Cosa leggono i prof: Giulia Bozzola

Non sono un critico letterario, e so bene che l’ultimo romanzo di Jonathan Franzen è stato salutato da molti come una meraviglia, eppure c’è in “Freedom” qualcosa che non mi convince, quantomeno nella definizione di capolavoro, dove è implicito un valore perenne ed universale che, sarà limite mio, francamente stento a vedere.

Ecco quindi i tanto attesi Berglund. Non è facile parlare di loro, perché facile non è nemmeno l’ambizioso obiettivo che Franzen si è proposto, quello di rappresentare in un grande e complicato affresco l’America degli anni 2000, con tutte le sue contraddizioni e i suoi naufragi, politici e non. Patty e Walter (i Berglund, appunto)  provengono da famiglie borghesi,  frequentano il college (siamo agli inizi degli anni ottanta) si sposano, hanno due figli e vivono a St Paul, un gentrified neighborhood che serve all’uopo di un’ambientazione totalmente, esclusivamente borghese (siamo negli anni novanta), vivono periodi profondamente travagliati, fatti di tradimenti, depressioni, illusioni (siamo al giro di secolo), fino ad arrivare ad una rottura che pare definitiva e ad una finale, inaspettata (?) riappacificazione  (e siamo ai giorni nostri).

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Cosa leggono i prof/webmaster: Marco Durigon

In tempi in cui le “escort” sono protagoniste della cronaca e della politica, mi è capitato fra le mani un libro che parla di prostitute. L’autore è Michel Faber e poichè trattasi di personaggio piuttosto originale, spendo due righe per presentarvelo. Cinquant’anni, nato in Olanda, cresciuto a Melbourne sempre sulla soglia della povertà (pare non avesse i soldi per comprarsi una macchina da scrivere o per spedire le bozze dei suoi racconti agli editori), prima del successo letterario ha lavorato come imballatore, addetto alle pulizie, infermiere, cavia per le ricerche mediche (sic!). Attualmente vive con la moglie in una vecchia stazione abbandonata nel Nord della Scozia, senza telefono, senza tv, senza contatti con il mondo. Ha impiegato 22 anni per scrivere e pubblicare il libro di cui vi parlerò.

Primo avvertimento: sono quasi mille pagine e quindi per affrontarlo dovete essere per lo meno ben disposti alla lettura.

Secondo avvertimento: i pudìchi come il sottoscritto saranno un po’ “disturbati” dalla presenza di qualche scena di sesso che non lascia davvero nulla all’immaginazione; è vero che, parlando di prostitute, era praticamente inevitabile, tuttavia alcune minuziose descrizioni sembrano francamente un po’ eccessive e corrono il forte rischio della volgarità. I giornalisti del “Time” hanno definito il libro “meglio del sesso”. Davvero esagerati.

Fine degli avvertimenti. Partiamo dall’inizio: <<Attento. Tieni la testa a posto: ti servirà. La città in cui ti conduco è vasta e intricata, e tu non ci sei mai stato prima. Puoi immaginare, da altre storie che hai letto, di conoscerla bene, ma quelle storie ti hanno illuso, accogliendoti come un amico, trattandoti come se fossi uno del posto. La verità è che tu sei un alieno, in tutto e per tutto, arrivato da un altro tempo e da un altro luogo.Quando ho catturato il tuo sguardo la prima volta e tu hai deciso di seguirmi, probabilmente pensavi di arrivare qui e sentirti a casa. Ma adesso ci sei davvero, in quest’aria fredda, tagliente, trascinato nell’oscurità più nera, e inciampi su un terreno accidentato, senza riconoscere nulla. Scrutando a destra e a sinistra, strizzando gli occhi contro il vento gelido, ti accorgi di aver imboccato una strada sconosciuta di case buie piene di gente sconosciuta>>.

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Cosa leggono i prof – Alessandro Cozzarini

Vi volevo raccontare delle letture della scorsa estate. Non che dopo non abbia letto niente, ma forse  niente di significativo da segnalarvi.

Insomma, tutto prende spunto da Internet, da una serie di articoli sulla matematica trovati sul New York Times (che trovate ancora se fate una ricerca sul sito del NYT con il titolo di “Steven Strogatz on the Elements of Math”). In uno di questi, la bibliografia segnalava due libri: uno sull’insegnamento della matematica (A mathematician’s Lament, di Paul Lockhart, purtroppo solo in inglese), una lettura da fare per tutti i docenti di matematica. Tesi: la scuola sta distruggendo nella mente dei ragazzi una delle piu’ belle conquiste della ragione umana, soffocandola di esercizi e problemini insulsi.

