Intervista a Giovanni Lessio

fim_intervista 0131) Qual è il significato delle iniziative Foyer Aperti e HappyHour?
I “Foyer Aperti” sono una proposta rivolta alle diverse realtà culturali della città e del territorio per permettere di valorizzare i loro, possibilmente giovani, talenti artistici. Un modo per quest’ultimi di potersi esprimere in un contesto prestigioso ma anche un’opportunità di mettere a confronto stili e linguaggi artistici diversi.
Gli “Happy Hour” hanno una duplice finalità: quella di fornire un “servizio” a coloro che vogliono consumare uno spuntino leggero prima degli spettacoli e, nel contempo, una “vetrina” dei prodotti enogastronomici tipici e di qualità della nostra provincia. L’auspicio è che diventino anche momenti di socialità fra coloro che amano frequentare il teatro cittadino.

2) Come si pone il Verdi rispetto alla città?
Come un punto di riferimento culturale, una vera e propria “casa della cultura” aperta al contributo di tutti coloro che voglio far crescere il livello culturale, di per sé già alto, di Pordenone. Il Teatro vuole inoltre diventare un punto attrattivo anche per le persone che non conoscono o frequentano poco la città e contribuire così a vivacizzare il centro storico. Infine, il Teatro si propone quale volano di iniziative progettuali originali e ambiziose quali, ad esempio, il riconoscimento di Pordenone “città della poesia”.

3) Come sta andando la stagione teatrale?
L’andamento è positivo nonostante la crisi economica abbia investito pesantemente il nostro territorio. Il Teatro, da parte sua, ha aumentato il numero degli spettacoli comprimendo il costo di alcune tipologie di abbonamenti, contenendo i prezzi dei biglietti e incentivando la presenza dei giovani con specifiche azioni promozionali.

4) Quali altre iniziative sono in cantiere?
Molti sono i “progetti” in cantiere per rispondere alle diversificate esigenze dei diversi “pubblici” che frequentano il teatro. Dai pomeriggi che le famiglie potranno interamente trascorre a teatro (spettacolo per i bambini, animazioni nei foyer, possibilità di consumare la merenda offerta), a concerti di musica leggera di band internazionali. C’è anche un’ipotesi di notte bianca……
Il Teatro ha però anche una sensibilità sociale: mi piace ricordare che il 9 dicembre, il maestoso concerto Messiah di Hadel, diretto dal prestigioso maestro Tom Koopman, è stato dedicato alla difesa del lavoro nella nostra provincia.

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Intervista a Irene Cao

Irene Cao

Proseguiamo nel nostro itinerario di interviste, ritornando però all’ambito letterario. Irene Cao, autrice della trilogia erotica che ha riscosso un grandissimo successo a livello internazionale Io ti guardo, Io ti sento, Io ti voglio, si è gentilmente prestata a rispondere alle nostre domande.

Fare la scrittrice è un sogno che insegui fin da bambina, o una passione nata più tardi, tra “sudate carte” universitarie?

Scrivo da sempre. Un tempo, quando non c’erano i laptop, i tablet e tutti gli strumenti tecnologici di cui disponiamo ora, scrivevo su fogli volanti, su taccuini, quaderni e diari che ancora conservo. Scrivevo per necessità e per lasciar fluire i pensieri. È iniziato, forse, come esercizio terapeutico, poi è diventato qualcosa di più. Ma non mi sentirò mai davvero “scrittrice”, semplicemente perché non amo identificarmi in un ruolo.

Come riesci a conciliare questa meravigliosa attività, che richiede senza dubbio tanta concentrazione, con gli amici e il resto della tua vita? Da qui prendo spunto per un’altra domanda: sei in questo senso più Elena o più Gaia?

Non è facile. Quando inizio a scrivere, tendo ad isolarmi dal resto del mondo per qualche mese. Un romanzo non è un racconto: richiede un grado di concentrazione e un impegno psicofisico notevoli. Per mia natura non riesco a scrivere in mezzo al rumore; ho bisogno di molto silenzio dentro e fuori di me. In questo senso, forse, sono più Elena, così rigorosa – almeno all’inizio – nel suo lavoro di restauratrice. Gli amici, quelli veri, sanno comprendere i miei mutevoli stati dell’animo, come io comprendo i loro. Quando supero la fase critica, che coincide più o meno con la gestazione dell’opera, in genere ritorno alle persone care con una nuova energia e questo fa bene a tutti, a me e a loro.

