Ciao ragazzi! Tra poco si svolgeranno le elezioni regionali mentre si sono appena chiuse le nazionali, ma sapete veramente cos’è la politica?! Secondo Aristotele “l’uomo è per natura un animale politico”, ciò indicava che, per natura, egli vive insieme agli altri nella polis. Nel dizionario, invece, il termine assume il significato di “ scienza e tecnica che ha per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica.” E per voi, che cos’è la politica?
La nostra riflessione ha portato a distinguere governanti e governati. I governanti sono coloro i quali partecipano direttamente alla vita pubblica dialogando, esponendo le proprie idee, i propri progetti, che a volte sono in contrasto. Essi ,alla fine, dovrebbero prendere democraticamente la soluzione migliore affinché la società progredisca e si sviluppi. Lo scopo dei politici è, quindi, garantire ai cittadini una buona vita all’interno della società.
I secondi rappresentano la maggior parte della popolazione, contribuiscono in modo indiretto alla vita politica votando chi, a loro giudizio, può garantire loro una società migliore. Ma anche costoro possono iniziare una propria carriera politica, poiché la virtù politica può essere appresa e tutti possono ambire a diventare governanti ricoprendo cariche pubbliche a livello locale e successivamente di maggior rilievo. Governanti e governati non sono due gruppi completamente distinti ma dipendono l’uno dall’altro. I politici scrivono le leggi in relazione a ciò di cui il popolo ha bisogno per una condizione di vita migliore.
Ma, in Italia, un paese formato da 60 milioni di persone, come fanno i due gruppi a comunicare tra loro?
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Filosofare/6 – Riflessioni sulla politica
Cosa centriamo noi con la politica? Perché dovremmo interessarcene se non possiamo influire su di essa? Non ci riguarda adesso, non vedo perché dovremmo interessarcene. Questo potrebbe pensare uno studente del liceo sulla politica. In fondo, noi cosa possiamo fare per influenzare la scena politica attuale? Nulla.
Ma la politica deve interessarci per vari fattori. Il primo è la nostra personale preparazione per il futuro, in cui saremo elettori o, in alcuni casi, eletti. L’altro fattore è che la politica è più vicina a noi di quello che possiamo pensare. C’è vicina a partire dall’ambiente scolastico. Ma prima di parlare di questo, dobbiamo definire una cosa fondamentale. Cos’è la politica?
La politica è, fondamentalmente, ciò che permette a uno stato democratico di esistere. Diciamo democratico perché se c’è un dittatore abbiamo sì delle regole, ma potrebbero non essere condivise e discusse, cosa che invece succede in uno stato democratico in cui alla base del governo c’è la politica. La politica, però, non serve solo nel caso di un organismo complesso come uno stato, bensì anche nella piccola comunità, come può essere una famiglia. Senza politica, infatti, non si potrebbero decidere le leggi per governare al meglio la comunità, e queste cadrebbero nell’anarchia, dove non viene riconosciuto un governo ufficiale che guidi lo stato, e quest’ultimo cadrebbe in una situazione nella quale le leggi sono assenti.
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Filosofare/5 – Politica e protesta
La 3BS fornisce una serie di spunti di riflessione sul tema della politica avviato attraverso la lettura de “Il Protagora”. I temi emersi, elaborati da piccoli gruppi di studenti, riguardano il rapporto tra governanti e governati, la comunicazione, l’indifferenza politica, la politica come protesta, la politica come partecipazione agli organi collegiali. In aggiunta viene proposta una sintesi di due diversi interventi di Zagrebelsky sulla democrazia.
Politica e protesta
Che cos’è la politica? Secondo una definizione emersa tra alcuni allievi della 3^Bs, questo termine indica l’arte di governare la società, la capacità di saper convivere e condurre vicende familiari e civili, l’occuparsi di come viene gestito e amministrato lo stato. Secondo il nostro punto di vista, la politica è dialogo, discussione e scambio di idee per un unico fine comune: il benessere collettivo che lega così il popolo alla gestione delle cose pubbliche attraverso il voto. Pensiamo, quindi, che in Italia una persona voti colui il quale esprime le sua stessa ideologia: egli ha così nelle proprie mani il diritto e il dovere di esplicitare una propria preferenza, indicando chi, secondo il proprio pensiero, è il miglior rappresentante della società del Paese. Tutto ciò rappresenta un impegno diretto alla costituzione della società, un impegno verso gli altri che deve portare all’ascolto della pluralità di idee e ad agire con prudenza, tolleranza, onestà e giustizia.
