Seminario sull’argomentazione per la 1A e la 1E Classico

HeideggerIl seminario sulla teoria dell’argomentazione che ha coinvolto le classi 1A e 1E classico nella giornata di lunedì 13 gennaio aveva lo scopo di presentare agli studenti le strategie retoriche maggiormente utilizzate da ogni tipo di “oratore” per convincere gli interlocutori e controbattere alle obiezioni sollevate riguardo alla propria tesi.
L’introduzione alla tematica è stata lunga, ma necessaria: che cosa significa argomentare? In base a cosa si dice che un discorso è “ben costruito”, che è “efficace”? Come si risale al valore di verità di un’argomentazione? Alle domande appena presentate corrispondono, in effetti, altrettante questioni centrali, a loro volta sollevate dallo scontro (a tutti gli effetti, “millenario”) tra la retorica e la filosofia; tra due modi di pensare la verità in relazione alla parola. Occuparsi di argomentazione non significa forse violare il divieto platonico riguardante la ricerca della verità? Saper pronunciare discorsi efficaci, in altre parole, non costringe forse ad abbandonare la visione post-socratica di una verità attorno alla quale, come satelliti, gravitano enunciati più o meno vicini al centro, al nucleo infuocato che acceca colui che riesce ad evadere dalla caverna? Certamente sì. La partita si gioca, ancora una volta, tra due visioni differenti del linguaggio, due modi diversi di assumere la capacità dell’uomo di elaborare proposizioni sul mondo: da una parte, la prospettiva che definisce il parlare umano come un mezzo di comunicazione (e, in questo senso, uno strumento); dall’altra, l’idea – presente in potentia nelle tesi di Gorgia ma sviluppata compiutamente prima dai Veda, poi da Heidegger – di un linguaggio inteso come processo dinamico a cui è assegnato il ruolo di soggetto – ed a cui pure l’uomo è, in larga parte, subordinato.
Scegliere tra un’interpretazione e l’altra non è un passaggio obbligato per avvicinarsi alla teoria dell’argomentazione, e tuttavia si tratta di una dualità da tener presente.
La retorica, pur presentandosi in evidente contrapposizione con buona parte della tradizione filosofica occidentale, non disdegna di utilizzarne gli strumenti: quelli della logica formale, quelli della filosofia del linguaggio e della linguistica. È a partire dalla spiegazione di questi contratti “interdisciplinari”, e cioè dall’esame delle cosiddette “fallacie argomentative” che ho presentato la teoria dell’argomentazione e le sue tecniche.
Posta la presenza di regole formali e regole etiche, è evidente che la retorica – la quale traduce, sebbene in maniera discutibile, il logos – investe molti ambiti della nostra vita quotidiana: il territorio della parole – che si estende dalla politica alla letteratura, dalla pubblicità ai discorsi amichevoli -, lungi dall’aver confini ben marcati, si rigenera di volta in volta producendo contrade sempre nuove. Non è, in fin dei conti, il nostro unico modo per incidere sul mondo?

Alberto Sonego

Questo è il pdf delle lezioni: Seminario sull’argomentazione (Sonego).

Alberto Bertoni su Giovanni Giudici al teatro Verdi per gli studenti del Leo-Major (Sara Bertoia, Giorgia Brusadin, Alice Calabretto, Benedetta Raffin, Paola Mian)

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“La poesia è una forma artificiale di prosa, che è capace di elevare il linguaggio al canto e abbassarlo alla visceralità dell’urlo” (Fernando Pessoa). E’ stato questo il tema trattato da Alberto Bertoni durante la sua conferenza: la poesia come … Continua a leggere

Guidorizzi e la concezione del corpo nel mondo antico (Francesco Amato, Alberto Francesconi, Irene Altomare, Elena Visentin, Alessia Avon)

