Al negazionismo si risponde con le armi della cultura, non con quelle del diritto penale.
Dopo il femminicidio la Shoah, continua la deriva simbolica del diritto penale che fa del male, prima di tutto, proprio ai simboli che usa.
L’introduzione anche in Italia del reato di “negazionismo” era stata annunciata da più di un Ministro negli ultimi anni, ma si era sempre arenata anche a seguito del diffuso dissenso da parte di storici e giuristi.
Ora l’ipotesi viene frettolosamente e pressoché unanimemente riesumata dalla Commissione Giustizia del Senato, con un emendamento che, oltre ad ampliare ed aggravare le ipotesi di apologia di reato, porterebbe ad introdurre nell’art. 414 del codice penale una sanzione per chi “nega crimini di genocidio o contro l’umanità”.
Già vivificare una categoria di reati come quelli di apologia, che in una legislazione avanzata dovrebbero essere espunti, è operazione di retroguardia, ma inserire un reato di opinione, come quello che è la risultante della indicata modifica, è ancora più sbagliato.
La tragedia della Shoah è così fortemente scolpita nella storia e nella coscienza collettiva del nostro Paese, da non temere alcuno svilimento se una sparuta minoranza di persone la pone in dubbio o ne ridimensiona la portata. Anzi, proprio il rispetto che si deve al dramma della Shoah, e alle milioni di vittime innocenti che ha travolto, dovrebbe consigliare ai legislatori di evitare di trasformare il codice penale senza tener conto dei principi fondamentali del diritto moderno, abbandonando la via della risposta reattiva rispetto ai fatti di cronaca ed imboccando quella di un diritto penale minimo e costituzionalmente orientato.
Per contro, l’idea di arginare un’opinione – anche la più inaccettabile o infondata – con la sanzione penale è in contrasto con uno dei capisaldi della nostra Carta Costituzionale, la quale all’art. 21 comma 1 non pone limiti di sorta alla libertà di manifestazione del pensiero.
Ed il giudizio su un accadimento storico – per quanto contrastante con ogni generale e documentata evidenza o moralmente inaccettabile – in altro modo non può definirsi se non come un’opinione, che dunque non può mai essere impedita e repressa dalla giustizia penale: spetterà alla comunità scientifica rintuzzarla, ove sia il caso, e alla maturità dell’opinione pubblica democratica lasciare nell’isolamento chi la formula. A coloro che negano la Shoah bisogna rispondere con le armi della cultura, e, se si vuole, con la censura morale, ma non con il codice penale.
Del resto, anche un solo argine – benché eticamente condivisibile – all’esercizio delle libertà politiche (e tale è, prima fra tutte, la libertà di espressione) introduce un vulnus al principio che l’elenco di esse deve restare assolutamente incomprimibile: quell’elenco infatti, come diceva Calamandrei “non si può scorciare senza regredire verso la tirannide”.
Roma, 16 ottobre 2013
La Giunta
(camerepenali.it)
Riporto di seguito la lettera-appello, firmata da moltissimi intellettuali e docenti universitari, soprattutto storici e giuristi di levatura internazionale, contro analoga proposta avanzata dall’onorevole Mastella nel 2007.
Credo che i rischi, lì ben stigmatizzati, di una iniziativa giuridica di questo tipo siano perfettamente attuali e condivisibili.
Bene ha fatto il blog a sollevare, in un silenzio assordante che un po’ stupisce, la delicatissima questione:
Contro il negazionismo, per la libertà della ricerca storica
Il Ministro della Giustizia Mastella, secondo quanto anticipato dai media, proporrà un disegno di legge che dovrebbe prevedere la condanna, e anche la reclusione, per chi neghi l’esistenza storica della Shoah. Il governo Prodi dovrebbe presentare questo progetto di legge il giorno della memoria.
Come storici e come cittadini siamo sinceramente preoccupati che si cerchi di affrontare e risolvere un problema culturale e sociale certamente rilevante (il negazionismo e il suo possibile diffondersi soprattutto tra i giovani) attraverso la pratica giudiziaria e la minaccia di reclusione e condanna. Proprio negli ultimi tempi, il negazionismo è stato troppo spesso al centro dell’attenzione dei media, moltiplicandone inevitabilmente e in modo controproducente l’eco.
Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa, e alla tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge, ci sembra particolarmente pericoloso per diversi ordini di motivi:
1) si offre ai negazionisti, com’è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d’espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.
2) si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall’autorità statale (l’“antifascismo” nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l’inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.
3) si accentua l’idea, assai discussa anche tra gli storici, della “unicità della Shoah”, non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altro evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.
