Voglio… (Andrea Cozzarini)

Voglio vivere, sbagliare, cadere e rialzarmi,
andare avanti nonostante tutto e tutti,
voglio provare gioia, dolore e tristezza,
rabbia per poter distruggere e poi ricostruire.
Voglio avere un po’ di spazio per me,
un piccolo paradiso segreto,
e voglio avere tanto spazio per gli altri,
voglio renderli felici, perché “noi siamo
il nostro passato e il presente degli altri”.
Voglio alla fine non avere più la forza
per andare avanti e potermi arrendere,
ma voglio soprattutto poter esprimere
tutto questo, non per me, ma per gli altri.

Andrea Cozzarini (IV Bg)

¡Hola, chicos! ¿Qué tal? (Marta Fedrigo)

Fedrigo

La mia vita in Spagna è cominciata il 7 gennaio 2014 all’aeroporto di Madrid, dopo aver viaggiato con gli altri miei compagni (Elisa, Fabiano, Francesca, Silvia) da quel di Venezia con la nebbia, che è stato il nostro ultimo ricordo dalla terra italiana.
All’arrivo ho trovato Manuel, come Elisa Celia, Silvia Marta, Francesca Carmen e Fabiano Alex, con i loro genitori, in un clima di festa e di novità.
Dopo le iniziali presentazioni, ci siamo lasciati, ognuno alla volta della sua nuova famiglia. Io sono salita in auto con direzione “casa della nonna” che già era in fermento, curiosa di conoscere la nuova arrivata e impaziente di mostrarmi i numerosi presepi (mi pare 56) di cui era decorata la casa nel periodo natalizio.
Come non sentirmi già a casa: nella Semplicità di due donne (la mamma e la nonna di Manuel) ho ritrovato un pezzo della mia famiglia. Forse è vero: la bontà di cuore non ha passaporto.
I primi giorni sono stati essenzialmente di conoscenza: della famiglia, del territorio, della scuola.
Il calore della famiglia, la simpatia degli amici, una nuova vita da costruire, tutto ha contribuito a fare in modo che tutte le paure che assillavano i miei giorni prima della partenza (difficoltà ad ambientarmi e nostalgia di casa, soprattutto degli amici) sembravano avermi dato l’addio all’aeroporto di Venezia. Ero qui solo da pochi giorni ed era come se lo fossi da sempre. Probabilmente, però, l’accento e la parlata strana servivano a ricordarmi che non sono nata qui e che il 7 gennaio sono PARTITA dall’Italia.
Ma ora veniamo al racconto: probabilmente vi starete chiedendo che cosa facciamo tutto il giorno.
Innanzitutto, la scuola. Qui inizia alle alle 8.30 con 6 ore da 55 minuti, una ricreazione di 25 e una didattica un po’ differente dalla nostra. Ogni classe è dotata di un proiettore utilizzato dalla gran parte dei docenti per far fronte a una scuola e una metodologia non abituate all’uso del libro di testo. Le classi in Spagna non sono proprio quel blocco fisso di alunni a cui siamo abituati. Per la maggior parte del tempo i compagni rimangono gli stessi, ma al cambio dell’ora può capitare che arrivi qualcuno di “nuovo” per assistere alla lezione a cui è interessato, come può esserci gente che non partecipa e tutte le lezioni, ma solo a quelle in cui è stato “suspendido” l’anno precedente. In Spagna, infatti, la bocciatura non corrisponde al ripetersi di tutto un anno, ma l’obbligo è solo per le materie in cui è effettivamente avvenuta la bocciatura. Anche il ciclo di studi è organizzato in maniera differente. Gli anni delle nostre “scuole medie” sono infatti 4, cui ne seguono 2 di “superiori” prima id accedere alla carriera universitaria. Adesso noi, allievi di scienza umane, di quarta, per esempio, stiamo frequentando il secondo dei due anni precedenti all’università, mentre Silvia sta frequentando il primo di questi due (essendo un anno più giovane di noi).
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Ciò che resta di un concorso letterario (Elda Picari)

