Buongiorno dottore,
a scriverle questa lettera è un normalissimo ragazzo di quindici anni, che si ritiene fortunato sotto molti aspetti e che al mondo non avrebbe da chiedere nulla di più di quello che ha. Sarebbe, perciò, lecito per lei domandarsi perché questo ragazzo le abbia scritto una lettera. Beh, è complicato da spiegare, ma proverò a farglielo comprendere nel modo più semplice possibile. Come le ho detto, mi reputo un ragazzo fortunato: la mia famiglia sin da piccolo non mi ha mai fatto mancare niente, ho tanti amici che mi stanno vicino, vado bene a scuola e le passioni che coltivo mi danno numerose soddisfazioni. Ma, paradossalmente, è proprio questo equilibrio positivo a rendermi “instabile”, poiché nel momento in cui mi accorgo che anche un piccolo dettaglio non si trova nella posizione in cui dovrebbe stare, il mio carattere ne risente, trasformando quella che può essere una piccola mancanza in una profonda sensazione di insoddisfazione personale. Parlando in gergo medico, mi viene da pensare che questo sia uno dei sintomi di una “malattia” che purtroppo colpisce molti ragazzi della mia generazione: il non saper dare il giusto valore alle cose. E così ho scritto a lei. Conosco una minima parte della sua storia personale, dottore, ma data la realtà con cui ogni giorno si ritrova a confrontarsi, credo che pochi altri meglio di lei e delle persone che svolgono il suo medesimo ruolo, siano così “esperti” in materia. Sfogliando le pagine del libro “Oltrelacqua”, ho potuto percepire concretamente quello che lei prova quotidianamente: le difficoltà nel capire e nel farsi capire da quei ragazzi che vedono spezzarsi le ali dei loro sogni per colpa di un terribile scherzo del destino, la complessità di indossare la veste di medico al lavoro e quella di marito e padre nell’ambito familiare, avendo in entrambi i contesti il comune obiettivo di trasmettere un sorriso alle persone a lei vicine, gli atroci dubbi dettati dal voler dare speranze a chi in realtà di speranze ne avrebbe poche e la paura di crollare da un momento all’altro per le troppe responsabilità che gravano sulle sue spalle. Ma nonostante tutte queste difficoltà, lei va avanti e cammina a testa alta, con la consapevolezza che è il bene degli altri a fare bene a lei. Nulla più di questo può rendere forte un uomo e può fargli capire quali sono le cose che veramente contano nella vita, quegli attimi unici di cui non ci rendiamo conto, quegli spazi di tempo persi nel vuoto di una tristezza inutile, priva di senso, se confrontata con quanto di bello abbiamo attorno a noi. Quanto vorrei avere solo una minima parte della sua capacità di soppesare il valore delle cose, in modo da abbandonare tutti quei pensieri e quelle stupide riflessioni sul superfluo che mi impediscono di accorgermi degli oggetti, delle persone, dei minuti che davvero renderebbero completa la mia felicità. È strano, ma la invidio. Non credo farò il medico da grande, sento che non è quella la mia vocazione. Ma spero comunque di imparare ad acquisire il suo modo di vivere la vita. E scriverle questa lettera è stato già un primo passo verso tale obiettivo. Ringrazio lei e il libro che mi ha permesso di conoscerla. Se in futuro saprò davvero valorizzare le cose giuste, sarà anche merito suo.
Un saluto e un abbraccio
F.