Ai giorni nostri, però, politica è diventata una lotta per i propri interessi, una battaglia per il potere. La politica è ormai vista come un mondo distaccato e inaccessibile dove regna la corruzione e l’interesse personale; viene così spesso sostituita dall’arte di persuasione messa in atto per convincere le persone che le proprie idee siano le migliori. In tal contesto, fa politica anche chi, non volendo subire passivamente quanto deciso dagli organi legislativi e deliberativi, manifesta i propri pensieri e il proprio disappunto anche attraverso proteste.
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Discutiamo sull’articolo 67 della Costituzione
Siamo una classe di studenti liceali che nelle ultime settimane ha approfondito, nell’ambito del programma di storia ed educazione civica, alcuni temi della nostra Costituzione, in particolare quello della rappresentanza. Ciò ci ha stimolato ad intervenire sulle affermazioni fatte da Grillo in questi giorni proprio su questo stesso tema. Grillo ha dichiarato (la Repubblica 04.03.2013) che, in base all’articolo 67 della Costituzione : “ L’eletto può fare, usando un eufemismo, il c… che gli pare, senza rispondere a nessuno”. Ed ha aggiunto che, nel caso in cui qualcuno dei neoeletti decida di tradire gli elettori e cambiare partito, si dovrebbe “prenderlo a calci.”
Per quanto ci riguarda vorremmo discutere la questione pacatamente richiamando innanzitutto l’attenzione sul significato che ha la distinzione tra “mandato imperativo” – in cui il rappresentante è vincolato alla volontà del rappresentato – e “mandato libero”, in cui il rappresentante non deve sottostare a nessun vincolo. Nel pensiero politico moderno, a partire da Hobbes, il sovrano, che il popolo fa nascere attraverso il patto politico, esercita il suo potere in modo indipendente, assoluto, senza dover essere autorizzato da altri. Il sovrano decide in modo incondizionato sulla base del presupposto che esso solo incarna l’interesse generale identificandosi con l’universalità della ragione, sciolta dagli interessi particolari, dai privilegi e dalle convenienze di questo o quel ceto sociale. Mandato libero, nella teoria e nella prassi politica moderna, non significa pertanto mandato arbitrario, ma soltanto non asservito a una parte qualsiasi, imparziale, in quanto istituito per tutelare i diritti di tutti gli individui indistintamente. Nel passaggio dall’assolutismo al liberalismo il principio del mandato libero non è stato scalfito. Il sovrano è divenuto il Parlamento, nel quale ciascun membro è chiamato a rappresentare l’insieme della Nazione. Ciò che è cambiato è che il mandato è, si, libero ma revocabile, in quanto temporaneo (dura da un’elezione all’altra).
L’assenza di vincolo di mandato, che è principio sostanzialmente liberale, è prevista dalla nostra Costituzione all’art. 67 – “ Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”- ed è un presidio irrinunciabile in tutte le Costituzioni liberaldemocratiche. Con il passaggio dal liberalismo alla democrazia, e con l’estensione universale del diritto di voto, abbiamo assistito ad un’ulteriore evoluzione politica che ha prodotto un pluralismo di visioni politiche e la formazione di diversi partiti politici, i quali hanno contribuito a rendere la vita politica più articolata e più dialettica. Tutto ciò ha comportato il riconoscimento del preminente ruolo dei partiti nella vita politica come risulta, per quanto ci riguarda, dall’art. 49 della nostra Costituzione: “ Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente ai partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Ma anche in questa nuova cornice il mandato dei rappresentanti del popolo non è stato sottoposto ad alcun vincolo formale. E’ certamente vero che il deputato, in un sistema democratico maturo, si trova di fronte a una doppia lealtà (e a una doppia rappresentanza): da un lato quella, tradizionale e formale, nei confronti dell’intera popolazione e, dall’altro, quella assunta nei confronti della parte politica a cui ha aderito, condividendone programmi e finalità politiche. Noi crediamo che non si possa eliminare la prima lealtà senza correre il rischio di trasformare i partiti in istanze autoritarie, sacrali, a cui sarebbe dovuta un’obbedienza cieca e finendo per concepirli come un tutto che non ammette alternative legittime. Ma, d’altra parte, riteniamo che anche la lealtà alla parte politica, a cui si è scelto liberamente di aderire, sia un valore da tutelare, contro i trasformismi e le scelte di convenienza. Tanto più se ciascun partito svolge la sua azione rispettando, al proprio interno, la trasparenza e il metodo democratico (ciò a cui i partiti dovrebbero essere obbligati).
Detto questo ci sembrerebbe utile discutere della possibilità che il rappresentante, pur restando libero di dissentire dal suo partito o, al limite, di staccarsi da esso per aderire ad un’altra parte politica, possa fare ciò pagando qualche prezzo in modo da non alimentare dubbi sulle motivazioni ideali e politiche delle sue scelte (per esempio perdendo il diritto a candidarsi nelle elezioni successive).