Elda PicariNon sono il tipo di ragazza forte che si rialza dopo ogni caduta, che trova ogni volta l’energia per riemergere. Se cado rimango tanto tempo per terra, accumulo sconfitte su sconfitte e ho paura di riprovarci, ho paura perché sento che potrei rimanere soffocata sotto la montagna di delusioni che si verrebbe a creare. Sono quel tipo di ragazza che ha bisogno degli altri per andare avanti. Eppure odio quando gli altri mi affiancano in questi momenti, odio quando mi guardano mentre piango e cercano di consolarmi. Odio quando cercano di Ciò che resta di un concorso letterario (parlarmi quando ancora sto visibilmente soffrendo. Non possono semplicemente lasciarmi da sola con i miei pensieri, a elaborare il fatto di essere caduta? No, la gente deve parlare. Sempre. E chissenefrega se ti fanno ancora più male, loro devono parlare, perché devono fare qualcosa. A volte basterebbe solo che stessero zitti. Il silenzio è la soluzione migliore di fronte ad una persona che sta piangendo. Poi si può parlare. Ma solo dopo.
Il silenzio o una mano sulla spalla.
Io non volevo piangere: volevo essere quel tipo di persona che di fronte ad una sconfitta alza lo sguardo fiera e consapevole che le sconfitte forgiano il carattere. Ma le lacrime sono scese da sole, nel momento in cui mio fratello si è girato ed ho incrociato il suo sguardo. Mi ha fatto sedere su una sedia che si era appena liberata, si è messo dietro di me e mi ha messo una mano su una spalla e non ha detto una parola. Una donna ha iniziato a fissarmi, un uomo mi ha lanciato uno sguardo triste, chi andava via mi osservava per un attimo e poi proseguiva per la sua strada. Quelle persone stavano violando il mio dolore. Forse non è la sofferenza più grande di cui si possa scrivere, ma per me era importante ed era privata della sua intimità. Avrei voluto essere in una stanza da sola, ma ero in mezzo ad un mucchio di gente e la mia famiglia era lì. Cosa dire? Niente. Mio padre era in piedi, appoggiato al muro insieme a mio zio. Mi alzai, feci segno a mia madre e a mio fratello di alzarci, uscimmo  dalla  stanza,  seguiti  dagli  altri  due  e  andammo  fuori  all’aria  aperta.  Il  freddo  era insopportabile, ma mi sembrava una punizione giusta. In quel momento mi sentivo colpevole di avere creduto in qualcosa, di essermi illusa e di aver pianto come una stupida; e allora pensavo fosse giusto che soffrissi un po’. Mio padre si accorse che avevo indosso solo la maglietta nera con pizzo e mi ordinò di mettere su la felpa che avevo riposto nella borsa quando ero andata in bagno. Volevo sembrare un po’ carina quando forse mi avrebbero premiato. Nessuno disse niente del concorso e il mio era stato solo un disagio momentaneo, o forse no. Forse era ancora dentro di me. Discussero di cose futili e io mi limitai ad annuire e parlai solo con mio fratello, anche se di cose altrettante futili. I discorsi seri non avevo voglia di farli.
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Prometeo condannato e legato a una colonna (Anna Vianello)

PrometeoLa folla si è riversata nell’agorà nel pomeriggio. Tutta la gente è tuttora riunita attorno all’alta colonna che tiene prigioniero Prometeo, figlio del titano Giapeto e dell’oceanina Climene. È stato momentaneamente arrestato questa mattina, all’alba, in seguito alle disposizioni del grande Zeus, con la condanna di essersi gravemente macchiato di ΰβρις. Egli ha infatti ingannato gli dei, rubando loro fuoco e cibo prelibato, con l’intento di aprire le porte al popolo terrestre sulla strada del progresso. “Quel che è troppo è troppo! Non permetterò un’altra volta che questo giovine ingenuo e superbo si prenda gioco degli dei. Siamo i suoi creatori, ed è a noi che deve tutto ciò che è”, ha spiegato concitatamente il possente Zeus un paio di ore fa. “Io e i miei colleghi ci siamo a lungo confrontati, e mi rendo loro portavoce”, prosegue, “pensiamo che tutto ciò sia ridicolo. Un mancato rispetto e una tale sfrontatezza devono essere senz’altro puniti”. Prometeo infatti, dopo il processo, è stato legato a una colonna, e un corvo gli mangia costantemente il fegato. Un’immagine raccapricciante, sottoposta agli occhi di tutto il popolo: “Sei il mio eroe, il mio idolo”, grida qualcuno tra la folla. Tutti infatti, sono in delirio: sono in atto manifestazioni di ringraziamento, ma perfino proteste e scioperi della fame contro gli dei, che hanno bruciato e messo a tacere per sempre il simbolo della lotta per il progresso dell’umanità. Ovviamente non si conoscono i risvolti di questa faccenda, quindi tutte le autorità sono all’erta, per evitare brutte sorprese.

Anna Vianello (IV Bg)

…dall’Olimpo.

Il caso Apollo e Dafne rimane per ora irrisolto (Anna Vianello)

Così la metamorfosi di Dafne fa sprofondare il popolo nell’incertezza

Apollo e Dafne

Il mio amore per lei non svanirà mai, è sempre bellissima.” Queste le parole di Apollo, rilasciate ieri in conferenza stampa sul Parnaso. “La amo così tanto che non potevo lasciarla andare”, spiega il dio di Delfi, ancora sconvolto per l’accaduto. Solo poche ore prima, infatti, il dio si era lanciato in una lunga, epica corsa sulle tracce di Dafne, la bellissima ninfa peneide. Apollo sembrava mosso da un improvviso, folle amore per la fanciulla, la quale, impaurita, continuava a fuggire. Gli dei, interpellati, hanno confermato che Dafne, stremata, ha chiesto il loro aiuto. Pochi secondi dopo si è vista trasformata in una foltissima pianta d’alloro. Ora si trova nel giardino botanico di Tenedo, in attesa di accertamenti. Nel frattempo le indagini continuano: per ora sembra che sia stato Cupido ad accendere l’amore di Apollo, ma queste sono ipotesi basate su fonti incerte, poiché Cupido si è avvalso della facoltà di non rispondere. Avremmo sviluppi in seguito. Nel frattempo il tutto procede nello sgomento del popolo e dell’Olimpo.