Guilio Guidorizzi

Giulio Guidorizzi, grecista, filologo e professore all’università di Torino, ha magistralmente trattato, nella Sala Grande di Cinemazero, uno degli argomenti più complessi della letteratura greca, nonché un grandissimo problema di natura antropologica: la concezione del corpo.
“Talvolta il corpo può rispecchiare la propria interiorità” così ha esordito il professore dopo essersi alzato in piedi, gesto simbolico dato il tema che sarebbe andato ad approfondire. “Un corpo tatuato, ad esempio, si diversifica dagli altri in quanto caratterizzato da segni distintivi. Allo stesso modo il corpo degli eroi greci è un corpo dalle prestazioni eccezionali, poiché è eccezionale la persona stessa”. Secondo la cultura greca anche gli dei possedevano un corpo di forma umana, mancante però di un’anima.
Insomma, il corpo assume funzioni diverse in base alle culture e alle usanze della società. Secondo il parere del professore, l’anima è un concetto molto interessante: è infatti l’unica distinzione tra mortali e immortali, in quanto è compagna inseparabile per gli uomini e assente negli dei (“la psyché non è degli dei”, afferma il professore). La tradizione che gli dei fossero fatalmente attratti dagli uomini proprio per questa particolare distinzione lo conferma. Lo stesso Zeus, padre dei numi e signore del cielo, era appunto più attratto dalle donne mortali che dalle “comuni” dee. Questa sorta di malcontento nei confronti della mortalità da parte degli dei è visibile anche se prendiamo sotto esame un altro aspetto: se l’uomo soffre può usare il “dono” della mortalità e mettere fine alle sue pene; se invece un dio si trovasse in questa situazione non avrebbe altra scelta se non quella di persistere in questo stato per tutta l’eternità, poiché immortale, ma non totalmente immune al dolore. Dopo un breve inciso riguardante l’uso della parola “soma” nei testi omerici, dove questa presenta il significato di “cadavere” e non di “corpo vivo”, nozione mancante in tali opere, il professore ha proseguito con due interessanti analisi che vertevano su argomenti molto diversi: nella prima, ha evidenziato il fatto che gli dei non possono “banchettare” con gli uomini, in quanto il loro cibo è diverso e il nutrirsi dei cibi umani porterebbe alla perdita della loro natura divina.  Nella seconda ha ribadito come il concetto di corpo non riguardi solo la fisiologia o la medicina, ma abbia un’importante funzione culturale. Un altro esempio di tale affermazione è dato dalla volontà dei Greci di esaltare il corpo, nel pieno della sua bellezza (“avere un corpo bello per i Greci significava avvicinarsi agli dei”). Tale aspetto era ritenuto così importante che coloro i quali avevano la sfortuna di possedere un corpo deformato erano oggetto di numerose prese in giro; persino il teatro, nella Grecia antica, “giocava” con le deformità.
Dopo queste analisi di notevole peso contenutistico, Guidorizzi si è cimentato in una breve spiegazione riguardante la concezione del corpo nell’Odissea, opera tanto cara a noi ginnasiali. Il professore ha messo in evidenza il fatto che Ulisse più volte nella durata delle vicende abbia cambiato la natura del suo corpo, anche grazie a interventi divini. Ma non solo lui. In tutta l’Odissea infatti si gioca sulla diversa fisionomia del corpo; basti pensare a Polifemo, alle Sirene, a Circe o ai corpi dell’Ade. Guidorizzi ha poi proseguito con una delle affermazioni più interessanti del suo discorso: “Un corpo senz’anima non è più il corpo della persona a cui apparteneva”. Affermazione di grandissimo peso e il cui approfondimento avrebbe richiesto molto più tempo di quello rimanente. Dopo qualche altro breve riferimento all’argomento “corpo-dei” e dopo aver risposto in modo più che esauriente alle domande degli studenti, per la verità mai così numerose, la conferenza si è infatti conclusa tra gli applausi di tutti i presenti. Noi “classicisti del Leo-Major” siamo così tornati a casa con la consapevolezza di aver arricchito e non poco il nostro bagaglio culturale, avendo approfondito uno dei temi fondamentali della letteratura di tutti i tempi, in particolar modo di quella della Grecia antica, sempre più indissolubilmente legata alla vita scolastica di noi ragazzi.

Francesco Amato, Alberto Francesconi, Irene Altomare, Elena Visentin, Alessia Avon, VBg

“Nuda Veritas”. Il Leo-Major al Malibran di Venezia ad ascoltare “ I classici contro” (Antonio Forte, Valentina Bordin, Chiara Bettini)

