L’ateismo pavido – (Michele Casella)

odifreddi
Ci sono degli atei che promuovono dibattiti e conferenze per diffondere la loro visione del mondo; perché lo fanno?
La negazione dell’esistenza di Dio è una rispettabile posizione circa la verità, come è altrettanto rispettabile la concezione opposta; tuttavia mentre la seconda offre il conforto della speranza, la prima offre la “certezza scientifica” che nega all’uomo ogni speranza. Mi domando a che serva indurre gli altri individui allo sconforto, mi domando che vantaggio abbiano gli atei a propagandare il loro ateismo.  Mentre il credente, per convincimento o dovere, deve compiere opera di proselitismo perché in questo modo diffonde la speranza della salvezza e, nello stresso tempo, acquisisce meriti per la propria salvezza, l’ateo non ha speranza per sé e toglie agli altri il conforto della speranza. Perché?
Perché l’ateo che fa proselitismo, a mio avviso, è un ateo non convinto del tutto, forse è un agnostico o forse è semplicemente un ateo pavido. Timoroso di accogliere per sé un bisogno spirituale, un credo che sente necessario, ma che non comprende e, per pura arroganza intellettuale, respinge da sé. Insomma  egli ha paura di morire (come tutti) e teme che di là possa incontrare l’Inesistente. Se avrà fatto opera di proselitismo, potrà sempre dire: “Perdonami, ma mi hai dato una ragione inadeguata per comprenderti e siamo in tanti ad esserci fidati della ragione!”
Lo so, è un giocare al piccolo psicologo; tuttavia trovo veramente strano il bisogno di Odifreddi di abbandonare i suoi studi scientifici e cercare notorietà mediatica solo in quanto negatore di Dio. Gli atei veri se ne stanno chiusi nel loro convincimento, eventualmente  rendono pubblici i loro convincimenti con garbo e senza acrimonia, magari hanno pietà per coloro che vivono nella menzogna ma non tolgono, con pervicacia e sarcasmi, speranze e fiducie!
A volte, anche perché non sanno se la loro sia effettivamente verità o menzogna.
Si dirà che lo fanno per amore della scienza e della verità. Io obietto che la scienza è sempre al servizio dell’uomo e dunque deve arrecare vantaggi maggiori rispetto agli svantaggi: diffondere lo sconforto e la disillusione a me non pare un grande vantaggio! La verità poi è tale per sé, non premia e non castiga, ma perché sia verità vera ha bisogno della prova inconfutabile e sulla questione dell’esistenza di Dio la prova non c’è! L’ateo deve dimostrare l’esistenza della Causa Incausata di essenza materiale, deve dimostrare che la materia inerte possa vivere ovvero che dalla materia-morta possa nascere la materia-viva! Il giorno in cui la scienza dimostrerà queste possibilità si sarà dimostrata l’inesistenza di dio ma fino ad allora non credere, così come credere, è semplicemente una questione di fede.

Michele Casella

15 pensieri su “L’ateismo pavido – (Michele Casella)

    • Risposta a Fabiano Neressi. Caro Fabiano, non ti conosco, ma sono un insegnante del Grigoletti e mi permetto di dirti che, dopo il suicidio di due studentesse a Pordenone, nel giro di pochi mesi, sarebbe il caso di evitare certe affermazioni. Monicelli si sbagliava e probabilmente sapeva di sbagliare. Certo, come scrive Peguy , che era socialista e di di potenti se ne intendeva, ” la speranza non va da sé. La speranza non va da sola. Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia” ( Charles Peguy, Il portico del mistero della seconda virtù, 24 settembre 1911).

      • Dall’affermazione del prof. Castenetto si può desumere che chi non crede in Dio non abbia alcuna speranza, quindi è più facile che scelga di suicidarsi. Anche in questo caso, direi, sarebbe il caso di evitare certe affermazioni e di fronte a una persona che si toglie la vita dovremmo fare almeno un passo indietro, non uno in avanti, giudicando quel gesto.
        Inoltre la speranza in sé non deriva solo dall’aderire ad una dimensione trascendente, ma fa parte della natura dell’uomo e si rivela nei gesti che egli compie per dare senso ai suoi giorni.

