Il gioco indiscreto di Xuan

Hanoi, anni Trenta: qui si consuma, a ventisette anni, la breve vita di Vu Trong Phung, scrittore e giornalista vietnamita. Oggi considerato uno dei letterati più importanti del sud est asiatico, fu censurato in patria fino al 1986, quando venne sottratto alle maglie della censura comunista il suo più famoso romanzo: “ Il gioco indiscreto di Xuan”.

Ad  Hanoi va in scena la storia di Xuan. Xuan, detto il rosso per il colore della sua chioma, si trasforma da raccattapalle in un campo di tennis francese, frequentato dalla ricca  società locale, a eroe nazionale di un paese che sta vivendo  una vera e propria  metamorfosi con l’arrivo dei costumi e delle abitudini introdotte dai francesi. Da figlio del popolo, dotato di quella seduzione e di quel cinismo che trovano in Bel Ami di Guy de Maupassant l’antesignano più autorevole, per una serie di coincidenze fortunate, realizza una vera e propria scalata sociale che si conclude con un ricco matrimonio. Continua a leggere

Cosa leggono i prof.: Maria Carolina Tedeschi

Il romanzo–saggio del giovane scrittore toscano è un testo insolito, originale. In esso si sovrappongono, si integrano e si fondono più dimensioni narrative: dalla matrice autobiografica (c’è anche la “ sua storia”) alla riflessione di grande attualità (la crisi dell’industria tessile pratese e italiana tout court), dalle speranze per il futuro di un giovane e di una generazione alle “amare disillusioni” dell’età matura. In ultimo “Storia della mia gente” è anche la giustificazione della vocazione letteraria di Nesi:” So che sono servo dei miei libri e della mia famiglia, e il mio destino è scrivere. Finché potrò”.

In una Toscana che va dal “secolo d’oro” (anni  20 – 30 del secolo scorso) dell’industria tessile fino alla recente (2004) recessione  si muovono un imprenditore, O.Nesi, illustre e lungimirante antenato dell’autore, e la sua famiglia, con  fatti, ambizioni, fallimenti, abitudini, mode.

Le vicende familiari sembrano tuttavia quasi scorrere in secondo piano rispetto all’attenzione, alla focalizzazione dedicata alla gente di Prato, gente che si è consumata nel lavorare, che ha creato o almeno concorso al grande benessere del  Paese. Il capitalismo dei Nesi era però “morale”, capace cioè di “trasformare gli stracci in buoni tessuti”. Un mestiere molto redditizio, certo, ma che garantiva lavoro, cibo a molte famiglie toscane. Tutto questo fino agli anni ’90, quando, con l’avvento della globalizzazione dei mercati e la concorrenza cinese, ha inizio, inevitabilmente, la crisi, lenta e inesorabile, la dissoluzione di un sistema industriale. Ecco, allora, nel settembre 2004 la drammatica decisione presa dalla famiglia Nesi: la vendita dell’azienda. Ma questo atto ha un significato molto più sottile e tragico: “quando cedi un’azienda vendi anche la sua storia”, si legge.

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Cosa leggono i prof: Liviana Covre

“ E la chiesa inventò la donna”, il sottotitolo dell’ultimo libro di Michela Murgia , potrebbe sembrare l’origine pretestuosa di un lavoro che nasce da una circostanza quasi casuale: il sindaco di un paesino dell’entroterra sardo invita la scrittrice a un convegno dal titolo provocatorio ( Donne e chiesa: un risarcimento possibile ?). Tra parrocchiane composte e forse convinte di partecipare a un’ originale lettura del Rosario e un giovane parroco preoccupato di vedere scalfito il suo ruolo di difensore di un antico ordine, la Murgia, donna cristiana e militante nelle file dell’Azione cattolica, si ritrova a fare i conti con la sua formazione culturale e con una ragazzina sedicenne che ricevette la più misteriosa delle visite e accettò un figlio che la rese complice della salvezza del mondo. Questo però non è un libro sulla Madonna, perché in quel convegno la scrittrice si ritrova a fare i conti con tutte le donne della sua vita e con le loro storie, fatte di adeguamento a dei modelli che la chiesa ha contribuito a diffondere, ma che certi uomini hanno saputo codificare secondo stereotipi che vogliono le donne belle e silenti. Perfino le parole di una grande donna della chiesa cattolica, Madre Teresa di Calcutta, che vede il destino delle donne “come cuore del focolare o cuore della madre Chiesa”, forniscono una prova chiarissima che nell’ordine naturale del mondo le donne sono il cuore che serve e gli uomini la testa che ordina. La suora albanese non ha fatto altro che esprimere una convinzione radicata da secoli e che ha trovato un difensore di grande efficacia in Giovanni Paolo II , sebbene, nella lettera apostolica “Mulieris dignitatem”, egli abbia tentato di attualizzare l’insegnamento della chiesa sul ruolo della donna alla luce delle istanze femministe degli anni settanta. Per chi come me ha vissuto la giovinezza proprio in quegli anni in cui stava cambiando la società e nuove conquiste sembravano profilarsi in tema di legislazione sul diritto di famiglia, il libro della Murgia è illuminante per comprendere le ragioni di chi non vedeva una soluzione solo di tipo politico al problema dell’emancipazione femminile. Continua a leggere

Cosa leggono i prof: Liviana Covre

“Che tempo che fa”, la trasmissione di Fabio Fazio mi permette di non sentirmi derubata quando pago il canone televisivo: costituisce uno dei rari programmi che dibattono di libri e intervistano autori con la leggerezza del divertimento e la profondità dell’intelligenza. Ieri sera non potevo dunque perdermi l’intervista con Eugenio Scalfari alla presentazione del suo ultimo saggio che faceva bella mostra di sé sul tavolo del mio salotto e con il quale da un paio di sere avevo cominciato il mio personale dialogo di lettrice. Avevo incontrato a Pordenonelegge un autore che rivisitava il pensiero moderno in “Per l’alto mare aperto” da Montaigne a Cervantes fino a Leopardi e Montale in un viaggio che cercava risposte a una sorta di invasione barbarica pronta a sconfiggere la modernità e nello stesso tempo lasciava aperta la speranza a una nuova scoperta, perché la storia umana non può finire finché l’uomo sapiens riuscirà a guardare il cielo stellato e a cercare la legge morale dentro di sé.

