Diciamo subito che questa è un’intervista sul mondo del libro fatta a Mauro, il più importante libraio di Pordenone (ma, vorremmo dire, non solo). (Mi assumo volentieri la responsabilità di tale affermazione…).
In questi anni ha visto cambiare la città e il Paese. E con essi le abitudini legate alla lettura, che si ripercuotono sull’organizzazione stessa della libreria, sempre più portata a intrattenere e ad arricchire la gamma di prodotti venduti, anche a scapito della sua missione originaria.
Puoi riassumerci brevemente la storia della tua libreria?
La libreria è nata nel 1978, inizialmente eravamo in tre, e per molto tempo siamo rimasti in tre. Poi via via nel corso del tempo si sono aggiunti altri soci, fino a diventare un massimo di 18 persone, mentre adesso siamo in 16. Nel 1984 è stata aperta la prima sede in via Oberdan – in realtà era in via Mazzini perché eravamo sotto alla galleria vicino alla stazione – poi è stata aperta la seconda sede, quella in vicolo del Foro. Nel tempo poi abbiamo aperto le altre filiali, sia in città che fuori città; attualmente abbiamo 5 sedi, una qui a Pordenone, una a Portogruaro, una a Sacile, una a S. Vito al Tagliamento e una a Cordenons.
Diciamo che ci siamo dati una struttura di piccola catena, però ci tengo a dire che si tratta di una catena di librerie che conservano tutte quante lo spirito della libreria indipendente, quindi ogni libreria conserva una sua personalità, sia dal punto di vista della struttura fisica che del modo di lavorare, avendo ovviamente delle linee similari, e un tipo di conduzione abbastanza omogeneo.
Stiamo portando avanti una battaglia molto dura, anche perché l’anno scorso si è aperto un nuovo capitolo nel mondo del libro, perché per la prima volta una crisi economica, che sappiamo in realtà partire da ben prima, ha avuto degli effetti devastanti sul mondo delle librerie. In passato ad esempio si era resistiti, mentre l’anno scorso molte librerie indipendenti hanno chiuso al ritmo di una alla settimana, anche librerie storiche come la “Italo Svevo” a Trieste, 100 anni di vita probabilmente, Draghi a Padova, più di 100 anni di vita, o che si sono svendute alle grandi catene cioè quindi hanno perso la loro identità di librerie indipendenti e questo non è meno grave di una chiusura.
Nel corso di questi anni la libreria Al Segno è diventata uno dei poli culturali più interessanti di Pordenone. Un luogo dove non solo si acquistano libri, ma in cui ci si scambiano opinioni sui libri e ci si incontra. Come hai visto cambiare Pordenone per quanto riguarda la lettura?
Non ho visto grossi cambiamenti in questi anni. Dal punto di vista delle librerie, se apriva una libreria contemporaneamente ne chiudeva un’altra, quindi non c’è stato un aumento come può sembrare. Le librerie sono aumentate in termini di mq di vendita, solo in quello. Anche dal punto di vista della qualità non c’è stato un progresso rispetto ai primi anni. Anzi adesso le librerie di catena tendono a vendere bestseller, perché si guarda il fatturato, cioè si guarda alla quantità. Ma è un approccio fallimentare, perché i fenomeni di moda come la saga di Harry Potter, Il Codice da Vinci, 50 sfumature dell’anno scorso, sono solo una boccata d’ossigeno per gli editori, ma non aumentano il numero dei lettori. Dunque, nelle librerie indipendenti questi fenomeni di moda non possono essere così rilevanti. Noi mettiamo le novità in vetrina con la maggior calma possibile, mentre nelle altre librerie dopo un’ora il libro è già in vetrina. Perché il cliente non deve essere aggredito, da sbattergli in faccia la novità: il libro vale per quello che è dentro. E poi, quando il libro è di successo, le altre librerie lo tengono anche due anni in esposizione, mentre noi anche quando vende molto lo togliamo dalla vetrina perché ha già venduto abbastanza: lasciamo il posto a qualcosa che abbia un valore diverso.
