Discutiamo sull’articolo 67 della Costituzione

Siamo una classe di studenti liceali che nelle ultime settimane ha approfondito, nell’ambito del programma di storia ed educazione civica, alcuni temi della nostra Costituzione, in particolare quello della rappresentanza. Ciò ci ha stimolato ad intervenire sulle affermazioni fatte da Grillo in questi giorni proprio su questo stesso tema. Grillo ha dichiarato (la Repubblica 04.03.2013) che, in base all’articolo 67 della Costituzione : “ L’eletto può fare, usando un eufemismo, il c… che gli pare, senza rispondere a nessuno”. Ed ha aggiunto che, nel caso in cui qualcuno dei neoeletti decida di tradire gli elettori e cambiare partito, si dovrebbe “prenderlo a calci.”
Per quanto ci riguarda vorremmo discutere la questione pacatamente richiamando innanzitutto l’attenzione sul significato che ha la distinzione tra “mandato imperativo” – in cui il rappresentante è vincolato alla volontà del rappresentato – e “mandato libero”, in cui il rappresentante non deve sottostare a nessun vincolo. Nel pensiero politico moderno, a partire da Hobbes, il sovrano, che il popolo fa nascere attraverso il patto politico, esercita il suo potere in modo indipendente, assoluto, senza dover essere autorizzato da altri. Il sovrano decide in modo incondizionato sulla base del presupposto che esso solo incarna l’interesse generale identificandosi con l’universalità della ragione, sciolta dagli interessi particolari, dai privilegi e dalle convenienze di questo o quel ceto sociale. Mandato libero, nella teoria e nella prassi politica moderna, non significa pertanto mandato arbitrario, ma soltanto non asservito a una parte qualsiasi, imparziale, in quanto istituito per tutelare i diritti di tutti gli individui indistintamente. Nel passaggio dall’assolutismo al liberalismo il principio del mandato libero non è stato scalfito. Il sovrano è divenuto il Parlamento, nel quale ciascun membro è chiamato a rappresentare l’insieme della Nazione. Ciò che è cambiato è che il mandato è, si, libero ma revocabile, in quanto temporaneo (dura da un’elezione all’altra).
L’assenza di vincolo di mandato, che è principio sostanzialmente liberale, è prevista dalla nostra Costituzione all’art. 67 – “ Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”- ed è un presidio irrinunciabile in tutte le Costituzioni liberaldemocratiche. Con il passaggio dal liberalismo alla democrazia, e con l’estensione universale del diritto di voto, abbiamo assistito ad un’ulteriore evoluzione politica che ha prodotto un pluralismo di visioni politiche e la formazione di diversi partiti politici, i quali hanno contribuito a rendere la vita politica più articolata e più dialettica. Tutto ciò ha comportato il riconoscimento del preminente ruolo dei partiti nella vita politica come risulta, per quanto ci riguarda, dall’art. 49 della nostra Costituzione: “ Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente ai partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Ma anche in questa nuova cornice il mandato dei rappresentanti del popolo non è stato sottoposto ad alcun vincolo formale. E’ certamente vero che il deputato, in un sistema democratico maturo, si trova di fronte a una doppia lealtà (e a una doppia rappresentanza): da un lato quella, tradizionale e formale, nei confronti dell’intera popolazione e, dall’altro, quella assunta nei confronti della parte politica a cui ha aderito, condividendone programmi e finalità politiche. Noi crediamo che non si possa eliminare la prima lealtà senza correre il rischio di trasformare i partiti in istanze autoritarie, sacrali, a cui sarebbe dovuta un’obbedienza cieca e finendo per concepirli come un tutto che non ammette alternative legittime. Ma, d’altra parte, riteniamo che anche la lealtà alla parte politica, a cui si è scelto liberamente di aderire, sia un valore da tutelare, contro i trasformismi e le scelte di convenienza. Tanto più se ciascun partito svolge la sua azione rispettando, al proprio interno, la trasparenza e il metodo democratico (ciò a cui i partiti dovrebbero essere obbligati).
Detto questo ci sembrerebbe utile discutere della possibilità che il rappresentante, pur restando libero di dissentire dal suo partito o, al limite, di staccarsi da esso per aderire ad un’altra parte politica, possa fare ciò pagando qualche prezzo in modo da non alimentare dubbi sulle motivazioni ideali e politiche delle sue scelte (per esempio perdendo il diritto a candidarsi nelle elezioni successive).

Gli alunni della II D del Liceo classico “G. Leopardi” di Pordenone

Un pensiero su “Discutiamo sull’articolo 67 della Costituzione

  1. Il problema è che i costituenti immaginavano un sistema elettorale proporzionale e con le preferenze. Quindi se un parlamentare cambiava schieramento, alle elezioni successive i suoi elettori decidevano se punirlo (non dandogli il ancora il proprio voto), o premiarlo (votandolo). Oggi purtroppo con le liste bloccate non è più così. Il voltagabbana può essere messo capolista, come ricompensa, dai dirigenti del partito in cui si è trasferito ed è quasi sicuro di venir rieletto. Quindi di mala voglia mi tocca dar ragione a grillo. Pur potendolo fare, oggi, chi cambia “casacca” meriterebbe di essere preso a “calci”.

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