Quel saggio si chiudeva con “gli ultimi fuochi” di un’epoca al tramonto: Calvino e Montale e con alcune pagine dedicate ai due grandi interpreti del’900 che preparano le riflessioni del nuovo saggio. Aveva ricordato Calvino  e il suo tentativo di placare un’anima malinconica con la leggerezza creativa della scrittura; gli dedica ora una pagina iniziale del libro per dimostrare come spesso gli artisti siano dominati da una natura incline all’introversione. Continua a leggere

Cosa leggono i prof: Roberto Cescon

Me l’avevano regalato a Natale, ma non l’avevo ancora letto perché ogni volta ho paura di consumare troppo presto il piacere di leggere David Foster Wallace. Vinta questa paradossale indecisione, qualche settimana fa l’ho divorato in poche ore.

Se a qualcuno piacciono il tennis e Federer, questo libro fa per lui.

L’inizio è magnifico: quasi tutti gli appassionati di tennis che seguono il circuito maschile in televisione, da qualche anno a questa parte hanno avuto modo di sperimentare quelli che si potrebbero definire Momenti Federer. Sono gli attimi in cui, mentre guardi il giovane svizzero in azione, ti cade la mascella, strabuzzi gli occhi ed emetti suoni che fanno accorrere la tua consorte dalla stanza accanto per controllare che tutto sia a posto.

(Segue una incredibile descrizione di un punto della finale Federer-Agassi agli U.S. Open del 2005).

Roger Federer come esperienza religiosa (Casagrande, 2010) è un breve saggio (non voglio scrivere “saggio breve”) di Wallace, inviato dal New York Times a Wimbledon nel 2006.

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Cosa leggono i prof: Claudio Tondo

Può un filosofo (un tempo postmoderno e per giunta maschio) dare consigli pratici alle lettrici di Donna Moderna? È quanto cerca di fare Maurizio Ferraris nella rubrica “I ritmi della mente”. Ora quei brevi articoli sono stati raccolti e pubblicati in volume secondo un ordine alfabetico: insomma, un dizionario tascabile, dalla A di Anima alla W di Web, passando per Armadio, Cinema, Disordine, Impiccione, Pantofolaio, Riposo, Stress, Shopping, Vicini (di ombrellone)… Naturalmente ci sono i lemmi Corteggiatori, Figli, Innamorarsi, Marito, Matrimonio, Sentimenti, Sex (and the City), Sole (dormire da)”… e Vero (amore).

È proprio vero, quando tutti gli esperti sono a corto di idee, quando, come dice Franco Battiato, il “vuoto di senso” e “il senso di vuoto” o, più prosaicamente, i mille contrattempi dell’esistenza non trovano soluzione, non rimane altro, come ultima e disperata chance, che rivolgersi ai filosofi. I quali, vanitosi come sono e sempre alla ricerca di leggerezza (verrebbe da dire, “femminile”), non si tirano indietro. Come fa da tempo, ad esempio, Umberto Galimberti, altro filosofo (e psicoanalista junghiano), in una fortunata rubrica su D, magazine di Repubblica.

Rilevanza filosofica per le lettrici e per il lettori? Perché, si sa, i rotocalchi femminili sono letti, magari simulando indifferenza, anche dagli uomini (mentre raramente accade il contrario). Direi poca. I consigli di Ferraris o sono troppo astratti (e dunque inapplicabili) ai casi concreti della vita, o troppo banali. Ma per questo non serve un filosofo, basta accendere la Tv e ascoltare a caso; oppure leggere le altre pagine della stessa rivista.

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Cosa leggono i prof: Augusta Calderan

Il libro di cui vi voglio parlare è Una nuova terra, traduzione dell’originale Unaccustomed Earth di Jhumpa Lahiri. Probabilmente alcuni di voi hanno letto il suo romanzo L’Omonimo, ma molti di più avranno visto la trasposizione cinematografica, The Namesake.

L’autrice, inglese di nascita ma cittadina americana, proviene da una famiglia bengalese originaria di Calcutta e appartenente alla diaspora di accademici del subcontinente che, anche dopo il 1947, anno dell’indipendenza di India e Pakistan, hanno continuato ad avere come punto di riferimento per i loro studi e per la carriera universitaria il Regno Unito, spostandosi magari in seguito negli Stati Uniti. Lì, esattamente nell’esclusiva Rhode Island, Jhumpa Lahiri è cresciuta.

In realtà il suo vero nome è Nilanjana Sudeshna ma le sue maestre avevano un po’ di difficoltà a pronunciarlo, quindi optarono per Jhumpa, e lei non aveva nulla in contrario a questo nuovo appellativo. Infatti, come molti bambini stranieri, provava un certo imbarazzo ad avere un nome così poco comune sul quale gli altri inciampavano di continuo. Ora Jhumpa che nel frattempo si ha vinto un premio Pulitzer, vive a Brooklyn con il marito, di origine sudamericana, e i due figli. Continua a leggere