Questi fenomeni di moda non aumentano men che meno il livello culturale del Paese, che sta regredendo da questo punto di vista.
Quando io ho cominciato, per 4-5 anni, fino alla metà degli anni ’80, ho potuto vivere il vero mondo del libro. Tutte le novità che uscivano le conoscevi, ne potevi discutere. Le spese, la burocrazia erano di un certo genere, e anche i guadagni erano conseguenti. A Natale si respirava un’atmosfera diversa, non di bieco commercio come adesso. Da metà anni ’80 c’è stata l’involuzione, io credo di poter dire che sia stato veramente stato il trionfo del capitalismo, che si è riversato su tutto, quindi anche sul mondo dei libri.
Dal punto di vista del pubblico a Pordenone abbiamo un pubblico importante, in parte quello di tutti i generi, perché come abbiamo detto in precedenza Pordenone è troppo piccola per fare una libreria elitaria, e in parte il pubblico dei lettori forti esigenti, che sono la nostra base, quella che ti permette di avere un rapporto con il cliente, come accennavo prima.
Cosa ti spinge a continuare a fare questo mestiere?
È proprio questa base di lettori forti, che ti fa dire: finché ci sono loro, lavorare in queste condizioni ha ancora senso.
Si sta aprendo in Italia, seppure lentamente, il mercato degli ebook. Su di essi vi sono molti giudizi negativi, che talvolta mi sembrano simili a quelli che i cultori dei manoscritti diedero ai primi libri a stampa. Del resto è vero che essi comportano un cambiamento di supporto e di pratica della lettura. Tuttavia per i «nuovi» lettori tale cambiamento è ormai un’abitudine sempre più consolidata. Perché dunque non concepire l’ebook come uno strumento per avvicinare il pubblico ai libri?
Alla fine il libro elettronico è sempre un libro. Cambia il supporto, ma il contenuto non cambia, e potenzialmente neanche il ruolo del libraio. Però il problema in Italia è che gli editori vogliono vendere gli e-book attraverso i loro e-reader; abbiamo chiesto a Mondadori il loro e-reader e ha rifiutato di vendercelo. Cioè, in Italia, caso unico nel mondo, gli editori vogliono controllare tutto, la produzione, la distribuzione e la vendita, anche dell’e-book. E se vuoi boicottare Mondadori e Feltrinelli, questi in un attimo vengono a Pordenone ad aprire i loro negozi e ti condannano alla chiusura. Non possiamo neanche diventare una libreria d’élite, perché Pordenone è troppo piccola come città.
A New York hanno chiuso due grosse catene e si stanno riaffacciando le librerie indipendenti, addirittura le librerie di quartiere. Ecco, stiamo aspettando che anche da noi arrivi questo momento, ma anche se arriverà il libro elettronico, in queste condizioni saremo sempre soffocati dai grossi editori.
Come sarà secondo te la libreria del futuro?
Penso che il futuro sia il libro elettronico, senza dubbio. Bisognerà pensare a come riempiremo gli scaffali lasciati vuoti dal venir meno del cartaceo. Come puoi vedere la libreria è veramente stipata di libri fino al soffitto. Ecco, come riempiremo questi spazi, con damigiane di vino, con pupazzi? Non sto scherzando, adesso il gruppo RCS, il secondo gruppo italiano, vende articoli di cartoleria come le bambole di Barbie. La PDE, la seconda azienda di distribuzione italiana, che è stata acquisita dalla Feltrinelli, quindi fa capo a quell’editore, manda i rappresentanti a vendere saponette!
Dunque, o ci mettiamo a vendere anche altre cose, oppure ci concentriamo perlomeno sul libro, ad esempio sulla didattica.
Credi che il mercato del libro sia cambiato perché lo sono gli editori e i distributori? Come?
Ormai il mercato è in mano alle grandi catene per più del 50%, catene che possiedono librerie di migliaia di metri quadrati contro librerie indipendenti che non vanno oltre i 400 mq. La competizione avverrebbe in teoria su tre fattori: il servizio, l’assortimento e lo sconto.
