Il latino? Serve a capire perché parliamo così

Cucchi“Inutile studiare il latino perché non serve”. Una frase che ho sentito innumerevoli volte, anche quando il latino si studiava di più e meglio, e che ho sempre considerato basarsi su un equivoco di fondo e su una sostanziale volgarità di pensiero. Di recente la questione è tornata in ballo a causa di un genitore che si era espresso in questi termini scrivendo a «Repubblica». Sono poi intervenuti genitori meno sprovveduti e superficiali e c’è stato un articolo di Stefano Bartezzaghi. D’altra parte, «Avvenire» è su posizioni concretamente ben chiare, visto che ospita la rubrica «Hortensius» di Roberto Spataro, che con tutte – non nascondo – le difficoltà personali del caso, cerco di leggere con ammirazione. Ma torniamo al punto di fondo, e cioè al «non serve». Dico io: non serve a che cosa? E cosa realmente serve? Siamo ancora convinti che l’utilità debba per forza essere immediata e portare benefici immediati? Siamo così legati alla superficie e all’ovvio da non renderci conto che un simile atteggiamento è solo miope e privo di sostanza concreta reale? Il latino è la base del nostro quotidiano modo di parlare, è una lingua che, in fondo, ancora si parla, con le variazioni storiche del caso, in vastissime parti del mondo, e dunque conoscerla è così superfluo?
Ogni giorno, ognuno di noi si esprime usando parole di cui in prevalenza non conosce la storia e il senso stratificato, che vengono sempre da lontano e che, dunque, contengono una sintesi di esperienza umana, passata attraverso i secoli. Sapere meglio il senso di ciò che diciamo può essere considerato «inutile»? Le parole che usiamo non contengono forse concetti che vogliamo trasmettere ad altri? E se non sappiamo il senso di ciò che diciamo, che tipo di comunicazione realizziamo? Un tempo, chi frequentava le medie, usciva a 13 o 14 anni dalla scuola avendo già iniziato a leggere gli autori latini. Tutto questo significava maggiore acquisizione di conoscenze e consapevolezze o era solo frequentazione di lettera morta? E Dante, allora, è utile? O è solo un esercizio vano su un autore remoto? Purtroppo, oggi, l’ignoranza regna e dunque ci facciamo «istruire» da facce da tv, da somari visibili di vario genere. Ma chi meno sa, meno capisce del mondo e minore autonomia di giudizio acquisisce. A ben vedere questo errore, questa superficialità volgare, coinvolge anche lo studio della lingua italiana, visto che sempre più rara è la proposta di quella che in tempi non poi tanto remoti era chiamata «analisi logica» o «analisi del periodo». Qualcuno dice: non serve perché non si studia quasi più il latino. Doppia idiozia. La prima, nel considerare lo studio del latino come un ozioso optional, la seconda nel pensare che conoscere le strutture della nostra lingua non sia necessario. Ma, dico io: è meglio conoscere la lingua che si parla o no? Ci accontentiamo tutti di esprimerci come pappagalli? Insomma, più si abbatte il livello di approfondimento e più si arretra il nostro livello di conoscenza del reale. E questo vale anche per lo studio del latino o del greco, lingue dalle quali vengono la nostra cultura, le nostre radici, e che solo un fiero trionfo dell’ignoranza può indurci a considerare appartenenti a un sapere morto e superato.

 Maurizio Cucchi, da foglianuova.files.wordpress.com

Un pensiero su “Il latino? Serve a capire perché parliamo così

  1. Nonostante abbia finito il liceo da diversi anni, sono ancora in contatto con la mia ex professoressa di Latino e Greco.
    Lei mi ha detto che i giovani sono mediamente sempre più incapaci di tradurre bene le lingue classiche. A suo giudizio questo dipende dal fatto che i ragazzi a cui insegna sono cresciuti in una società veloce, che ti dà tutto e subito, e quindi non sono mentalmente preparati a fare qualcosa che richieda tempo, pazienza e fatica in quantità industriali come il latino e greco.
    Lei questo lo vede soprattutto da come i suoi alunni consultano i dizionari: spesso loro non hanno la pazienza di scorrere tutti i significati di una data parola, e quindi per velocizzare prendono il primo significato che gli capita a tiro e lo buttano sul foglio, senza curarsi minimamente né di guardare i significati successivi né di vedere se quello che hanno scelto “torna” nel contesto della versione.
    Questo genera delle traduzioni mostruose e completamente prive di senso, perché piene di errori lessicali; se poi ci aggiungiamo anche gli errori nell’ analisi del periodo, a quel punto scendere fino all’ insufficienza diventa facilissimo. A molti alunni basterebbe spendere qualche minuto in più nella consultazione del vocabolario per risollevare enormemente le loro medie.

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