L’Italia, che ha ancora tanti silenzi e tante omissioni sul proprio passato coloniale, dovrebbe impegnarsi a favorire con ogni mezzo che la storia recente e i suoi crimini tornino a far parte della coscienza collettiva, attraverso le più diverse iniziative e campagne educative.
La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all’odio razziale, all’apologia di reati ripugnanti e offensivi per l’umanità; per i quali esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno.
È la società civile, attraverso una costante battaglia culturale, etica e politica, che può creare gli unici anticorpi capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Che lo Stato aiuti la società civile, senza sostituirsi ad essa con una legge che rischia di essere inutile o, peggio, controproducente.
22 gennaio 2007
Marcello Flores, Università di Siena
Simon Levis Sullam, University of California, Berkeley
Enzo Traverso, Università de Picardie Jules Verne
David Bidussa, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Bruno Bongiovanni, Università di Torino
Simona Colarizi, Università di Roma La Sapienza
Gustavo Corni, Università di Trento
Alberto De Bernardi, Università di Bologna
Tommaso Detti, Università di Siena
Anna Rossi Doria, Università di Roma Tor Vergata
Maria Ferretti, Università della Tuscia
Paul Ginsborg, Università di Firenze
Carlo Ginzburg, Scuola Normale Superiore, Pisa
Giovanni Gozzini, Università di Siena
Andrea Graziosi, Università di Napoli Federico II
Mario Isnenghi, Università di Venezia
Fabio Levi, Università di Torino
Giovanni Levi, Università di Venezia
Sergio Luzzatto, Università di Torino
Paolo Macry, Università di Napoli Federico II
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Claudio Pavone, storico
Paolo Pezzino, Università di Pisa
Alessandro Portelli, Università di Roma La Sapienza
Gabriele Ranzato, Università di Pisa
Raffaele Romanelli, Università di Roma La Sapienza
Mariuccia Salvati, Università di Bologna
Stuart Woolf, Istituto Universitario Europeo, Firenze
Aderiscono:
Cristina Accornero, Università di Torino
Giulia Albanese, Università di Padova
Franco Andreucci, Università di Pisa
Rosaria Marina Arena, Università di Siena
Barbara Armani, Università di Pisa
Elena Baldassari, Università di Roma La Sapienza
Luca Baldissara, Università di Pisa
Roberto Balzani, Università di Bologna
Giovanni Belardelli, Università di Perugia
Emmanuel Betta, Università di Roma La Sapienza
Fabio Bettanin, Università di Napoli L’Orientale
Roberto Bianchi, Università di Firenze
Anna Bravo, Università di Torino
Antonio Brusa, Università di Bari
Marco Buttino, Università di Torino
Davide Cadeddu, Università di Milano
Gia Caglioti, Università di Napoli Federico II
Marina Calloni, Università di Milano Bicocca
Leonardo Capezzone, Università di Roma La Sapienza
Vittorio Cappelli, Università della Calabria
Sonia Castro, Università di Pavia
Tulla Catalan, Università di Trieste
Alberto Cavaglion, Istituto Piemontese per la storia della Resistenza
Luigi Cajani, Università di Roma La Sapienza
Carolina Castellano, Università di Napoli Federico II
Franco Cazzola, Università di Firenze
Roberto Chiarini, Università di Milano
Giovanna Cigliano, Università di Napoli Federico II
Fulvio Conti, Università di Firenze
Giovanni Contini, Università di Roma La Sapienza
Daniele Conversi, University of Lincoln
Pietro Costa, Università di Firenze
Augusto D’Angelo, Università di Roma La Sapienza
Leandra D’Antone, Università di Roma La Sapienza
Fabio Dei, Università di Pisa
Nunzio Dell’Erba, Università di Torino
Giorgio Delle Donne, Bolzano
Mario Del Pero, Università di Bologna
Lucia Denitto, Università di Lecce
Giovanni De Luna, Università di Torino
Paola Di Cori, Università di Urbino
Patrizia Dogliani, Università di Bologna
Benito Donato, Cosenza
Angelo D’Orsi, Università di Torino
Paolo Favilli, Università di Genova
Giovanni Federico, Università di Pisa
Cristiana Fiamingo, Università di Milano
Enzo Fimiani, Biblioteca provinciale Pescara
Guido Formigoni, Università di Milano IULM
Vittorio Frajese, Università di Roma Tor Vergata
Giulia Fresca, Cosenza
Carlo Fumian, Università di Padova
Valeria Galimi, Università di Siena
Luigi Ganapini, Università di Bologna
