La nuova edizione della Monarchia di Dante Alighieri (Salerno editrice, 2013), commentata a cura di Paolo Chiesa, dell’Università di Milano, e Andrea Tabarroni, dell’Università di Udine, sarà presentata mercoledì 20 novembre alle 12, presso la sala “Gusmani” di palazzo Antonini, in via Petracco 8 a Udine. L’occasione è offerta dai seminari promossi dal Centro internazionale sul plurilinguismo dell’Ateneo friulano. All’appuntamento, intitolato “Una nuova edizione della Monarchia di Dante” saranno presenti i curatori dell’opera, che discuteranno con Giorgio Ziffer, direttore del Centro internazionale sul pluringuismo, e con il pubblico anche a proposito della modernità dei temi e degli spunti che questo trattato dantesco ancor oggi suggerisce.
La Monarchia, opera di impegno civile e depositaria del pensiero politico di Dante nella sua forma più compiuta, «rappresenta – spiegano Tabarroni e Chiesa – un tassello fondamentale nell’evoluzione del pensiero dantesco. E tuttavia oggi è ancora poco letta». L’opera, infatti, «è forse – spiega Tabarroni – la più ostica di Dante, non soltanto per l’uso della lingua latina, ma anche per il linguaggio impiegato, che è quello della logica e della filosofia». Grazie alla nuova edizione commentata da Tabarroni e Chiesa, il lettore moderno dispone di un accesso più agevole al testo, che risulta comprensibile anche a un pubblico di non specialisti.
Andrea Tabarroni è direttore del Dipartimento di Studi umanistici e dal 1996 insegna a Udine Storia della filosofia medievale, concentrando le sue ricerche specialmente sulla storia della logica e del pensiero politico medievali.
Paolo Chiesa, che ha insegnato a Udine Letteratura latina medievale dal 1992 al 2006 ricoprendo per tre anni la carica di direttore del Dipartimento di Storia e tutela dei beni culturali, insegna ora presso il Dipartimento di Filologia moderna dell’Università di Milano e si occupa principalmente della tradizione manoscritta delle opere della latinità medievale.
La Monarchia, opera di impegno civile e depositaria del pensiero politico di Dante nella sua forma più compiuta…
Questa affermazione, non posta nel testo tra virgolette, è evidentemente da attribuirsi non ai Curatori dell’opera bensì all’anonimo estensore della breve nota informativa su di essa riportata nel post e contiene, come si può facilmente notare, un passaggio quantomeno problematico, se non proprio paradossale. Non ho ancora avuto modo di consultare l’edizione critica del testo ma, a quel che ho còlto curiosando tra le recensioni disponibili su internet, mi pare che i due studiosi, ribadendo senz’altro l’incertezza della datazione del trattato dantesco, si limitino a collocarla, correttamente, dopo il Convivio e, deduco, prima della Commedia, o quantomeno del Paradiso, con ogni probabilità completato dal Poeta negli ultimissimi anni di vita. Ebbene, dal momento che proprio nel Divino poema, e in particolare nella terza Cantica (ma anche, e in maniera del tutto omogenea e coerente con questa, nel Purgatorio e financo nell’Inferno, ma questo aprirebbe importanti questioni di cronologia cui non è possibile neanche solo accennare in questa sede), di politica si parla moltissimo e in maniera toto caelo diversa, direi proprio opposta, rispetto alle tesi della Monarchia, come si può definire quest’ultima la “depositaria del pensiero politico dell’Autore nella sua forma più compiuta”? O l’anonimo redattore intendeva più compiuta nel senso di più “moderna”, più interessante a parte subjecti, cioè quoad nos, e allora si è spiegato male, oppure, se, come pare di capire, il giudizio intende valere a parte objecti e cioè riferirsi alla evoluzione del pensiero politico dantesco quoad se, in tal caso si viene a creare un problema ermeneutico enorme, che implica come inevitabile innanzitutto una totale svalutazione della posizione della Commedia (successiva) in relazione proprio alla politica, che è appunto del tutto differente rispetto alle opere precedenti.
La sensazione sgradevole è che la presunta “compiutezza” politica della Monarchia – a mio modesto, ma non ingenuo o sprovveduto parere, assolutamente e totalmente rigettata e superata in seguito nel Poema – più che costituire l’esito obiettivo e spassionato di una indagine scientifica sul pensiero del Poeta rappresenti in realtà il desiderio di chi vorrebbe che Dante dicesse le cose che piacciono, qui e ora, a noi moderni cui farebbe comodo l’avallo di tanto illustre maestro. Ora, è del tutto legittimo che a un lettore possa andare a genio la Monarchia più della Commedia, ciò che non è scientificamente corretto è attribuire surrettiziamente a Dante una posizione altra da quella che emerge obiettivamente dalla effettiva evoluzione del pensiero dell’Autore in merito a questa questione.
La Monarchia, ci piaccia o no, NON esprime (non potrebbe per motivi anche solo meramente cronologici) la forma “più compiuta” del pensiero politico di Dante, ma solo una sua fase intermedia (il cui terminus ante quem è a mio parere costituito proprio dalla morte di Enrico VII), in seguito peraltro definitivamente rigettata, superata e variamente, per così dire, “espiata” dal pellegrino pentito nella Commedia, con la cui Weltanschauung essa ha somiglianze solo accidentali.