Quali sono i momenti in cui ti senti più ispirata? Che cosa significa per te ispirazione?

Quando m’innamoro, mi sento più ispirata. Ma non mi riferisco all’innamoramento classico tra uomo e donna. Per sentirmi davvero ispirata, devo prima innamorarmi della storia, dei personaggi, dei luoghi che sto per raccontare. Ispirazione per me è innamorarsi ogni giorno.

Quali scrittori prediligi?

Il Novecento italiano e in generale i classici, forse anche perché ho avuto una formazione “classica” (dal liceo alla laurea in Lettere Classiche, fino al dottorato in Storia Antica). Da Saffo a Pasolini, passando per Lucrezio, Dostoevskij e Moravia.

Ci sono particolari modelli su cui ti sei basata nella stesura della trilogia, oltre al celebre Odi et amo di Catullo, che sembra calzare a pennello con la storia di Elena e Leonardo?

Oltre ai classici citati sopra, due romanzi in particolare mi hanno ispirata: Il piacere di Gabriele D’Annunzio e Jane Eyre di Charlotte Brontë.

L’Assunta di Tiziano gioca un ruolo importante nell’iniziazione di Elena al piacere, rappresentando il contrasto che da sempre traccia il confine tra sacro e profano. Sono queste due componenti dell’eros? In che modo ne fanno parte?

Nell’eros c’è sempre qualcosa di sacro e qualcosa di profano: il miracolo avviene quando, attraverso l’incontro dei corpi e degli spiriti, questi due mondi si fondono in un Tutto dove ogni confine si annulla. Nella trilogia ho scelto tre opere d’arte che segnano un momento di svolta nel percorso di Elena: l’Assunta di Tiziano nel primo libro, la Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio nel secondo, l’Estasi della Beata Ludovica di Bernini nel terzo. Sarà anche attraverso un nuovo modo di approcciarsi all’arte che Elena cambierà nel profondo.

Freud sostiene che vediamo nella persona amata nient’altro che noi stessi. Elena tuttavia vede in Leonardo l’immagine di un’altra da sé. Fino a che punto l’amore (perché, checché ce ne raccontino Leonardo ed Elena, è di amore che si tratta) può cambiare la vita di una persona?

L’amore ci cambia, radicalmente. Ma il cambiamento può essere positivo solo quando non rinunciamo alla nostra identità più autentica e profonda (spesso non sempre evidente a noi stessi) e quando sappiamo ritrovarci l’un l’altro ogni giorno come persone nuove, in continua evoluzione.

Per certi versi scrivere non è tanto diverso da girare un film, sei d’accordo? Detto questo, condividi anche tu la passione per il cinema di Filippo? Quali sono i tuoi film preferiti, quelli che ti piace guardare e riguardare (a parte Una giornata particolare di Ettore Scola)?

Sono assolutamente d’accordo. Ho adottato un approccio molto cinematografico per scrivere la trilogia: era come se avessi avuto una macchina da presa tra le mani e mi fossi messa ad inseguire i miei personaggi nei luoghi della loro storia e nelle loro anime. L’incipit stesso di Io ti guardo è molto cinematografico: si parte dal particolare – il melograno dell’affresco con cui Elena è alle prese – e poi si allarga il campo per inquadrare il resto della scena. Esattamente come potrebbe succedere in un film. Io sono una sostenitrice del buon cinema italiano. Rimpiango il Neorealismo (da Roberto Rossellini a Vittorio De Sica a Michelangelo Antonioni), ma anche il realismo magico di Federico Fellini. Nel cinema contemporaneo prediligo Giuseppe Tornatore, Marco Bellocchio, Francesca Comencini, Francesca Archibugi. Ma mi interessano ugualmente i registi emergenti e mi piacerebbe che fosse un regista giovane a trasporre in film la trilogia, dando però più rilievo alla componente emozionale che a quella prettamente erotica.

Nella realtà in cui viviamo, per fortuna, il peso della censura non si fa sentire, e la letteratura erotica trova il suo spazio senza problemi. Quello tra arte e moralità rimane tuttavia, per certi versi, un conflitto ancora aperto. Pensi a questo riguardo che si possano fare ulteriori passi avanti?

