Dante e il Cristianesimo – Eugenia Colin

Carlo SiniLa conferenza tenuta il 18 settembre da Carlo Sini, filosofo italiano tra i più noti, in occasione del suo nuovo libro che utilizza spunti riguardanti Dante e la Divina Commedia tratti dai libri di Erich Auerbach, filologo tedesco vissuto tra ‘800 e ‘900, si apre con una domanda: ‹‹Perché Dante ha scelto il volgare?››.
La Divina Commedia, opera senza eguali in nessuna letteratura, opera da considerare l’inizio di quello che è il mondo in cui viviamo noi oggi infatti è stata scritta in lingua volgare. La risposta potrebbe sembrare perfino banale, ma proprio per questa sua banalità diventa complicata. L’uso di questa lingua risulta una novità per il periodo in cui è stata scritta la Commedia e una stranezza per il fatto che Dante si è ispirato a Virgilio per il suo percorso e quindi a rigor di logica avrebbe dovuto usare il latino; ma come scrisse nel  De vulgari eloquentia (scritto in latino perché il testo venisse letto dai più ricchi) il volgare è da considerare la lingua materna, quella che appartiene al popolo ma che può essere anche resa elegante. La scelta del volgare di Dante è poi giustificata dalla rivoluzione indotta dal Cristianesimo: fino al primo secolo dopo Cristo alcuni gruppi di convertiti che non si ritrovano più nel paganesimo e quindi non vogliono neppure frequentare i circoli culturali, si estraniano dalla lingua latina prediligendo il volgare come lingua per i cristiani, coloro che vogliono allontanarsi dal classicismo.

Sini prosegue nel suo discorso ponendosi un’altra domanda: ‹‹Perché chiamarla Commedia quando in realtà non ha nulla di comico?››. Nel periodo classico la cultura era consentita solo a chi poteva permettersela tranne lo spettacolo teatrale della commedia, al quale poteva partecipare chiunque. Con la venuta del Cristianesimo c’è una rottura tra quella che era considerata cultura nel mondo classico e quella che si crea coi nuovi gruppi di convertiti: gli unici testi che interessassero i cristiani erano i Vangeli, scritti in greco e tradotti in latino non prima del terzo secolo, e non i testi degli autori latini trattandosi di testi con contenuti prevalentemente pagani, i quali verranno completamente abbandonati durante il Medioevo o riutilizzati, ma con occhio cristiano.
I primi predicatori cristiani pur volendo visibilmente imitare le norme classiche riguardanti le orazioni, suddivise in tre livelli, non erano in grado di usarle se non nel livello più semplice ed inoltre questa suddivisione in livelli per le prediche diventa inutile dato che l’unico argomento per tutti è la salvezza. La predicazione cristiana è una predicazione di umiltà in quanto l’essere umile pone Cristo più in alto rispetto agli altri rendendolo sublime e il più vero tra gli uomini. Dante stesso nella Divina Commedia si riferisce a Maria come “umile e più alta tra tutte le creature”. ‹‹Nella storia della redenzione (la Divina Commedia) compaiono persone conosciute e reali […] il gruppo delle persone socialmente elevate è posto al pari degli altri, il sovrano al pari della sgualdrina, […] tutta l’umanità è messa sullo tesso piano››. Sini concorda quindi con Auerbach nel ritenere l’opera di Dante come la prima grande espressione di cultura di massa e il poema che dà voce all’umanità cristiana. Di questo quindi parla la Divina Commedia, dove Dante riesce a unire infimo e sublime, cultura di massa e verità.

                                                                                                 Eugenia Ginevra Colin

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