        • Caro collega, nel recente dialogo tra Papa Francesco ed Eugenio Scalfari, il papa ha chiesto: «Ma ora lasci a me di farle una domanda: lei, laico non credente in Dio, in che cosa crede? Lei è uno scrittore e un uomo di pensiero. Crederà dunque a qualcosa, avrà un valore dominante. Non mi risponda con parole come l’onestà, la ricerca, la visione del bene comune; tutti principi e valori importanti, ma non è questo che le chiedo. Le chiedo che cosa pensa dell’essenza del mondo, anzi dell’universo. Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?».
          Scalfari ha risposto: «Le sono grato di questa domanda. La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti. …. L’Essere è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere. Le forme hanno le loro leggi, i loro campi magnetici, i loro elementi chimici, che si combinano casualmente, evolvono, infine si spengono ma la loro energia non si distrugge. L’uomo è probabilmente il solo animale dotato di pensiero, almeno in questo nostro pianeta e sistema solare. Ho detto è animato da istinti e desideri ma aggiungo che contiene anche dentro di sé una risonanza, un’eco, una vocazione di caos.
          E Papa Francesco: «Va bene. Non volevo che mi facesse un compendio della sua filosofia e mi ha detto quanto mi basta. Osservo dal canto mio che Dio è luce che illumina le tenebre anche se non le dissolve e una scintilla di quella luce divina è dentro ciascuno di noi. Nella lettera che le scrissi ricordo d’averle detto che anche la nostra specie finirà ma non finirà la luce di Dio che a quel punto invaderà tutte le anime e tutto sarà in tutti».
          Se intendi dire questo quando scrivi che la speranza fa parte della “natura dell’uomo” siamo d’accordo. Infatti l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.
          P.S. Sì, di fronte alla morte di tanti giovani facciamo un passo indietro e domandiamoci se con il nostro insegnamento infondiamo loro speranza.

      • A me invece sembra che a qualcuno sia sfuggita la recente scomparsa di Alvaro Mutis, il poeta della disperanza, col suo personaggio Maqroll, che non ha paura della morte e del destino.

    • Primo, perché c’è il problema della morte, mentre ognuno di noi vuole la vita. Secondo perché c’è il problema del male e ognuno di noi vuole il bene. Entrambi questi problemi sono insolubili per l’uomo, che può sperare solo in un intervento esterno: l’incarnazione, la morte e la resurrezione di Cristo sono la vittoria sulla morte e sul male e quindi il fondamento della speranza per ogni uomo. La speranza di una vita nuova che inizia da subito e continua per l’eternità.

      • Premetto che, contrariamente a quanto potrebbe essere sembrato dalla mia domanda, non sono ateo. L’ateismo, così come il teismo, si fonda su una sicurezza che non credo mi appartenga e forse non mi apparterrà mai. Di certezze non ne ho, quindi posso definirmi un agnostico o al massimo un deista. Ad ogni modo, perché mai la morte e il male dovrebbero essere problemi insolubili? Primo, la morte è parte naturale della vita. Fa paura a tutti, questo è chiaro, ma non credo che l’uomo abbia bisogno di credere in una vita eterna ed eternamente perfettibile per vivere in pace e fare il bene, anzi questo credere rischia d’essere pericoloso, perché può portare a non ricercare il bene “hic et nunc” nella convinzione che, tanto, la nostra anima poi continuerà ad esistere. Secondo, il male è nostro. Siamo noi uomini a provocarlo e l’universo, purtroppo per noi, se ne frega. Confesso che anch’io, come molti penso, certe volte sono naturalmente portato a meditare su un qualche Essere superiore e a confortarmi nella sua idea, ma attribuirgli caratteri di esistenza, di persona, di volontà, di amore, mi pare troppo arrogante, almeno per quello che ci è dato di sperimentare sulla Terra. Il vero problema su cui si fonda il nostro agire, invece, e anche il problema che più da vicino ci interessa, alla luce poi delle recenti scoperte scientifiche, credo sia la libertà. Siamo davvero liberi? O tutto è già deciso dalla fisica? Questo è il mistero più inquietante e problematico secondo me.