In realtà le librerie di catena lavorano solo sullo sconto, su cui le librerie indipendenti non potranno mai competere. I librai indipendenti non possono fare sconti perché curano il servizio e l’assortimento, e se scompariranno, come sta accadendo, scomparirà un patrimonio culturale del Paese. Perché questo fenomeno riguarda solo l’Italia; ad esempio in Francia le librerie indipendenti sono tutelate per legge: cioè il libro per legge non può essere considerato una merce qualsiasi, sono un patrimonio della Nazione.
Dunque, lo sconto massimo applicabile in Francia è del 5%, in Germania non esistono gli sconti, la Spagna, il Portogallo, perfino la Grecia hanno una soglia di questo genere.
Questa politica, al contrario di quello che si pensa, fa abbassare il prezzo del libro. Ad esempio, in Francia costa meno che in altri paesi. Quindi non esiste il grosso sconto su un libro, mentre magari su un altro ti fanno pagare il doppio, come in Italia.
In Italia gli editori hanno assunto una prepotenza inaudita, ricordiamo che ci sono grossi editori che fanno politica, ad esempio Mondadori.
Vorremmo che i nostri clienti capissero la nostra missione, perché sono loro a decidere il futuro di una libreria, non certo solamente lo scrittore. Se non c’è un rapporto di confronto tra queste due figure non ha neanche senso scrivere un libro. Così anche col libraio. È chiaro che il libraio vive della vendita dei libri, anche se non è costretto per forza a vendere a tutti i costi il libro al cliente, se non è libro giusto per il cliente (questo intendo con servizio); ma sarebbe giusto che una libreria fosse un luogo di cultura, se permetti, senza c maiuscola, ma sempre un luogo di cultura.
Una legge in realtà c’è anche da noi, stabilisce uno sconto massimo del 15% sul prezzo di copertina. È stata approvata solo due anni fa, quando Amazon è arrivato in Italia e applicava degli sconti che danneggiavano anche gli store online dei grossi editori. Però il 15% è già troppo, si è in perdita con una concorrenza del genere.
Dunque Amazon è stata costretta a non fare più sconti del 30%, che probabilmente riusciva a fare perché ha un sistema di tassazione molto particolare, probabilmente paga poche tasse attraverso conti all’estero, ecc.
Il discorso che faccio è radicale: il lavoro del libraio dev’essere serio dal primo all’ultimo giorno dell’anno. Qual è l’eresia? Abolirei il Natale, ovviamente non come festività ma come fenomeno commerciale. Perché c’è la ressa, c’è solo la cassa che funziona. Tutto il resto, lo fai meglio che puoi; è un modo di lavorare irritante, che ti aiuta solo a fare un po’ di cassa in più, ma in realtà a un costo che non giustifica l’incasso in più. Io posso dimostrare conti alla mano che a Natale si può andare in perdita.
Noi potremmo chiudere dal 15 dicembre e riaprire i primi di gennaio, ci prenderemmo tutti una bella vacanza, non ci dovremmo scannare tra di noi, e faremmo stampare agli editori il 30-35% di libri in meno. Infatti di questo 30% la maggior parte non viene venduta e torna indietro, in questa euforia generale cioè si lavora a vuoto. Ma gli altri non vogliono capire questo.
Noi siamo in generale tra i principali produttori mondiali di libri, si stampa tantissimo. In Europa siamo quinti, prima di noi ci sono Francia, Spagna e Regno Unito, che parlano delle lingue mondiali, poi c’è la Germania, per il fatto che il mercato è particolare, c’è un livello culturale elevato.