Penso che siano già stati fatti passi da gigante, ma rimane pur vero che certe tematiche continuano a far parlare e a ridestare sopiti moralismi. Credo, tuttavia, che un confine a volte si renda necessario, non solo per demarcare lo spazio del non-osceno, ma anche per tracciare una linea di separazione tra ciò che può essere arte e ciò che non lo è.

Se insegnassi lettere al Liceo, credi che daresti più spazio alla scrittura creativa? Se sì, in quali forme?

Ho insegnato lettere al Liceo Classico di Mestre e ricordo con immensa gioia le lezioni sulla poesia e il grande fervore dei ragazzi nel produrre testi in versi. Eravamo a maggio, l’estate si stava avvicinando e andavamo a fare lezione sul terrazzo, in cortile, sui gradini della scuola. Un modo, forse non troppo amato dal preside, per allontanarsi dalla realtà poco ispirante dell’aula e aprire i sensi al mondo fuori. Quell’anno di insegnamento rimane per me un ricordo meraviglioso.

Infine, un piccolo consiglio a chi vorrebbe cimentarsi nell’affascinante arte che è la scrittura…

Bisogna ascoltarsi profondamente, poi la scrittura fluisce da sé, naturalmente, senza sforzo. Quando sforzi il cervello, non sei sulla strada giusta.

Intervista a cura di Giulio Bertolo

Intervista a Teho Teardo

Teho Teardo
Continuiamo la nostra rassegna di interviste a personalità nostrane andando ad approfondire la scena musicale underground locale, nella quale spicca il nome di Teho Teardo. Il compositore di colonne sonore di numerosi film di successo quali Il Divo, La Ragazza del Lago e Una Vita Tranquilla ci parla della sua esperienza musicale, dai suoi inizi nel campo dell’industrial music fino alla recente collaborazione con Blixa Bargeld, pioniere della scena industrial internazionale coi suoi Einsturzende Neubauten.

Cominciamo con la tua produzione musicale: da quel che ho potuto capire, al contrario delle mie aspettative, sei attivo nella scena musicale sin dagli anni 80, prima solista e poi con altri complessi quali i Meathead, nei quali si riconosce una forte vena industrial rock. Come è accaduto il passaggio da questa fase “rumorista” a quella più “melodica” che caratterizza buona parte della tua produzione solista attuale, come si può riscontrare nei lavori per il cinema o nell’ultima tua uscita?

Mica posso immaginarmi una vita sempre e solo nello stesso punto, sia musicalmente che in generale. Sarebbe una noia mortale. Per me si tratta di un percorso di ricerca. Non penso alla musica in termini di rumore o melodia, sono tutti elementi che mi interessano e che non sono in contraddizione tra loro.

Quali sono le tue principali influenze musicali?

Ascolto di tutto, da sempre. Ho alcuni riferimenti, che poi credo si siano sbriciolati nel mio tragitto fino a qui. Continuo sempre ad ascoltare cose nuove e anche dischi vecchi, ogni giorno cerco di ascoltare attentamente un disco, anche solo un lato di un vinile.

Specialmente nelle colonne sonore, ho potuto riscontrare un grande utilizzo di archi e strumenti classici. Vi è anche quindi un’influenza di musica classica? Se sì, quali compositori in particolare?

No, utilizzare gli archi non significa necessariamente parlare di influenza e di musica classica. Significa anche pensare al nostro tempo utilizzando alcuni strumenti della tradizione come se fossero il segnale di un sonar, lanciato indietro nel tempo per capire la risonanza che c’è tra allora ed oggi. Serve per aggiornare le nostre mappe. Ho ascoltato tantissima musica classica nel periodo in cui vivevo a casa dei miei genitori perché lì c’erano molti dischi di classica.

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Speciale elezioni studentesche – Intervista a Studenti Protagonisti

studenti protagonistiIn vista dell’Assemblea d’Istituto del 25 ottobre, la redazione del Blogleomajor intervista i candidati delle liste di quest’anno per avere informazioni e anticipazioni sulle loro proposte.
In quest’intervista, Studenti Protagonisti, lista storica del Liceo Leopardi-Majorana, espone il suo programma per le prossime elezioni.

Quali sono i vostri candidati per quest’anno?