        • Hai posto un problema interessantissimo, quello della libertà. Se la nostra persona non fosse legata ad un essere trascendente, non potremmo essere liberi, perché saremmo solo una parte infinitesimale dell’universo, soggetta appunto alle leggi della fisica, che conosciamo comunque in piccolissima parte. Solo il rapporto con il Mistero ci dà la possibilità di essere unici e irripetibili, ma occorre che il Mistero si faccia incontrare, come si incontra un amico. Questo è il cristianesimo. Per questo Gesù dice che conoscere la Verità ci rende liberi. La Verità che è una persona, fatta di carne. La carne di Cristo di cui parla sempre papa Francesco, ovvero la comunità dei credenti, i più poveri, ma in fondo tutti gli uomini, in quanto creati a immagine di Dio e redenti da Cristo. Tremano i polsi nel dire queste cose, se si pensa a come sono normalmente i nostri rapporti personali. Ma saremo giudicati su questo.

  1. Giusto, parliamo di certezze e di speranze. Ce ne sono tante sul mercato. Riporto in proposito una riflessione “laica” di Riccardo De Benedetti (presa da qui: http://goo.gl/1oW1S5 ):

    Leggo di Lizzani che definì il suicidio di Monicelli una «lucidità giovane». Sono parole di registi anziani. La definizione sembra voler attribuire all’idea di suicidio una giovinezza che mi è difficile da comprendere. Questo genere di anziani, profondamente delusi dalle circostanze storiche che hanno abbattuto tutti gli idoli e tutte le ideologie nelle quali via via hanno creduto e promosso; che hanno attraversato la cultura esaurendola ed estenuando le sue opportunità, anche materiali; che hanno percorso il mondo con l’ambizione di fornirgli con la loro arte un significato comunicabile; disperati eppure inclini a considerare le proprie vite come esemplari e significative (come si possa essere disperati continuando a credersi strumenti di pedagogie civili non mi è chiaro, o forse mi è fin troppo chiaro, trattandosi di uno dei paradossi più drammaticamente contemporanei, quello che vede l’abbandono di ogni credenza a vantaggio di un ente che non esiste: la società), escono da ciò che non hanno scelto, la vita, con un gesto illusorio: l’idea che ci si possa riappropriare di una cosa che non si è scelto attraverso la sua cancellazione non è lucidità giovane. E se questo è l’insegnamento che lasciano ai giovani allora vale il detto evangelico che i morti seppelliscano i morti.

  2. Partendo dal presupposto che nessuno, sia egli credente o ateo, può dimostrare l’esistenza o meno di Dio, né tantomeno dovrebbe essergli richiesto, mi pare doveroso dar ragione al prof Casella quando scredita l’ostentazione dell’ateismo portata avanti dal signor Odifreddi, come d’altro lato è da denigrare chi vanta il proselitismo. A che pro ostentare la superiorità della propria tesi senza il dato oggettivo dell’esistenza o non esistenza di Dio? La fede o la non fede, così come la speranza o la non speranza, sono oggetto di una scelta che ognuno compie nel privato; e non è certamente vera quella fede che s’incrina dopo aver ascoltato una conferenza, come sicuramente non è convinto delle sue ragioni l’ateo che si lascia smuovere da una lettera. Chi ci crediamo di essere poi per poter dire che un ateo non ha speranza o fede? Esistono così tante cose al mondo in cui si può credere e sperare: valori, oggetti, sentimenti, idee..perchè limitare la fede al solo Dio? A mio avviso la soluzione non può che essere il libero arbitrio: mettere tutti nella situazione tale di poter scegliere ciò in cui credere e per cui vivere. Quindi, se davvero si sta cercando di salvare qualcuno, bisognerebbe fornirgli gli strumenti per decidere la sua fede, non bombardarlo di opinioni.

  3. Spesso mi sono chiesta se tutti coloro che si professano atei lo siano veramente o non sia piuttosto un modo per nascondersi dietro il “timore” di incontrare l'”Assoluto” che può risultare talvolta ingombrante, scomodo, troppo esigente. Si potrebbero elencare tanti atei illustri che, con lo scorrere inesorabile del tempo, sono “approdati” a posizioni completamente divergenti rispetto al loro “credo” iniziale.
    Concordo con la riflessione del Prof. Casella, molto interessante, ed apprezzo la schiettezza del suo “dire”; talvolta, preferiamo tacere quando il nostro pensiero rischia di andare “contro corrente” ed invece…
    Complimenti al prof. Cescon per la qualità del materiale che caratterizza questo blog.

  4. De libero arbitrio

    La letteratura si è dunque ormai liberata da qualsiasi remora e soggezione. Per curare un’opera non è più necessario neppure conoscere la lingua in cui è stata scritta, preservarne il genere letterario e la struttura, e riportarne il contenuto integralmente, o anche solo fedelmente. Si può fare ciò che si vuole, preferibilmente avendo dei motivi per farlo. ( Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere, Rizzoli, Milano, 2013, p. 9.

