Kierkegaard entra dal gelataio…

Per sapere cosa dicono Aristotele, Hegel, Kierkegaard, Leopardi (e molti altri) quando entrano dal gelataio…

http://www.lucianogiustini.org/blog/archives/2011/05/kierkegaard_entra_dal_gelataio.shtml

(Dal blog di Luciano Giustini)

Kierkegaard_portrait

 
Claudia Vanelli

“L’uomo giusto non ha bisogno di leggi”

platonePlatone era rimasto deluso dalla democrazia ateniese, colpevole di aver  condannato a morte il suo cittadino più giusto, Socrate. Proprio per questo, l’ispirazione fondamentale della filosofia platonica è di natura politica e mira a realizzare il miglior governo, lo Stato ideale, in cui l’uomo giusto possa essere considerato per ciò che merita. La “Repubblica” di Platone contiene, connesso con questo, un altro tema rilevante: quello che riguarda la formazione, l’educazione,  del filosofo, su cui ritorneremo più avanti. E tuttavia Socrate, per un tragico paradosso, è l’uomo giusto che è stato vittima della legge. Questa vicenda fa sorgere la domanda:  non sarebbe stato meglio, allora, che Socrate  – condannato sulla base di false accuse – si sottraesse alla pena capitale nel rispetto della vera giustizia? A questo punto Platone sembra quasi disposto a giustificare il fatto che non si obbedisca ad uno Stato che, come la democrazia ateniese,  manda a morte il suo cittadino migliore. E ciò perché il buon cittadino non è colui che si sottomette supinamente alla legge positiva ma chi osserva innanzitutto la legge giusta, quella dettata dalla visione del Bene.
Platone, dunque, considera intollerabile che la legge positiva si mostri tanto distante dalla vera giustizia. Di fronte a questo stesso problema, Socrate aveva insegnato che  il compito degli uomini è quello di rispettare sia la legge positiva sia la legge morale. Quando accade che il cittadino debba contestare,o disapplicare, una legge emanata dallo Stato perché il suo demone gliene riveli l’ingiustizia, egli deve farlo accettando di pagare la pena  che il suo atto comporta. In tal modo rispetterà la legge morale senza violare la legge positiva, la quale pur con le sue imperfezioni è necessaria perché la città non precipiti nella barbarie. Ma Platone va oltre questo insegnamento. Per lui si tratta di impedire la possibilità stessa che una legge condanni  un uomo come Socrate e, quindi,  occorre trovare il modo di  far coincidere la legge morale con la legge positiva. Ciò è possibile se si affida il compito di governare a uomini che siano del tutto integri ed onesti: essi sono i filosofi, “custodi perfetti” , che posseggono il senso dello Stato e l’idea del bene comune. Sono loro gli “uomini giusti” che non hanno bisogno delle leggi per agire bene e, proprio per questo,  sono i più idonei a creare le leggi giuste in grado di salvare la città dagli abusi e dagli appetiti dei più forti. La città ideale di Platone è quindi necessariamente aristocratica, in quanto governata da coloro che risultano essere i migliori nello svolgere tale compito. Ma è anche tecnocratica (e ideocratica) perché in essa ognuno svolge le mansioni in cui è competente. I custodi perfetti devono infatti governare la città in quanto solo essi hanno appreso a non lasciarsi trascinare dai piaceri e sanno come attuare la giustizia; gli altri cittadini dovranno svolgere le attività per cui sono stati preparati, attraverso l’apprendistato.
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Attualità di Socrate

