita con gli zingari?
«La loro profonda e limpida fede in Dio, nonostante tutto. Io sono ateo, ma quando ricordo quella frase di Gesù sui poveri che erediteranno il “regno dei cieli” il mio pensiero corre proprio a loro».
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