Gli alunni della II D del Liceo classico “G. Leopardi” di Pordenone
Filosofare/4 – Ancora sull’Arte politica
Definire virtù oggi è quasi impossibile, sembra che essere virtuosi ed eccellere non vada più di moda. Nella filosofia greca le virtù erano aspetti costitutivi dell’uomo e ogni uomo era virtuoso in alcune discipline e/o comportamenti.
Il politico doveva essere saggio, sapiente e giusto e tali valori dovevano e potevano essere insegnati; ogni uomo deve sentire l’esigenza di crescere culturalmente e deve saper dialogare, infatti le assemblee antiche ateniesi erano fondate sul dialogo e deve sentire la responsabilità del suo ruolo, del suo valore e delle sue virtù.
Oggi le eccellenze non sono valorizzate. Le virtù come valore oggettivo non sono riconosciute. Il giusto e/o lo sbagliato non sono valori assoluti ma legati all’individuo e a ciò che vuole fare in modo soggettivo.
Il politico oggi dovrebbe essere umile, con senso del dovere, saggio, è necessario che sia una persona che sente come dovere la crescita culturale, saper dialogare e ascoltare. La virtù non è solo un valore ma deve essere anche un traguardo; avere una condotta virtuosa, sia nel fare politico che nel vivere quotidiano e deve essere un fine per tutti, in valori come la onestà, umiltà, saggezza, sapienza, giustizia.
Abbiamo allora bisogno di ripercorrere l’antica strada dei greci che ha legato il pensiero complessivo sull’essere al pensiero complessivo sulla società poiché la modernità ha fatto della politica una parte e una tecnica della società mettendola in condizione di sparire e di alienarsi. Nessuna meraviglia dunque se la forma moderna della politica non è in grado di gestire la complessità sociale dell’era globalizzata. Questo dovuto forse alla mancanza e al ritorno di un pensiero arcaico e aristocratico per cui le virtù politiche e del comando vengono intese come forma di appannaggio di determinate caste sociali.
In conclusione per fondare una comunità stabile e duratura è necessario raggiungere una perfetta coesione tra le virtù politiche, quelle dell’animo e quelle delle arti. A questo punto l’unica possibilità di cambiamento può provenire solo dai noi giovani creando una presenza forte all’interno del proprio territorio.
3D Scientifico
Filosofare/3 – Arte politica
Contributo alla discussione della classe 3C scientifico
Nel V secolo ad Atene la politica si basava su principi differenti da quelli odierni. La forma politica del tempo era davvero innovativa: si trattava, infatti, della prima democrazia della storia, basata sulla partecipazione attiva di tutti i cittadini maschi (escludendo donne e stranieri).
Ad Atene tutti gli uomini avevano il diritto di prendere la parola nelle assemblee e di esprimere la propria opinione riguardo alle questioni cittadine, senza censure o esclusioni
Chiunque, anche la persona più umile, poteva dare un consiglio senza per questo essere giudicata. Ciò era possibile in quanto ogni uomo, secondo quello che Platone fa pronunciare a Protagora nel dialogo con Socrate, è possessore della virtù politica che è stata affidata da Zeus, tramite Ermes, a tutti gli individui.
E’ interessante che nel dialogo il Protagora vengano poste le basi teoriche dell’organizzazione politica propria della democrazia e contemporaneamente si elaborino le basi dell’argomentazione e della discussione razionale affinché’ il discutere in pubblico dei problemi comuni e le decisione e responsabilità’ assunte in seguito avvenissero in base ad argomenti convincenti e motivati. L’agora diveniva così momento di formazione e crescita per i cittadini.
Pertanto, chiunque volesse parlare di politica, andava ascoltato e a sua volta aveva il dovere di prestare attenzione alle idee altrui. In quel tempo, inoltre, era forte l’influenza dei filosofi sofisti, portatori di conoscenza e saggezza. Certamente, quelli più conosciuti sono Protagora e Gorgia, noti per le loro teorie circa la verità e l’insegnabilita’ della virtù’, per essi la formazione del cittadino ateniese era un impegno e un progetto e se da una parte ci propongono il valore dell’esempio degli uomini meritevoli e esemplari, dall’altra in quanto maestri della retorica ci mostrano il rischio dell’inganno e della seduzione del discorso politico. Continua a leggere
Filosofare/2 – “Amicizia e politica: una duplice crisi”
Pubblichiamo il secondo contributo del progetto “Filosofare” a cura dei professori di Filosofia del Liceo. Ricordo che al primo si accede cliccando sulla civetta a destra (ve ne eravate mai accorti?), che purtroppo non è vista da chi ha il tablet. Ma stiamo lavorando per voi per mettere tutto in ordine…
“Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano. Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini? » «A tutti – rispose Zeus – e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia»”. (Platone, Protagora, 322)
“Per i Greci, l’essenza dell’amicizia consisteva nel discorso. Essi sostenevano che solo un costante scambio di parole poteva unire i cittadini in una polis. Nel discorso si rendeva manifesta l’importanza politica dell’amicizia, e l’umanità che la caratterizza. Il dialogo (a differenza del colloquio intimo, in cui gli individui parlano di se stessi) per quanto intriso del piacere relativo alla presenza dell’amico, si occupa del mondo comune, che rimane “inumano” in un senso del tutto letterale finchè delle persone non ne fanno costantemente argomento di discorso tra loro.” (Arendt H., L’umanità in tempi bui, p. 85)
La lettura del Protagora e del breve saggio di Hannah Arendt hanno stimolato all’interno della nostra classe un dibattito sul significato della politica, intesa non come sovranità o forma di governo ma come condivisione di un mondo comune. La discussione ci ha portato ad alcune conclusioni che intendiamo proporre in questa sede per un eventuale confronto.