morte-di-socrate1. G. Zagrebelsky, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale, in un  breve testo intitolato “Il difficile compito di fare giustizia” (La Repubblica del 02.12.2005), si chiede se esista o meno un criterio razionale indiscutibile, assoluto, che permetta di definire un’azione (o una legge) come giusta, al di là di ogni relativismo etico.
2. Egli risponde che un tale criterio non esiste. Possono esistere, infatti, criteri di giustizia universali solamente formali, i quali però non sono in grado di indicarci quali azioni in concreto siano giuste. Oppure i criteri di giustizia possono consistere in prescrizioni concrete, diventando così sostanziali e non formali, ma in questo caso esprimerebbero la volontà di quella parte, sia pure maggioritaria, che prevale in un determinato momento e non sarebbero più universali.
3. Secondo Zagrebelsky, se non esistono dei criteri universali in grado di indicarci cosa è giusto esistono però dei criteri universali per individuare ciò che è ingiusto e tali criteri deriverebbero da un innato, fondamentale e originario “sentimento del diritto”, presente in tutti gli esseri umani. Tale sentimento “consisterebbe nella naturale reazione contro azioni che ripugnano, prima e indipendentemente dall’esistenza di una norma che le vieti”. Esso è perciò collegabile piuttosto al “senso dell’ingiustizia” che a quello della giustizia vera e propria.
4. Tale sentimento del diritto o “senso dell’ingiustizia” ha quindi un carattere negativo piuttosto che positivo: esso non ci dice concretamente quello che dobbiamo fare ma ci segnala cosa è sicuramente riprovevole da un punto di vista etico (esso opera come il demone socratico che non ci incita all’azione ma ci induce a riflettere prima di agire, al fine di non commettere il male).
5. Su questa base possono essere formulati principi universali, i quali affermano che ciascun individuo, nessuno escluso, ha diritto di essere tutelato nella sua dignità e di non subire discriminazioni e umiliazioni di alcuna sorta.
6. Tali principi consentono di definire il terreno comune, condiviso, che deve essere posto alla base di una convivenza civile. Costituiscono cioè un insieme di valori accettato da tutti e non oggetto di controversia politica. Continua a leggere

Protagora e Socrate discutono sulla virtù politica. Commento al “Protagora” di Platone