In Europa tuttavia siamo il penultimo paese come numero di lettori. Sotto di noi c’è la Grecia, che sappiamo in che condizioni si trova. Dunque, tu pensa a questa enorme forbice tra quanto si produce e quanto si vende: la legge della domanda e dell’offerta nel mercato libraio è completamente stravolta. Nel primo semestre dell’anno si vende poco? Allora si dovrebbe stampare di meno. Invece no, si stampa di più. L’importante è fare fatturato, tappare i buchi di bilancio, e poi si vedrà. Quindi il libraio deve farsi carico di una valanga di novità, che poi non viene venduto, e quindi si tratta di lavoro a vuoto. Quindi il libraio non ha neanche il tempo di leggere, e di vedere le novità sono tutte da buttare oppure c’è qualcosa di interessante, di originale. L’anno scorso sono uscite 62.000 novità, ma quante saranno le vendite? Forse il 10%? Bisogna tener presente che il 65% circa vende in quantità per ogni libreria 1 o 0 copie, cioè sotto la soglia minima delle 2 copie. Magari tra queste novità ci sono dei libri interessanti, che vengono dimenticati, persi per sempre. Il pensiero di quanti libri ti sfuggono è abbastanza irritante e anche angosciante. Te ne rendi conto quando per caso scopri il valore di un libro uscito 4-5 anni fa. A me è successo con un libro di Ota Pavel, che avevo in casa, e in un momento di pausa l’ho preso in mano, e scoprii un mondo.
Qual è il ruolo del libraio secondo te?
Credo che il libraio sia un operatore culturale. Certo, le cose sono cambiate molto. Ad esempio quando abbiamo aperto la nostra libreria era considerata una libreria media, mentre adesso è una libreria piccola. Quindi devi cercare di fare il commerciante, l’imprenditore, nella maniera più onesta possibile, cioè vendendo al cliente il libro giusto per lui e non farlo uscire dal negozio a tutti costi col libro: piuttosto non glielo vendo. Poi un libraio in teoria dovrebbe anche leggere dei libri. Il commerciante puro non fa natualmente questo.
Non vogliamo arrivare a quel tipo di standardizzazione che caratterizza ormai le catene delle librerie editoriali, vale a dire Feltrinelli, Giunti, ecc., che alla fine stanno diventando, quasi tutte praticamente, dei supermercati: sia per il tipo di conduzione che per il tipo di immagine, fra l’altro allontanandosi sempre di più dall’immagine della vera libreria, che è per definizione un contenitore di libri.
Ad esempio insieme ai libri, ora vengono venduti quaderni, penne, addirittura sta andando di moda l’abbinamento libro-cibo, l’ultimo format sono, come le chiamano loro, le Feltrinelli “Red” (Red, Eat, Dream), ovvero da una parte i libri, dall’altra il ristorante. Non ne faccio una questione di deontologia, ma mi chiedo quale possa essere in tale sede il ruolo dei librai, che infatti stanno scomparendo.
Quando sento parlare di Poesia con la P maiuscola, di Cultura con la C maiuscola, ho un senso di ribellione. Per me lo scrittore, il poeta, è un uomo, che fa qualcosa, come lo fa il contadino, l’artigiano. L’intellettuale è chiunque riflette su quello che sta facendo, chi si chiede il senso del domani. E il libraio ha anche lui un compito, una missione se vogliamo, sempre in minuscolo.
Ecco, l’importante di un libro è lo stile o il contenuto? Grande diatriba internazionale. Io preferisco un libro dallo stile contorto ma dal contenuto forte piuttosto che un libro scritto bene senza contenuto. Eduardo De Filippo ha detto: cerca la forma e troverai la morte; cerca la vita e troverai la forma. L’uomo secondo me deve impegnarsi ed essere cosciente in quello che fa. Poi è giusto anche confrontarsi con gli altri sul tuo lavoro. Ecco, una volta la libreria era un luogo di confronto, di vero scambio, come i caffè letterari; adesso questi luoghi non esistono più. Secondo me l’importante è il confronto, non esiste qualcuno che deve insegnare, qualcuno che deve imparare, qualcuno che ha la verità in tasca o è il più bravo. No, l’importante è il confronto. E questo dovrebbe essere il significato di cultura.
Intervista a cura di Fabiano Naressi.
Sono felice che finalmente si parli di questo mestiere-missione, perché credo che molto di quello che è successo dal punto di vista culturale a Pordenone negli ultimi anni sia anche merito di questi signori, il cui orario lavorativo va ben oltre quello di apertura del “negozio”! Grazie davvero a tutti voi!