Il verbo leggere non sopporta l’imperativo
Se è vero, come diceva Gianni Rodari, che il verbo leggere non sopporta l’imperativo, è anche vero che non ricordo momenti in cui i libri non abbiano scandito la mia vita. Ho sempre creduto che il mio tempo debba spendersi, quasi quotidianamente, in libreria, ad “annusare” i nuovi libri che escono o a cercare spunti per discussioni con i miei studenti. Non so quando ho capito il potere della lettura, ma, in momenti non facili della mia vita, ho imparato che il piacere generato dalla parola scritta poteva salvarmi e che gli effetti collaterali, fatti di dipendenza e di adesione a un mondo di sodali, erano molto più vitali delle volute di fumo generate dalle erbe illusorie fumate dai miei compagni di gioventù. Le pagine dei libri mi hanno dato la forza di affrontare la vita con le gioie e le sofferenze che la governano, perché i libri che mi sono scelta hanno generato risposte o dubbi, ma mai sono stati silenziosi compagni. Il solo libro lasciato a metà è legato alla dolorosa esperienza della morte di mio padre e alle ore che ne hanno scandito l’agonia. Leggevo per non vederne la fine imminente, ma in quella dolorosa veglia notturna non sono riuscita a portare a termine una lettura carica del mio e del suo dolore.
Spesso ho raccontato ai miei alunni episodi legati al mio legame con i libri o al ricordo lontano di un libro bellissimo, di pregiata fattura, che mia madre, negli anni dell’infanzia, mi regalò per tenermi a letto a curare una polmonite: lo accompagnò con la preghiera di non leggerlo in fretta, dal momento che non poteva permettersi di acquistarne altri. Era “Le mille e una notte”: le storie narrate da una principessa, capace di ammansire un sultano col potere dei suoi racconti, mi aprirono un mondo nuovo e allora capii di quali frutti preziosi la mia immaginazione poteva entrare in possesso. Se allora amavo le storie fantastiche, nel tempo ho privilegiato di più la saggistica o romanzi che conservano un rapporto con la dimensione storica.
Ora sto leggendo “I traditori”, di Giancarlo di Cataldo, giornalista e scrittore di romanzi gialli. Dedicato al Risorgimento e a quei giovani che si illusero di cambiare il mondo, può essere considerato un romanzo storico, ma, accanto a personaggi realmente esistiti, ci mostra figure inventate e degne di un romanzo d’avventura, come in un feuilleton ottocentesco. Giancarlo di Cataldo sviluppa un racconto capace di farci comprendere il nostro presente attraverso un passato in cui molti possono riconoscersi e ci fa capire che forse la storia tante volte si ripete: sta a noi capirne la lezione. Sono tanti i personaggi di rilievo, ma fra tutti spicca Lorenzo, giovane aristocratico che paga la propria libertà con il prezzo del tradimento. Fugge a Londra dove incontra Striga, una ragazza muta dai capelli rossi, creduta indemoniata o pazza. Altri giovani entrano in scena, pronti a cambiare la storia, in un intreccio dinamico e caratterizzato da un ritmo narrativo incalzante che non può non piacere ai giovani lettori. Il libro si muove tra ideali e opportunismo, tra generosità e cinismo, raccontandoci il Risorgimento con la libertà di una moderna fiction, come nel film “Noi credevamo” di Martone. Lo consiglio quindi ai giovani perché possono leggervi, senza vacua retorica, come si è costruito questo paese tra cospirazioni e insurrezioni, tra sogni e ciniche avventure, ma, pur sempre ad opera di uomini che hanno creduto di poter realizzare un mondo nuovo, nato dalle loro idee. Lo consiglio inoltre perché credo che mai come ora abbiamo bisogno di una nuova stagione e di forze giovani che disegnino la realtà con la forza e l’innocenza della loro età.
Liviana Covre