Al Consiglio d’Istituto candidiamo: Alessandro Giannelli (IIAc), Lavinia Tomadini (IBc), Antonio Gianfranco Pittini (VBs), Elena Presotto (IIIDc), Eros Mella (IVEu), Francesca Lacava (VAg).
Alla Consulta Provinciale degli Studenti candidiamo: Francesco Cadamuro (IIIBc), Elena Presotto (IIIDc), Alessandro Giannelli (IIAc).

Tre motivi per cui scegliere la vostra lista …

Rappresentiamo tutti gli indirizzi: abbiamo infatti almeno un candidato per ogni indirizzo di studi e per ognuno degli edifici di cui è composto il nostro liceo.

Idee concrete: prima di lanciare slogan o promettere l’impossibile, ci siamo informati sull’attuabilità delle nostre proposte parlando con la dirigenza scolastica, con l’ufficio dell’IRSE (alla Casa dello Studente) e partecipando ad un incontro con la giunta provinciale di Pordenone.

Studenti al centro: mettiamo come sempre al centro dell’attenzione lo studente, che è la vera anima della scuola, nonché il fine di ogni attività intrapresa dalla scuola (o così per lo meno dovrebbe essere…). Ad esempio, nella decisione degli argomenti delle assemblee studentesche, gli studenti potranno incidere per il 90% sulla decisione di argomento e modalità di trattazione.

Con quale slogan potreste sintetizzare il programma della vostra lista?

“Perché adeguarti soltanto e accettare le conseguenze? Diventa protagonista!”

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E poi, il futuro-Intervista a Massimiliano Santarossa

Foto di Massimiliano Santarossa

Massimiliano Santarossa

Massimiliano Santarossa ne ha viste e fatte tante, come dice lui, “ho fatto parte della giungla urbana di periferia” di Villanova. Dopo la terza media la scuola non l’ha più voluto e lui ha cominciato a lavorare prima come falegname, poi come operaio in una fabbrica di materie plastiche.
Poi ha iniziato a scrivere. Hai mai fatto parte della nostra gioventù? e Storie dal fondo sono, insieme a Gioventù d’asfalto e Viaggio nella notte, i suoi racconti di giovani condannati al furto del loro futuro, a lavori disumani, e dunque al rito del sabato sera, alla droga, ai tentativi di fuga sfrenata fino al lunedì seguente. Il Nordest degli ultimi, delle periferie dimenticate da tutti, tranne che da loro, maledetti figli della notte.
Alla osteria vicino casa sua, dove ancora lo si può talvolta incontrare, Santarossa ha raccolto i sentimenti, le avventure, i sogni, i dolori di molte persone scavate dalla vita, ha raccontato un’intera generazione. Ebbene, noi del Blogleomajor lo abbiamo contattato tramite Facebook, per un’intervista di approfondimento, di “sondaggio” di possibili novità, di conoscenza dello scrittore Santarossa.

Le anime fragili (ma vive) di cui hai scritto trovano una loro liberazione, seppur temporanea, nella notte. Qual è il tuo rapporto con la notte?

Nel mio nuovo romanzo in uscita tra pochi mesi (novembre 2013, ndr), “Il Male”, il protagonista che è Lucifero osservando la notte dice: “Padre, hai forse creato la notte per difendere l’uomo dall’uomo? l’hai forse pensata per dar loro la possibilità di nascondersi da loro stessi?” Per me, per i personaggi dei miei romanzi, in definitiva per tutti, la notte è l’unico momento biologico del corpo dove il corpo stesso ricerca e in parte rigenera un “bene intimo”, anche quando in casi estremi diviene un bene osceno, sballato, un bene al contrario. Di notte il corpo sta meglio, così avviene oggi e così accadeva nell’antichità, è una condizione invisibile ma reale che ci portiamo nella genetica. Diecimila anni fa l’uomo abitava la notte per difendersi dalle bestie. Oggi l’uomo abita la notte per difendersi da se stesso, e in essa trova sfogo, evasione, appunto liberazione. Continua a leggere

Intervista a Mauro Danelli, il libraio del Segno

librerie

Diciamo subito che questa è un’intervista sul mondo del libro fatta a Mauro, il più importante libraio di Pordenone (ma, vorremmo dire, non solo). (Mi assumo volentieri la responsabilità di tale affermazione…).
In questi anni ha visto cambiare la città e il Paese. E con essi le abitudini legate alla lettura, che si ripercuotono sull’organizzazione stessa della libreria, sempre più portata a intrattenere e ad arricchire la gamma di prodotti venduti, anche a scapito della sua missione originaria.