Anna Vianello (IV Bg)

La 5Ds a Pordenonelegge

pordenonelegge
Ogni studente della 5Ds ha adottato alcuni incontri di Pordenonelegge 2013 e ha fissato le frasi che lo hanno colpito di più.

Lucia Zotti – Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori

  • “Perché quelli che vogliono cambiare il mondo non aspettano. Lo fanno”
  • “Cambiare il mondo si può. Cambiare conviene”
  • “Parafrasando un antico proverbio africano, il momento migliore per cambiare l’Italia era tanto tempo fa. Ma se non lo abbiamo ancora fatto, il momento migliore è adesso. La strada è una sola. Si chiama innovazione senza permesso”

Caterina Zuliani – Ripensare il nido d’infanzia: uno spazio per i bambini

“Gli spazi (i nidi d’infanzia) devono adattarsi alle necessità, devono essere modellabili, non sono i bambini che devono adattarsi agli spazi, questi nuovi spazi sono gli “open space”. L’“open space” non è irrealizzabile in un asilo tradizionale, poiché i “numeri” sono solo dentro le nostre teste”. [F. Cremaschi]

“Bisogna ripensare l’impostazione tradizionale, spostare la centralità sul bambino come persona, come singolo. Bisogna creare diversi centri di interesse perché il bambino abbia la libertà di scegliere i propri percorsi e di ambienti aperti (anche vuoti) in cui c’è maggiore possibilità di scambio fra i bambini, i quali in questo modo esprimono la propria creatività, realizzando la propria natura.” [L. Fornasier]

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Il linguaggio dell’arte – Lezione di Alberto Sonego (14 e 15 novembre 2013)

TurnerQual è il rapporto che si instaura tra l’arte ed il linguaggio? L’arte può essere definita “un” linguaggio? O più radicalmente: questi due concetti si confrontano davvero tra loro, intersecandosi e, forse, confondendosi l’uno con l’altro?
Per rispondere a queste domande, alla filosofia è richiesto uno sforzo teoretico non da poco: una perpetua tensione alla Verità, al compiersi del pensiero. Ciò che viene chiesto alla filosofia, in fin dei conti, è una teoria in grado di dare delle risposte a quegli interrogativi; oppure, molto più semplicemente, gli “strumenti” che si domandano ai filosofi sono definizioni: lo scioglimento delle difficoltà comportate da alcuni concetti mediante operazioni di analisi.
Soltanto accedendo a questi “strumenti” ci si avvicina alla seguente elaborazione di un impianto teorico in grado di fornire delle risposte, in grado di descrivere un racconto complesso quale è quello pronunciato dall’annodarsi dell’arte e della poesia attorno alla faculté du langage – mascherati da sistemi semiotici “innocui”. Ma solamente procedendo nell’analisi è possibile scoprire, quasi come resti archeologici, questi “strumenti” funzionali alla costruzione di una teoria dell’arte, e del suo rapporto col linguaggio. Richiamandoci alla parentesi epistemologica dei Fondamenti della teoria del linguaggio di Louis Hjelmslev, diventiamo consapevoli dell’esigenza del superamento dell’aporia che si presenta quando supponiamo il significato di alcuni termini che sono, invece, ambigui, oscuri.
Ecco il perché dell’incontro con Martin Heidegger; con i concetti di “ente” ed “Essere”, con il Sage, con il “linguaggio in quanto Linguaggio”. Ed ecco, allo stesso tempo, lo scontro con un autore che ci costringe a rivedere e riformulare la definizione dell’identità tra arte e linguaggio, e ci obbliga a riflettere sulla differenza tra produzione ed istituzione – in merito all’essenza dell’arte-, sulla presenza “attiva” di un soggetto creatore.
Non “tutto-Heidegger”, ma giusto i suggerimenti che provengono dalla sua opera, dal suo pensiero, ricavati e compresi alla luce delle metafore che Bhrartrhari riferisce alla Parola: ulteriori tasselli della teoria a cui stiamo cercando di avvicinarci. Arte come “Linguaggio” e non come “linguaggio”, che corrisponde all’uomo (o che, per meglio dire, lo “struttura”: arte come mythos e non più come logos.

Alberto Sonego

Qui le slide in pdf della lezione: Linguaggio_dell’arte.
Qui la bibliografia della lezione: Bibliografia Lezione Alberto Sonego.