erma-di-platoneQuesto è un contributo al progetto Filosofare della I D classico

  1. I due filosofi entrano in scena

Il dialogo “Protagora”, come quasi tutti i dialoghi platonici, ruota intorno alla figura di Socrate che in questo caso discute con Protagora, noto sofista di Abdera, sulla virtù politica. L’arrivo ad Atene di questo sofista aveva suscitato un certo entusiasmo, tanto che Ippocrate, amico di Socrate, esprime il desiderio di divenirne allievo. Socrate stesso si mostra molto interessato e desideroso di capire meglio in cosa consista l’insegnamento di Protagora. Davanti a tutte le persone che si erano presentate per ascoltare il dialogo dei due filosofi (si trovano tutti in casa di Callia), Socrate finalmente chiede a Protagora quale profitto il suo giovane amico potrà trarre dal suo insegnamento e in che cosa potrà migliorare. Protagora si mostra subito molto convinto di sé e del proprio sapere: egli risponde di saper insegnare ai giovani a “condursi con senno (“eubulia”) nelle faccende private e in quelle pubbliche”, vale a dire l’arte politica (“politikè tekne”). Protagora si dichiara inoltre sicuro che l’insegnamento di quest’arte non solo sia possibile, ma sia anche necessario soprattutto in una città come Atene dove, grazie al regime democratico, i cittadini possono parlare nelle assemblee e dove dunque servono buoni cittadini (“agatoi politai”) come quelli che lui si propone di formare. A questo punto viene formulata da parte di Socrate la domanda che sta al centro di tutto il dialogo: “L’arte politica può essere davvero insegnata, trasmessa agli altri?” Socrate su questo punto è dubbioso, non condivide l’opinione positiva sostenuta al riguardo da Protagora, ma nonostante ciò mostra rispetto e considerazione nei confronti del suo interlocutore (“Poiché tu sostieni ciò non sarò certo io a dubitarne”, 319 b). Socrate porta a sostegno dei suoi dubbi ciò che avviene durante le assemblee cittadine: “Se per la città si tratta di costruire edifici vengono chiamati in qualità di consiglieri gli architetti. Se uno qualsiasi, che non sia considerato un competente in materia, dà la sua opinione non gli danno retta e lo cacciano via.” (319 b-c). Viceversa chiunque, in assemblea, può dare consigli sul modo di condurre gli affari dello Stato e non ci si stupisce se tutti intervengono anche senza aver avuto un maestro poiché evidentemente, fa notare Socrate, tutti ritengono che la virtù politica sia una qualità che ciascun  cittadino possegga e che perciò non possa essere oggetto di insegnamento. Socrate avanza anche un altro argomento per avvalorare i suoi dubbi ed è il seguente. Se la virtù politica è insegnabile, come mai quei cittadini, come Pericle, notoriamente dotati di grande virtù politica non sono in grado di trasmetterla ai loro figli e di migliorarli in questo ambito? Avanzate queste osservazioni Socrate invita Protagora a sciogliere i suoi dubbi. Questi risponde facendo ricorso a un mito, quello di Prometeo (vedi, più avanti, “Il mito di Prometeo in Platone”) raccontando di come venne donato agli uomini, grazie a Prometeo, il sapere tecnico (“enteknos sofia”). Protagora si sofferma anche sui doni fatti da Zeus affinché la specie umana non andasse distrutta, e cioè “pudore” e “giustizia” (“aidos kai dike”). A differenza di tutte le altre arti, in cui basta un esperto per molte persone, il pudore e la giustizia devono però essere in possesso di tutti i cittadini e, per questo, vengono distribuite a tutti indistintamente. Il significato del racconto è evidente: affinché la città si possa reggere tutti i cittadini devono averne parte e dunque, conclude Protagora, la virtù politica è necessaria così come è necessario il suo insegnamento. Questo primo scambio di idee tra Socrate e Protagora costituisce già un buon esempio di dialogo filosofico, inteso come una discussione in cui gli interlocutori non mirano a prevalere uno sull’altro bensì a ricercare, insieme, la verità adottando un atteggiamento di ascolto e di rispetto reciproco. La filosofia, in quanto “nobile sofistica”, non è tecnica o semplice eleganza retorica. È invece l’instaurarsi di un vero dialogo in cui le ragioni di ciascuno vengono ascoltate e prese sul serio, in cui non si ricorre all’inganno né alla suggestione. Perché si realizzi un vero dialogo occorre però che gli interlocutori credano che sia possibile raggiungere un terreno di intesa, una verità condivisibile. Se, al contrario, chi dialoga è convinto di possedere già la verità e dunque non si mette davvero in discussione, il dialogo stesso diventa una finzione.

(Elena Tiozzo, Denise Margjonaj, Sara Quarin)

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Filosofare/10 – La democrazia

