Cosa leggono i prof. – Liviana Covre

Il verbo leggere non sopporta l’imperativo

Se è vero, come diceva Gianni Rodari, che il verbo leggere non sopporta l’imperativo, è anche vero che non ricordo momenti in cui i libri non abbiano scandito la mia vita.  Ho sempre creduto che il mio tempo debba spendersi, quasi quotidianamente, in libreria, ad “annusare” i nuovi libri che escono o a cercare spunti per discussioni con i miei studenti. Non so quando ho capito il potere della lettura, ma, in momenti non facili della mia vita, ho imparato che il piacere generato dalla parola scritta poteva salvarmi e che gli effetti collaterali, fatti di dipendenza e di adesione a un mondo di sodali, erano molto più vitali delle volute di fumo generate dalle erbe illusorie fumate dai miei compagni di gioventù. Le pagine dei libri mi hanno dato la forza di affrontare la vita con le gioie e le sofferenze che la governano, perché i libri che mi sono scelta hanno generato risposte o dubbi, ma mai sono stati silenziosi compagni. Il solo libro lasciato a metà è legato alla dolorosa esperienza della morte di mio padre e alle ore che ne hanno scandito l’agonia. Leggevo per non vederne la fine imminente, ma in quella dolorosa veglia notturna non sono riuscita a portare a termine una lettura carica del mio e del suo dolore.

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Cosa leggono i prof: Cristina Di Fusco

Ho iniziato ma non finito Suite francese di Irène Nemirovsky.

Ho iniziato e finito Vita oscena di Aldo Nove, ma non so scriverne…forse neanche posso.

Ho iniziato e finito Acciaio di Silvia Avallone.

Pensavo non avrei avuto voglia di parlarne, forse per quell’aria di famiglia che sento con la scrittura dei laureati in filosofia, non sempre esattamente propensi alla sintesi. Quotidianamente cerco pagine di letteratura, che possano dirsi immuni dall’ansia del voler essere esaurienti, forse per mancanza di tempo o per fuga dai miei stessi difetti.

Eppure mi sono ritrovata, già più di una volta, a citare l’intreccio tra le vite di due ragazze, descritto in questo romanzo, che mi ha, quindi, in fondo, sedotto, senza farsi abbandonare.

«Anna e Francesca, tredici anni quasi quattordici. La mora e la bionda.

(…) Correvano nella folla, si voltavano a guardarsi, si prendevano per mano. Sapevano di avere la natura dalla loro parte, sapevano che era una forza. Perchè in certi ambienti, per una ragazza, conta solo essere bella. E se sei una sfigata, non fai vita».

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