“Into the wild” è un film tratto dal romanzo di Jon Krakauer “Nelle terre estreme”, in cui è descritta la storia vera di Christopher McCandless, un giovane laureato del West Virginia che dopo aver terminato i suoi studi universitari nel 1990, abbandona la sua famiglia e intraprende un viaggio di due anni attraverso gli Stati Uniti, fino a raggiungere l’estrema e solitaria Alaska. Il giovane protagonista, che durante il racconto assume l’identità di Alexander Supertramp, è un ragazzo comune che stanco e oppresso da una società consumista e capitalista trova, attraverso la fuga e il viaggio, il modo per sentirsi libero e per ritrovare se stesso e la sua intima felicità: Lo stesso Leopardi, autore delle “Operette morali”, nel “Dialogo della Natura e di un islandese”, utilizza un personaggio comune, un semplice uomo definito solo attraverso la sua nazionalità (l’Islanda) per tentare di rispondere alle sue domande di tipo esistenziale riguardanti la natura umana.
Alexander Supertramp, come Leopardi, ha avuto un’infanzia e un’adolescenza difficili a causa dei pessimi rapporti con i genitori troppo autoritari, oppressivi e rigidi persecutori delle norme. Questa insostenibile situazione ha portato Alexander a fare una riflessione sulla sua esistenza: chi è lui realmente? Come un uomo può dirsi veramente libero? Ciò ha suscitato in lui un desiderio di verità assoluta, tuttavia troppo oscurata dalle apparenze imposte dalla società moderna, che piano piano intrappola gli uomini in una cupa freddezza. Alex afferma: “Non datemi l’amore, non il denaro, non il lavoro, non la famiglia, non la fama, non la giustizia, quello che voglio è la verità!”.
Alexander ha bisogno di fuggire, di evadere per ritrovare se stesso e capisce che può farlo solo attraverso un lungo viaggio a stretto contatto con la Natura, privato di tutto e di tutti, nell’estrema, pungente e solitaria Alaska. “Non si può negare che andare liberi senza meta da sempre ci rende euforici. Ha a che fare con l’idea della fuga dalla storia, dall’oppressione, dalla legge, dalla noia degli obblighi…Libertà assoluta…E la strada porta sempre a Ovest”. È la Natura a dare soddisfazione ad Alexander; in essa il ragazzo trova il giusto modo di vedere le cose, ritrova la libertà e la bellezza del mondo: “Dio ha messo la felicità dappertutto, è ovunque, in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza”. Anche Leopardi nella sua giovinezza provava una volontà di evasione dal presente troppo opprimente e pessimistico. Riconosceva nello stretto contatto con la natura il piacere dell’uomo e nelle illusioni o in tutto ciò che generava infinito riponeva la felicità. Nella sua operetta lo stesso islandese afferma che prima di scoprire che il male è ovunque, egli aveva perseguito “l’ideale epicureo di una vita oscura e tranquilla”, tenendosi lontano dagli altri uomini.
Tuttavia nella seconda parte del film l’iniziale felicità interiore che si era generata nell’animo di Alexander, svanisce. Il suo sentimento positivo si trasforma in infelicità, agonia, inquietudine per la mancanza di cibo, perché vive solo, in un’oasi sperduta e non può contare sull’aiuto di nessuno e perché ha inavvertitamente mangiato un’erba che lo avrebbe presto condotto alla morte. Alex capisce che tutto ciò in cui fino adesso ha creduto è vano; egli rimane annientato dalla stessa selvaggia natura che, come una madre gentile e benigna, lo aveva reso tanto felice. La Natura ora gli trasmette tedio, inquietudine, disperazione; essa si è trasformata in una predatrice gelosa e avida.
Questo concetto trova la sua massima espressione nel “pessimismo cosmico” di Leopardi: anche il poeta infatti inizia a concepire la Natura come un ente maligno, nemico degli uomini, portatore solo di illusioni irrealizzabili e non di verità concrete e assolute. La Natura genera delusioni, sofferenze, noia e il suo unico scopo è la morte. Nel “Dialogo della Natura e di un islandese”, l’islandese ha fuggito tutta la vita la natura pensando che questa fosse la causa dell’infelicità tra gli uomini. Tuttavia si imbatte in essa, che ha le sembianze di una donna gigantesca, in un luogo sperduto dell’Africa; ma è proprio la Natura, cinica e indifferente al bene o al male degli uomini, ad affermare le leggi di uno spietato materialismo; il suo unico compito è di perseguire la durata dell’esistenza attraverso un “perpetuo circuito di produzione e di distruzione”. Così la ricerca di un senso da parte dell’islandese e quindi dell’uomo, resta senza risposta, sospesa. All’uomo resta solo la possibilità di denunciare la verità dolorosa che conosce e gettare verso di essa la sfida delle proprie domande di significato.
La grande illusione dell’islandese e di Alexander sta nell’essersi posti al centro dell’universo, quando in realtà a comandare non è l’uomo ma sono le leggi meccanicistiche della Natura.
Alla fine sia l’islandese sia Alexander muoiono; l’islandese muore però senza una risposta certa. Alexander invece, durante il periodo di agonia, capisce una cosa fondamentale: “la felicità è reale solo se è condivisa”. Alexander ha sempre cercato la libertà e tuttavia a causa di questa è morto solo, ma consapevole: “Quando si perdona si ama e quando si ama si è illuminati da Dio”. L’aver dato importanza al rapporto con gli altri, anche se solo in fin di vita, è un aspetto che viene ripreso anche da Leopardi nelle sue ultime conclusioni di pensiero. Il poeta infatti afferma che sulla coscienza del vero deve basarsi un nuovo modo di vivere da parte degli uomini: essi consapevoli del male comune e del nemico comune, devono unirsi in una “social catena”, cioè allearsi per ridurre insieme, il più possibile, il dolore di tutti gli uomini e accrescere la felicità consentita dal loro stato.
L’uomo infatti solo se si unisce agli altri può tentare di affrontare la natura, in nessun altro modo.
Lucia Zotti, 4Ds