Puoi riassumerci brevemente la storia della tua libreria?
La libreria è nata nel 1978, inizialmente eravamo in tre, e per molto tempo siamo rimasti in tre. Poi via via nel corso del tempo si sono aggiunti altri soci, fino a diventare un massimo di 18 persone, mentre adesso siamo in 16. Nel 1984 è stata aperta la prima sede in via Oberdan – in realtà era in via Mazzini perché eravamo sotto alla galleria vicino alla stazione – poi è stata aperta la seconda sede, quella in vicolo del Foro. Nel tempo poi abbiamo aperto le altre filiali, sia in città che fuori città; attualmente abbiamo 5 sedi, una qui a Pordenone, una a Portogruaro, una a Sacile, una a S. Vito al Tagliamento e una a Cordenons.
Diciamo che ci siamo dati una struttura di piccola catena, però ci tengo a dire che si tratta di una catena di librerie che conservano tutte quante lo spirito della libreria indipendente, quindi ogni libreria conserva una sua personalità, sia dal punto di vista della struttura fisica che del modo di lavorare, avendo ovviamente delle linee similari, e un tipo di conduzione abbastanza omogeneo.
Stiamo portando avanti una battaglia molto dura, anche perché l’anno scorso si è aperto un nuovo capitolo nel mondo del libro, perché per la prima volta una crisi economica, che sappiamo in realtà partire da ben prima, ha avuto degli effetti devastanti sul mondo delle librerie. In passato ad esempio si era resistiti, mentre l’anno scorso molte librerie indipendenti hanno chiuso al ritmo di una alla settimana, anche librerie storiche come la “Italo Svevo” a Trieste, 100 anni di vita probabilmente, Draghi a Padova, più di 100 anni di vita, o che si sono svendute alle grandi catene cioè quindi hanno perso la loro identità di librerie indipendenti e questo non è meno grave di una chiusura.

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Dieci (e più) domande a Carla Manzon

Carla ManzonSiamo nel chiostro della biblioteca. I raggi smorzati del pomeriggio e un po’ di brezza danno sollievo a studenti trasognati che un po’ sfogliano appunti, un po’ parlano già del mare. C’è un’atmosfera flemmatica, serena. Devo lottare con il registratore del cellulare e devo chiedere a Carla di ripetermi la prima risposta. Un ampio sorriso, però, mi lascia intendere che non c’è fretta.

Chi o che cosa ti ha fatto capire di voler fare l’attrice?

Non c’è stato un qualcosa che mi ha fatto decidere di voler fare l’attrice. Ho cominciato per sbaglio, per caso, perché un giorno ho visto una locandina Pro Pordenone con su scritto “corso di teatro” – parlo del 1975, troppi anni fa –. Arrivata a casa, da buona adolescente poco inquieta, non avevo voglia di fare niente e allora ho detto: “Boh, provo”. Mia madre era d’accordo, così quella sera sono capitata in questa sede dove c’erano dei matti che facevano versi strani, una tipa faceva il pappagallo su una sedia… Ho pensato: “Mamma mia, dove sono capitata!”. Tornata a casa, ho giurato a mia madre che non ci sarei più andata, lei però ha insistito. La seconda volta c’è stato il colpo di fulmine e da lì non ho più voluto smettere di fare teatro: è stato come trovare l’uomo della mia vita.

Controllo che il cellulare non mi abbia tradita di nuovo. No, per fortuna. Seconda domanda.

Ispirazione: dove la trai, da chi, e quanto è importante nel tuo mestiere?

L’ispirazione? – ci pensa un momento ma poi la voce è sicura – È importantissima. Nel lavoro dell’attore è una specie di folgorazione in cui vedi il personaggio come un ologramma che si muove davanti a te – una specie di spirito shakespeariano, un’anima. Oppure nasce dallo studio approfondito dell’autore e del periodo storico. In quel caso è proprio un tarlo più che uno studio: un tormento, un lavorio continuo della mente e anche del corpo – qui sorride – A me è capitato tante volte di seguire delle persone per strada che secondo me avevano le caratteristiche giuste per interpretare un personaggio. Eh sì, tante volte arriva anche dall’osservazione della gente. È un lato affascinante del nostro lavoro.

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