Il problema oggi nasce dal fatto che viviamo all’interno di una crisi caratterizzata tra le altre cose da grande incertezza e sfiducia, dall’incapacità di reale confronto con l’altro ed estraneità alla sfera della vita pubblica.
La riflessione contemporanea insiste molto sul tema del “declino dell’uomo pubblico”, alludendo all’indebolimento dei legami sociali e alla disaffezione alla politica. Il rapporto con l’altro viene concepito in termini puramente strumentali, come mezzo necessario alla realizzazione dei propri interessi.
Viene da chiedersi se sia possibile colmare questo deficit di solidarietà, pensare il legame sociale non solo come “mezzo”, ma anche come “fine”. Senza però cadere nell’opposto dell’individualismo e cioè nelle forme chiuse di comunità caratterizzate da estrema coesione emotiva, che nasce dal bisogno di identificazione e appartenenza, e che possono esprimersi in forme di violenta esclusione del diverso. A volte, soprattutto nei momenti di crisi, gli uomini sentono un forte bisogno di avvicinarsi gli uni agli altri, desiderando avere a che fare solo con persone con cui non trovarsi in conflitto, cercando la prossimità eccessiva di una fraternità che cancella tutte le distinzioni.
Alexis de Tocqueville, nel saggio La democrazia in America, sostiene che la democrazia può contrastare le derive dell’individualismo moderno e al contempo prevenire i pericoli delle comunità organiche che limitano la pluralità e rifiutano le differenze. La democrazia, pur avendo dei limiti, perché per esempio può produrre omologazione e indifferenza al bene comune, ha in sé i propri correttivi, perché in quanto “eguaglianza di condizioni” può dar vita a forme sempre nuove di aggregazione e condivisione sociale. Infatti de Tocqueville dice che la democrazia si può “educare”, correggendone i limiti e valorizzandone le potenzialità. Questa eguaglianza di condizioni fa sentire gli uomini uniti, membri di una comunità, soggetti di un ethos comune fondato sulla philia, dove l’altro non è rivale, nemico, mezzo o realtà indifferente, ma “amico”.
Anche secondo Hannah Arendt l’amicizia ha rilevanza politica, non è “… solo un fenomeno di intimità, in cui gli amici aprono la loro anima senza tener conto del mondo e delle sue esigenze”, ma risulta legame propriamente politico. La scrittrice si domanda se sia possibile vivere umanamente in un mondo sconvolto dalla violenza dello scontro ideologico, dai totalitarismi, nei “tempi bui dell’umanità” e, ispirandosi al pensiero dell’illuminista tedesco Lessing, ritiene che l’amicizia si manifesti nella disponibilità a condividere il mondo con altri uomini, nel dialogo, che può essere anche conflitto ma non è mai competizione: “Noi umanizziamo ciò che avviene nel mondo e in noi stessi solo parlandone e, in questo parlare, impariamo a diventare umani. […] Il senso di una azione si rivela solo quando l’azione si è compiuta e diventa una storia suscettibile di narrazione”. Secondo Arendt, per la costruzione di un mondo umano la verità dovrebbe essere sacrificata all’amicizia: per esempio, anche supponendo che le dottrine razziste siano dimostrabili con evidenza scientifica, non potrebbero giustificare il sacrificio di una sola amicizia tra gli uomini. La verità non esiste se non dove può essere umanizzata dal discorso, dove ognuno dice ciò che gli “sembra verità”, così da alimentare il confronto continuo che è la cosa che ci rende più “umani”, che lega e separa gli uomini in uno spazio a più voci che, insieme, formano il mondo, stimolandoci ed incoraggiandoci ad agire.
La classe 1^F Classico, Liceo Leopardi-Majorana, Pordenone
Anno scolastico 2012-2013