Le Voci del Corpo/6 – “I Corpi vanno a scuola” – Francesco Stoppa, Mario Colucci, Cristina Di Fusco

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Biblioteca Civica di Pordenone – Sala “Teresina Degan”, 19 marzo 2014 – h. 17:30

Francesco Stoppa – Mario Colucci – Cristina Di Fusco

I corpi vanno a scuola

Il corpo nella tradizione occidentale è caratterizzato in modo metafisico come “corpo-oggetto” e come “corpo-rappresentazione”: da Platone a Cartesio si tratta sempre di un corpo che ho. La filosofia del Novecento, in particolare Maurice Merleau-Ponty, tematizzando nozioni come “corpo animato” e “corpo vissuto”, considera invece il corpo come corpo che sono.
La distinzione fenomenologica tra Körper e Leib è ricollegabile, da un punto di vista genealogico, attraverso il pensiero di Nietzsche e Schopenhauer e al contributo della psicoanalisi freudiana, alla critica del cartesianesimo mossa da Pascal e Spinoza; da un punto di vista generativo, invece, è alla base della rifondazione del pensiero antropologico.
Nel Novecento è infatti emersa una ricchissima produzione intellettuale che focalizza l’attenzione sulle dimensioni soggettive del corpo, evidenziando quei processi attraverso cui, da un lato, la cultura entra a far parte della vita degli individui e, dall’altro, i soggetti si appropriano dei discorsi culturali, adattandoli, trasformandoli o contestandoli; in ultima analisi, negoziando continuamente il loro significato in relazione alla propria storia personale e sociale. Il luogo privilegiato di elaborazione implicita del sapere è, secondo Pierre Bourdieu, proprio il corpo.
Una rinnovata antropologia del corpo assume, quindi, sia una funzione di critica culturale sia di critica politica. Attraverso l’embodiment (“incorporazione”) di particolari discorsi culturali noi contribuiamo a naturalizzarli. Solo un’antropologia critica può denaturalizzare e demistificare ciò che, a prima vista, appare come innato e non modificabile.
L’antropologia ci offre spunti di riflessione, anche al di fuori del mondo accademico, mostrando la natura socio-culturale di quel sapere che assumiamo come dato, e ci aiuta a cogliere la penetrazione e la pervasività dei discorsi sociali nel nostro essere.
Già Spinoza ci aveva insegnato che nel nostro corpo si scontrano potenze che lo conservano e potenze che lo distruggono, e che la conservazione di noi stessi dipende dalla capacità che abbiamo di interagire e “dialogare” con l’ambiente esterno. Questa capacità di modulazione è una mutazione della nostra potenza-corpo che possiamo chiamare mens. Perciò, più cresce la mens, come competenza di ciò che accade in noi, più cresce la potenza del nostro corpo e l’inquietudine diventa abilità, perché, se non avessimo la possibilità del ripiegamento e della riflessione, saremmo solo eccitati. L’arricchimento del piacere non può ridursi, quindi, a iperstimolazione, saturazione, semplificazione, ripetizione ossessiva e perversione, perché desiderio e godimento non sono la stessa cosa, come ci ha insegnato Jacques Lacan.
I corpi allora devono andare a scuola, sia quelli degli alunni sia quelli degli insegnanti, per non arrendersi al nar-cinismo e per imparare che educare alla sensibilità significa non cercare la sazietà, ma la varietà. Il potenziamento del corpo richiede perciò un’azione dell’intelligenza, perché senza di essa il corpo tende a ridursi a “cosa” facile da gestire all’interno di un’istituzione: un corpo anestetizzato o ipereccitato diviene un corpo inconsapevolmente morto.
I corpi devono andare a scuola, possibilmente in una scuola che sappia restituire alle “scienze umane” il ruolo di anello che congiunge, come in un nodo borromeo, una “teoria critica della società” con un’“archeologia del sapere” e una “scienza della complessità”, per un’educazione alla sensibilità, al piacere e alla bellezza che il sistema scolastico e l’università non sembrano ancora avere compreso, sedotti a quanto pare dal discorso del capitalista.

Francesco Stoppa (Ferrara, 1955) coordina l’Area riabilitativa del dipartimento di Salute mentale di Pordenone e svolge attività di supervisione presso servizi pubblici e cooperative sociali. È analista membro della Scuola di psicoanalisi dei Forum del Campo lacaniano e docente dell’Istituto ICLeS per la formazione degli psicoterapeuti. Ha pubblicato L’offerta al dio oscuro. Il secolo dell’olocausto e la psicoanalisi (Franco Angeli, Milano 2002); La prima curva dopo il Paradiso. Per una poetica del lavoro nelle istituzioni (Borla, Roma 2006); La restituzione. Perché si è rotto il patto tra le generazioni (Feltrinelli, Milano 2011). Ha curato i volumi Ripensare la psicosi (Il Campo, Udine 1993) ed Effetti d’équipe (Ed. Libreria Al Segno, Pordenone 2007). È redattore della rivista “L’Ippogrifo. La terra vista dalla luna”.

Mario Colucci, psichiatra, lavora presso il Dipartimento di salute mentale di Trieste. È membro dell’Ecole de Psychanalyse du Champ Lacanien e del Forum Psicoanalitico Lacaniano, con cui collabora per le attività della sede di Venezia.
Ha svolto attività seminariale (su Basaglia, Foucault, Lacan) presso la cattedra di Filosofia contemporanea dell’Università di Trieste diretta da Pier Aldo Rovatti.
Ha pubblicato (con Pierangelo Di Vittorio) Franco Basaglia (Bruno Mondadori, Milano 2001), uscito anche in traduzione francese e spagnola. Ha curato il fascicolo monografico di “aut aut” La diagnosi in psichiatria (357/2013.)

Cristina Di Fusco si è laureata in Filosofia contemporanea all’Università di Trieste con Pier Aldo Rovatti, discutendo una tesi su La questione dell’ontologia nel pensiero di Merleau-Ponty. Attualmente insegna Storia e Filosofia al Liceo Leopardi-Majorana di Pordenone.

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