Il rischio della democrazia, secondo Zagrebelsky, è  caratterizzato dal fatto che gli uomini politici, per vincere la partita del potere e  acquisire consenso elettorale operano  gli uni a scapito degli altri e manovrano gli elettori; in questo modo ad essere politicamente attivi sono solo i governanti e non i governati.
“L’uomo politico tratta in voti come l’uomo d’affari tratta in petrolio”.                                                                                                                     Il rapporto tra imprenditori politici ed elettori è molto simile a quello tra imprenditori economici e consumatori e, come se non bastasse, la propaganda elettorale è tanto menzognera e fraudolenta quanto la pubblicità dell’uomo d’affari.
Probabilmente l’unica cosa che differenzia il consumatore dall’elettore è che il primo si può accorgere alquanto facilmente se ciò che ha acquistato non vale niente, il secondo invece non se ne accorge, o si accorge troppo tardi, delle porcherie politiche che ha acquistato con il suo voto.
L’idea del mercato dei voti possiede, nonostante le critiche avanzate da più studiosi, comunque una verosimiglianza.                                                                                             Infatti il produttore (a) offre beni (b) al consumatore in cambio di denaro (c) e similmente l’uomo politico (a) offre promesse (b) in cambio di voti (c).                                                                                             Questo sistema subisce una prima deviazione nel momento in cui scompare il termine intermedio (b) e il candidato mette avanti se stesso (a) per ottenere voti (c).
‘Votatemi per quello che sono,compratemi perché sono bello, sensibile,imbattibile,ricco…………’
In questo modo la campagna elettorale perde di significato,diventa campo di ‘Seduzione personale’ e così si oscura ciò che è essenziale per giustificare l’ardire di chiedere voti:LA RAGIONE POLITICA.
La seconda deviazione sta nel modo di usare i dati di fatto; ognuno ha i suoi dati che gli danno ragione, dati costruiti ad hoc.
In queste circostanze falsità e frode devono essere considerati dei veri e propri attentati alla democrazia.
La terza distorsione consiste nel considerare l’elettore come un supporter e non come un individuo dotato di ragione.
La mancanza  del ragionare insieme, del piacere di apprendere qualcosa dall’altro, lascia libero transito a seduzione e falsità  e mina in profondità la natura della democrazia.

 Martini Nicole, 3Bs

Filosofare/9 – Politica

Apro il National Geographic, famosa rivista di foto e cultura di tutto il mondo. Siamo a metà anno, metà duemiladodici. Il titolo in prima pagina è “Sette Miliardi”. Ovviamente il riferimento è a noi. Noi uomini. Ancora ci penso e mi fa tuttora impressione. Mai nella storia dell’umanità siamo stati così tanti, e continuiamo a crescere. Per questo, ora più che mai, sono necessarie delle regole per convivere tutti assieme. Ed è qui che entra in scena la politica.
Politica, come parola in sé, deriva dal greco polis, ovvero “città”, intesa come un insieme di cittadini, ed è definita come “l’arte di governare uno stato” e “tutto ciò che riguarda la vita pubblica”. Al giorno d’oggi le città sono numerose e al loro interno è presente un vasto numero di cittadini. Ciascuno di questi individui ha delle idee, delle opinioni. Questo porta ad una differenziazione dell’individuo. Date queste idee così differenti, la domanda sorge spontanea: chi decide cosa è meglio per tutti?
Nel corso della storia l’umanità ha avuto modo di confrontarsi con diversi modelli politici: dalla monarchia alla dittatura, dall’aristocrazia all’oligarchia, fino a passare alla democrazia.
L’Italia è una repubblica democratica. Ma chi bisogna eleggere?
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Filosofare/8 – Contro l’apatia politica (Gustavo Zagrebelsky)

Perché l’astensionismo politico? Perché il mancato esercizio del diritto di voto si sta rivelando fenomeno assai radicato nella nostra società? L’astensionismo politico può nascere per protesta, esso può voler punire poiché non c’è condivisione delle idee e politiche e dei politici candidati, oppure l’astensionismo può derivare da apatia, quando il cittadino guarda con un atteggiamento qualunquistico verso la politica. Il cittadino è indifferente e insofferente, cosciente della propria impotenza nei confronti delle decisioni e del potere del politico.
Ma cos’è la democrazia, il modello idea di repubblica screditato e infamato che tutti noi abbiamo forse dimenticato?
G Zagrebelski  ci fornisce le seguenti informazioni.

Democrazia è relativismo, non ha valori assoluti se non quelli su cui è basata; valori assoluti e dogmi fanno parte delle società autocratiche, la democrazia deve credere in se stessa e difendersi.
La democrazia è discutere, ragionare insieme. Socrate è il maestro per eccellenza dell’arte del dialogo costruttivo e ci mette in guardia da due tipi di uomini, gli arroganti del partito preso e  quelli per i quali nel ragionare tutto viene messo in discussione. La verità dei fatti è il velcro del ragionamento. Senza discussione non c’è democrazia, c’è l’imposizione.
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