    Spesso, bastano anche piccole accortezze, quali identificare Venere con una spinoziana Dea, sive Natura, o l’animo e l’anima con le funzioni del cervello e del sistema nervoso, per illuminare di luce nuova questi versi antichi, che una lettura troppo letterale rischierebbe di far apparire antiquati, offuscandone la visionaria attualità ( ivi, p. 9).

    Naturalmente, non bisogna esagerare a cercare nelle parole di Lucrezio anticipazioni scientifiche …. Il valore scientifico dell’opera di Lucrezio non risiede comunque negli specifici dettagli delle sue più o meno corrette anticipazioni, bensì nella sua generale visione divulgativa ( ivi, p. 23).

    Esempio:
    Quapropter bene cum superis de rebus habenda nobis est ratio/ Pertanto non solo delle cose celesti occorre avere conoscenza, / solis lunaeque meatus qua fiant ratione / per quale ragione avvengano i moti del sole e della luna/, et qua vi quaeque gerantur in terris, / e per quale forza ogni cosa avvenga sulla terra,/ tunc cum primis ratione sagaci unde anima atque animi constet natura videndum/ ma ancor più, con intelligenza acuta, quale sia la sostanza dell’anima e della natura dell’animo occorre vedere. ( De rerum natura, I, 127-131.

    Traduzione di Odifreddi:
    Se vogliamo fondare su “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” le cose supreme, il moto del Sole e della Luna e gli avvenimenti sulla Terra, a maggior ragione dovremo indagare, anche la vera essenza dell’anima e la vera natura dell’animo.

    In questo caso, come ognuno può notare, “ratione sagaci” è diventata le “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” di Galileo, ovvero il metodo scientifico moderno. Non c’è che dire, un bell’esempio di libero arbitrio.

    Roberto Castenetto

  5. Chiedo ancora una volta ospitalità a questo Blog per far notare un aspetto interessante emerso oggi in alcuni quotidiani. Si tratta della posizione espressa da Piergiorgio Odifreddi sui campi di concentramento che è perfettamente coerente con la sua idea di ragione. Dice infatti lo scrittore: «Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse so appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra, e non avendo mai fatto ricerche, e non essendo uno storico, non posso fare altro che ‘uniformarmi’ all’opinione comune; ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato».
    In altre parole noi saremmo sicuri solo di quanto possiamo verificare direttamente, mentre la conoscenza attraverso un testimone sarebbe sempre dubbia. Giustamente un suo lettore gli ha obiettato: «Dunque supponendo che lei non sia mai sta in Corea del Nord e non essendo un geografo, il fatto che la Corea del Nord esista per lei è solo un’opinione diffusa ma le cose possono stare molto diversamente da come le è stato insegnato…cioè la Corea del Nord potrebbe anche non esistere».
    In realtà tutti sappiamo che buona parte delle nostre conoscenze sono possibili grazie a persone di cui ci fidiamo, ovviamente perché abbiamo dei buoni motivi per fidarci. Questa è anche la dinamica della fede, che si basa su una catena ininterrotta di testimoni che da duemila anni tramandano l’evento cristiano e lo rendono presente nel proprio tempo.
    È significativo però come Odifreddi cerchi di spiegare i problemi fondamentali della vita, come, ad esempio, quello del male. Così scrive nel suo ultimo libro: «Virgilio sostenne argutamente che Giove aveva reso la vita difficile agli uomini per evitare che essi si rammollissero. Nel 1836, nella Ginestra, Giacomo Leopardi accusò invece pessimisticamente la Natura di essere “matrigna e inimica”, per averci condannati a “un’aspra sorte in un depresso loco”. Ma oggi l’evoluzionismo ci ha spiegato il motivo per cui il mondo è così mal fatto: semplicemente, perché è stato prodotto dal caso, invece che dalla bontà di Dio o dalla cattiveria della Natura» (Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere, p. 196).
    Giustamente Benedetto XVI, rispondendo al un libro di Odifreddi sulle presunte contraddizioni del Cristianesimo, ha scritto: «Se Lei, però, vuole sostituire Dio con “La Natura”, resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell’epoca moderna. L’amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c’è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota».

    Roberto Castenetto

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