“ E la chiesa inventò la donna”, il sottotitolo dell’ultimo libro di Michela Murgia , potrebbe sembrare l’origine pretestuosa di un lavoro che nasce da una circostanza quasi casuale: il sindaco di un paesino dell’entroterra sardo invita la scrittrice a un convegno dal titolo provocatorio ( Donne e chiesa: un risarcimento possibile ?). Tra parrocchiane composte e forse convinte di partecipare a un’ originale lettura del Rosario e un giovane parroco preoccupato di vedere scalfito il suo ruolo di difensore di un antico ordine, la Murgia, donna cristiana e militante nelle file dell’Azione cattolica, si ritrova a fare i conti con la sua formazione culturale e con una ragazzina sedicenne che ricevette la più misteriosa delle visite e accettò un figlio che la rese complice della salvezza del mondo. Questo però non è un libro sulla Madonna, perché in quel convegno la scrittrice si ritrova a fare i conti con tutte le donne della sua vita e con le loro storie, fatte di adeguamento a dei modelli che la chiesa ha contribuito a diffondere, ma che certi uomini hanno saputo codificare secondo stereotipi che vogliono le donne belle e silenti. Perfino le parole di una grande donna della chiesa cattolica, Madre Teresa di Calcutta, che vede il destino delle donne “come cuore del focolare o cuore della madre Chiesa”, forniscono una prova chiarissima che nell’ordine naturale del mondo le donne sono il cuore che serve e gli uomini la testa che ordina. La suora albanese non ha fatto altro che esprimere una convinzione radicata da secoli e che ha trovato un difensore di grande efficacia in Giovanni Paolo II , sebbene, nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem”, egli abbia tentato di attualizzare l’insegnamento della chiesa sul ruolo della donna alla luce delle istanze femministe degli anni settanta. Per chi come me ha vissuto la giovinezza proprio in quegli anni in cui stava cambiando la società e nuove conquiste sembravano profilarsi in tema di legislazione sul diritto di famiglia, il libro della Murgia è illuminante per comprendere le ragioni di chi non vedeva una soluzione solo di tipo politico al problema dell’emancipazione femminile. La scarsa attenzione a risolvere sul piano della quotidianità le problematiche femminili mi portava a non riconoscermi nelle manifestazioni di piazza da cui mi tenevo lontano e a convincermi che bisognava cambiare una cultura, per la quale le conquiste sul piano legislativo sarebbero state l’inevitabile conferma di un diritto realmente condiviso. Questo libro ha la medesima consapevolezza e si nutre di verità che sono sotto gli occhi di tutti. Finché ci sono donne che devono difendersi dall’invecchiamento, per non essere espulse dalla rappresentazione sociale e vedono accrescere la loro fragilità nell’età avanzata, a fronte di uomini che invece vedono riconosciuto lo status appagante di figure sapienti; finché la prospettiva per le donne è solo quella di perdere il ruolo di seduttrici, affidarsi al chirurgo estetico diventa una scelta obbligata. Se non si modifica un immaginario ancestrale che cristallizza le donne in archetipi riduttivi, non è possibile fondare rapporti paritari che riconoscano alle donne i ruoli che loro stesse si sono, liberamente, scelte. Solo ripartendo da nuove storie riusciremo a liberarci dalle trasmissioni televisive in cui imperversano i soliti convegni sul maschio in crisi di identità di fronte a donne che “osano” negarsi a un possesso, rivendicato in nome di contratti matrimoniali più adatti alla compravendita di merci che a una relazione affettiva. Solo così vedremo ridursi il numero dei delitti definiti passionali e compiuti su donne che osano rivendicare il loro diritto al rifiuto.
Liviana Covre