La playlist dei prof – Alessandro Pegolo

1)  Summertime – Janis Joplin

Avevo più o meno sedici anni, ero a Lignano. Un’amica mi chiese se l’accompagnavo a casa sua a Mestre: doveva andare a prendere qualcosa con il fratello grande neopatentato. Che in autostrada correva a centottanta. Ero terrorizzato e gli chiesi se poteva andare più piano. “No,” rispose. “Devo assolutamente ascoltare Summertime di Janis Joplin: è questione di vita o di morte”. Arrivati, salì le scale così in fretta che, quando io e la mia amica arrivammo a casa loro, il disco stava già andando. Ed era una grazia: la voce roca della Joplin e le chitarre tirate al massimo, alternate a pause meditative… il tutto su un vecchio standard jazz (di Gershwin, da Porgy and Bess, 1935) reso irriconoscibile (ma le parole erano quelle!). Che meraviglia!

2) Alexandra leaving + The Letters – Leonard Cohen

“Il dono di una voce d’oro”, scherza in una propria canzone Leonard Cohen (classe 1934; tra l’altro, in Chelsea Hotel ricorda di avere avuto una liaison con la Joplin). Prima poeta (frequentava da giovane i circoli artistici di Montreal), ha saputo aggiungere ai suoi testi la voce d’oro -bassa come poche, ma anche suadente, senza però traccia di volgarità e autocompiacimento- e una sensibilità musicale che risale anche alla tradizione ebraica. Per molti, me compreso, è il più grande cantautore di sempre. Questi due bellissimi brani non hanno niente in comune se non che entrambi sono del nuovo millennio (rispettivamente 2001 e 2004, quando, quindi, L.Cohen, -così si firmava nell’emozionante Famous blue raicoat, di quasi quarant’anni prima!- era pressoché settantenne); inoltre entrambi si avvalgono egregiamente del controcanto di Sharon Robinson (Cohen è maestro nel mettere controcanti femminili nelle sue canzoni).

3) Ridere di te + Gli angeli – Vasco Rossi

Due brani di Vasco, scelti quasi a caso, solo per esprimere la gratitudine -tra breve è il giorno del Ringraziamento- di essere nato nella stessa decade di Vasco e quindi di capirne ogni riferimento, ogni sfumatura… (A volte me ne vergogno un po’, soprattutto di fronte a quelli che citano Mahler o Britten, ma in Vasco c’è la disperazione dei tempi e l’eterna angoscia maschile.) Ringrazio anche tutti i miei fratelli maggiori, Paolo Conte (è suo uno degli insulti che mi piace di più “E’ gente per cui le arti stan nei musei” -mi vengono in mente anche dei colleghi…), Francesco de Gregori (riascoltatevi uno dei suoi primissimi brani, cantato insieme a Venditti, che si intitola In mezzo alla città: sembra scritta oggi) e molti altri  (sì, anche quel brutto ceffo di Venditti, perché a volte è bravo, vedi le cose che dice sull’amore e il desiderio in Le ragazze di Monaco)

4) “Analfabetizzazione” – Claudio Lolli

“Più del vento sarà la mia bandiera forte, più del vento sarà, più del vento…” Poi qualche arpeggio e “La mia madre l’ho chiamata sasso, perché fosse duratura sì, ma non viva”. Quando ascoltavo Lolli su vinile, potevo immaginare di fondere in una sola canzone la fine di quella precedente e l’inizio (non c’era quasi stacco) di Analfabetizzazione (da Disoccupate le strade dai sogni, 1977). Lolli è stato il mio autore per tutta l’adolescenza. Io non lo trovavo neanche triste… La sua antipatia e scontrosità erano leggendarie, come quelle di Dylan: ma mica si deve amare il cantante per amare le sue canzoni…)

5) This is not America – Silje Nergaard + Hotel California – Jeanne Gies

Nota per il curatore della rubrica: cinque brani?!? Impossibile. Forse con cinquanta… ho dovuto lasciar fuori My baby just cares for me nella sorprendente versione di Cyndi Lauper, What are you doing the rest of your life della spagnola Anna Luna, due versioni di Autumn leaves di Eva Cassidy e di Tina May, I put a spell on you, hit di Nina Simone ma che io ascolto nella versione della tedesca di origini tanzaniane Lyambiko, e ancora It looks like rain di Jann Arden o Turn your lights down low con Lauryn Hill & Bob Marley, eccetera eccetera eccetera (questo per spiegare cos’è la preterizione…). I due brani del punto 5) sono due cover di brani ben noti (rispettivamente di David Bowie e degli Eagles), ma reinterpretati benissimo dalla norvegese Nergaard (n.1966, riconvertita al jazz dal 2000: il brano è del 2003) e dalla statunitense Gies (il brano è del 2002). Provate ad ascoltarli e mi direte.

Un pensiero su “La playlist dei prof – Alessandro Pegolo

  1. Caro Prof. Alessandro,
    Grazie per questa tua playlist un po’ d’altri tempi per alcuni, ma ancora attuale per molti. Ricordo con piacere che Leonard Cohen imparai ad apprezzarlo grazie a te quando ancora stilavi la tua “scaletta” per Tpn radio e facevi il deejay… Sono passati più di vent’anni.
    Ti saluto con molto affetto e lieta di leggerti come allora.
    Una tua ex-allieva
    Cristina

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