L’altro un romanzo di una scrittrice giapponese Yoko Ogawa, La Formula del professore, Il Saggiatore. Intanto il titolo c’entra poco, non c’è nessuna formula, quindi non fatevi spaventare, la matematica fa solo da sfondo, da contorno per una bella storia, sul rapporto tra un vecchio professore di matematica e la sua governante. Il professore è affetto da una rara patologia che resetta la sua memoria ogni 80 minuti, e lo costringe a ricoprirsi di bigliettini in cui annotare il nome delle persone che si prendono cura di lui, e ciò che vuole “ricordare”. È come se la sua vita ripartisse da zero ogni ora e mezza. La governante ha un figlio, a cui lui dà il soprannome di “root”, radice, per la forma della sua testa (un po’ piatta, immaginiamo…), che condivide con il professore la passione per il baseball, e al quale ogni tanto spiega qualcosa della matematica.

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Cosa leggono i prof: Giulia Bozzola

Possono delle esistenze assolutamente “ordinarie”  (lui macellaio, lei casalinga) costituire l’ossatura di un quasi-romanzo? Alan Bennett ripercorre gli anni della giovinezza accanto ai genitori e trasforma la sua e la loro vita, prima a Leeds e poi in un minuscolo villaggio del Dales, in una narrazione che, se non può essere avvincente, ha però l’indiscutibile capacità di scavare tra le pieghe di una banale quotidianità con arguzia ed insieme con un infinito senso di tristezza. La parola d’ordine di mamma Lilian, alla disperata ricerca di una raffinatezza che non troverà mai, è “ordinario”. Ordinari sono i capelli troppo corti di papà, le tende di una casa, i mobili bar, i tatuaggi, le porte dipinte di rosso. Continua a leggere

Cosa leggono i prof. – Liviana Covre

Il verbo leggere non sopporta l’imperativo

Se è vero, come diceva Gianni Rodari, che il verbo leggere non sopporta l’imperativo, è anche vero che non ricordo momenti in cui i libri non abbiano scandito la mia vita.  Ho sempre creduto che il mio tempo debba spendersi, quasi quotidianamente, in libreria, ad “annusare” i nuovi libri che escono o a cercare spunti per discussioni con i miei studenti. Non so quando ho capito il potere della lettura, ma, in momenti non facili della mia vita, ho imparato che il piacere generato dalla parola scritta poteva salvarmi e che gli effetti collaterali, fatti di dipendenza e di adesione a un mondo di sodali, erano molto più vitali delle volute di fumo generate dalle erbe illusorie fumate dai miei compagni di gioventù. Le pagine dei libri mi hanno dato la forza di affrontare la vita con le gioie e le sofferenze che la governano, perché i libri che mi sono scelta hanno generato risposte o dubbi, ma mai sono stati silenziosi compagni. Il solo libro lasciato a metà è legato alla dolorosa esperienza della morte di mio padre e alle ore che ne hanno scandito l’agonia. Leggevo per non vederne la fine imminente, ma in quella dolorosa veglia notturna non sono riuscita a portare a termine una lettura carica del mio e del suo dolore.

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Cosa leggono i prof: Cristina Di Fusco

Ho iniziato ma non finito Suite francese di Irène Nemirovsky.

Ho iniziato e finito Vita oscena di Aldo Nove, ma non so scriverne…forse neanche posso.

Ho iniziato e finito Acciaio di Silvia Avallone.

Pensavo non avrei avuto voglia di parlarne, forse per quell’aria di famiglia che sento con la scrittura dei laureati in filosofia, non sempre esattamente propensi alla sintesi. Quotidianamente cerco pagine di letteratura, che possano dirsi immuni dall’ansia del voler essere esaurienti, forse per mancanza di tempo o per fuga dai miei stessi difetti.

Eppure mi sono ritrovata, già più di una volta, a citare l’intreccio tra le vite di due ragazze, descritto in questo romanzo, che mi ha, quindi, in fondo, sedotto, senza farsi abbandonare.

«Anna e Francesca, tredici anni quasi quattordici. La mora e la bionda.

(…) Correvano nella folla, si voltavano a guardarsi, si prendevano per mano. Sapevano di avere la natura dalla loro parte, sapevano che era una forza. Perchè in certi ambienti, per una ragazza, conta solo essere bella. E se sei una sfigata, non fai vita».

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