Giuliana Gemelli, Università di Bologna
Aldo Giannuli, Università di Bari
Filippo Maria Giordano, Pavia
Gabriella Gribaudi, Università di Napoli Federico II
Yuri Guaiana, Università di Milano Bicocca
Giancarlo Jocteau, Università di Torino
Paola Magnarelli, Università di Macerata
Massimo Mastrogregori, Università di Roma La Sapienza
Marco Mayer, Università di Firenze
Roberta Mazza, University of California, Berkeley
Claudio Mellana, Torino
Marco Mondini, Università di Padova
Giovanni Montroni, Università di Napoli Federico II
Massimo Morigi
Stefania Nanni, Università di Roma La Sapienza
Gloria Nemec, Università di Trieste
Ivar Oddone, Torino
Chiara Ottaviano, Cliomedia Officina
Gianni Perona, INSMLI, Milano
Stefano Petrungaro, Università di Venezia
Vincenzo Pinto, Università di Torino
Maria Serena Piretti, Università di Bologna
Stefano Pivato, Università di Urbino
Leonardo Rapone, Università della Tuscia
Maurizio Ridolfi, Università della Tuscia
Gabriele Rigano, Università per Stranieri di Perugia
Domenico Rizzo, Università di Napoli L’Orientale
Giorgio Rochat, Università di Torino
Giovanni Romeo, Università di Napoli Federico II
Andrea Rossi, Università di Ferrara
Lucia Rostagno, Università di Roma La Sapienza
Silvia Salvatici, Università di Teramo
Enrica Salvatori, Università di Pisa
Ayse Saracgil, Università di Firenz
Laura Savelli, Università di Pisa
Giovanni Scirocco, Università di Bergamo
Guri Schwarz, Università di Pisa
Francesco Scomazzon, Università di Milano
Alfio Signorelli, Università di Roma La Sapienza
Francesca Socrate, Università di Roma La Sapienza
Simonetta Soldani, Università di Firenze
Carlotta Sorba, Università di Padova
Carlo Spagnolo, Università di Bari
Lorenzo Strik Lievers, Università di Milano Bicocca
Arnaldo Testi, Università di Pisa
Rita Tolomeo, Università di Roma La Sapienza
Anna Treves, Università di Milano
Alessandro Triulzi, Università di Napoli L’Orientale
Simona Troilo, Istituto Universitario Europeo
Gabriele Turi, Università di Firenze
Gian Maria Varanini, Università di Verona
Angelo Ventrone, Università di Macerata
Angelo Ventura, Università di Padova
Claudio Venza, Università di Trieste
Alessandra Veronese, Università di Pisa
Elisabetta Vezzosi, Università di Trieste
Vittorio Vidotto, Università di Roma La Sapienza
Loris Zanatta, Università di Bologna
Mi sembra, però, che la questione sia diversa dalla tutela delle opinioni personali, e dalla libera discussione delle idee.
E faccio l’esempio del Vajont: forse qualcuno, cinicamente, potrebbe ancora sostenere che, a quell’epoca, essendo necessario costruire delle dighe, per lo sviluppo industriale e bla bla bla… insomma, c’è sempre un conto costi benefici, ci dispiace tanto ma era giusto anche rischiare. È andata male, vabbè.
Ma se quel qualcuno arrivasse a dire che no, la frana del Vajont non c’è stata, non è morto nessuno, è un’invenzione mediatica inventato da chissachì… e no che non va bene, non è più un’opinione personale, è un falso storico, e come tale è giusto che vada perseguito.
Scusandomi per i due errori di battitura che ho fatto prima, nella fretta di scrivere… sono stato travolto dalla verità… volevo solo aggiungere che una persona deve sì essere lasciata libera di fare le scelte che vuole, ma sapendo però a quali conseguenze va incontro, su quale strada si è messa, altrimenti proprio la libertà viene meno.
Se vuole aderire ad un movimento violento, ok, aderisca, però consapevolmente, conoscendo con esattezza cosa ha prodotto quel tipo di violenza nel passato. Deve avere il diritto e il dovere di saperlo. Vuoi fare il ladro, vuoi uccidere qualcuno, sai cosa ti aspetta.
Invece, se tutto rimane indistinto, se i cumuli di morti sono solo un’opinione, anzi si possono tranquillamente negare, cade non la libertà di opinione, ma la libertà di scelta, e la vita diventa una sorta di ipnosi da incubo.
Io non penso che in questo modo tutto “rimanga indistinto”. Vogliamo veramente negare noi tutti umani dei dati storici? Non credo proprio. E allora dove sta il problema? Perché si ha paura di dimostrare le proprie ragioni in un dibattito civile? Non si tratta affatto di scegliere di fare il ladro o l’assassino, si tratta di avere un’opinione, che è completamente diverso!