classici-controLa conferenza tenutasi al teatro Malibran di Venezia, nell’ambito del progetto “Classici contro: Nuda Veritas”, si è aperta con l’intervento di Stefano Quaglia, esperto di cultura classica al Ministero dell’Istruzione. “Chi ha paura dei classici?” A questa domanda ha dato una risposta il professore, affermando che coloro che hanno compiuto studi diversi da quelli classici li temono profondamente e che tutti abbiamo bisogno del patrimonio ereditato dal mondo antico, poiché è in grado di permettere ad ognuno di rispondere alle domande importanti sul senso dell’esistenza, in quanto è misura del nostro divenire. All’intervento di Quaglia è seguito quello di Arianna Braghin, del gruppo di ricerca “Alètheia” dell’Università Ca’ Foscari. La giovane relatrice ha presentato la figura di Omero, affermando che il potere del suono si rivela nella voce delle Muse da cui il cantore trae l’ispirazione per la composizione e l’esecuzione del suo canto. Le dee, sempre presenti agli eventi della vita, donano il canto all’aedo cieco e privo del sapere, Omero, comunicandogli quella conoscenza totale e quel messaggio che lo rendono un maestro di virtù e di verità. La vista e l’udito del cantore greco si intrecciano e agiscono nel processo della conoscenza, come strumenti sui quali il canto epico deve fondersi per raggiungere l’alètheia. Della verità e della seduzione erotica nella poetica greca, su questo si è fondata invece l’accattivante argomentazione di Claude Calame, noto professore dell’Università di Yale, nella quale ha parlato di Elena. Quest’ultima, come racconta Isocrate, sarebbe apparsa ad Omero chiedendogli di comporre sulla guerra di Troia un poema che presentasse eroi più illustri dei mortali: pare dunque ovvio che la fama dell’Iliade e il suo fascino siano dati dall’intervento della seducente eroina. E proprio nella seduzione si incontrano verità poetica ed eros, ritenuto verità vestita. Sport e guerra partono secondo Paola Bernardini, dell’Università di Urbino,  dallo stesso scopo, lo scontro. L’ agòn greco come lotta in cui si deve vincere: nella civiltà ellenica infatti si doveva essere i migliori. L’agonismo investiva molteplici aspetti dell’esistenza degli antichi Greci, dalla pratica bellica all’atletismo, dalla politica alla retorica. Nello scontro agonale la verità è rappresentata dal risultato incontrovertibile che vede un vincitore e un vinto; nel duello eroico la verità è sì la prova dei fatti, cioè l’esito finale, ma è anche il riconoscimento che il combattente vuole dai commilitoni per il proprio valore.  La conferenza si è conclusa con il brillante intervento di Carmine Catenacci, professore di Letteratura greca all’Università di Chieti – Pescara, il quale ha affrontato il tema delle reazioni pericolose a cui può portare la verità nella poesia, affermando che quest’ultima, come sosteneva lo stesso Pindaro, con la sua capacità plastica e l’autorevolezza enunciativa, diventa pericolosa, se essa si fa portatrice di menzogna e inganno. Il progetto “Nuda Veritas” oltre a coinvolgere numerosi appassionati della cultura classica, ha anche coinvolto molti giovani studenti  facendo conoscere loro l’affascinante concetto di verità nella cultura ellenica.

Antonio Forte, Valentina Bordin, Chiara Bettini, VBg

Il fascino della parola letta: un progetto, tante emozioni (Davide Tonuzi)

Il fascino della parola letta-1

Felicità e infelicità: eccole due parole ed emozioni che ci hanno guidato in questo anno scolastico attraverso vari incontri.
Il progetto “Il fascino della parola letta” nasce dall’idea delle professoresse Mariarosa Burino e Angela Piazza, che quest’anno hanno guidato noi alunni di V B e V E ginnasio alla scoperta di due tematiche esistenziali di grande rilievo: la felicità e l’infelicità.
C’è però da dire che questo laboratorio di letture e idee non sarebbe stato lo stesso senza il contributo di due eccellenti persone: l’attrice Carla Manzon e Marco Anzovino, cantautore e musicoterapeuta di spessore.
Questi due pilastri del laboratorio ci hanno accompagnatiattraverso letture di romanzi (famosi o appena pubblicati) e riflessioni personali alla ricerca del nostro concetto di felicità e infelicità.
Il percorso del laboratorio è stato diviso in due fasi: quella guidata da Carla Manzon e quella animatada Marco Anzovino, che noi amichevolmente abbiamo soprannominato “Zio Anzo”. Entrambi hanno ottenuto un notevole successo!
Con la Manzon abbiamo letto diversi brani tratti da romanzidi autori molto diversi tra loro, dalla Masini alla Nemirovskij, da F. Scott Fitzgerald alla Mastrocola, spesso accompagnandoli con spezzoni di film, introdotti e commentati da esposizioni ben elaborate di compagne e compagni delle due classi.
L’energia di questa donna ci ha incantati tutti, è innegabile. Ci fa fatto parlare tra di noi, alla ricerca di definizioni, sensazioni ed emozioni, dandoci l’opportunità di mostrare il nostro vero “io” attraverso riflessioni che partivano da passi di romanzi. Tra risate e riflessioni e tra sorrisi e malinconia, gli incontri con lei sono passati velocemente, troppo velocemente, lasciandoci però la speranza di un’esperienza simile per il prossimo anno.
Il fascino della parola letta-2
Passando alla seconda fase, quella con Marco Anzovino, c’è subito da dire che è stata un’esperienza unica: abbiamo conosciuto questa fantastica persona, molto simpatica e carismatica, con cui siamo entrati subito in confidenza e che ci ha insegnato molto. Come dicevo, tra noi si è instaurato un buon rapporto poiché, avendo lui per mestiere (è musicoterapeuta in una comunità di recupero per tossicodipendenti) grande esperienza nel trattare gli adolescenti, sa come “prenderci” e cosa fare. A colpi di battute, sorrisi, silenzi e spezzoni delle sue canzoni, è riuscito a coinvolgerci tutti, perfino ancorpiù di quanto avesse fatto, nonostante il suo ottimo lavoro, la Manzon. Ognuno di noi ha avuto la possibilità di raccontare esperienze personali, rendendoci tutti partecipi di quei momenti.
In questa seconda parte però non si è trattato solo di esperienze e parole, ma ci siamo cimentati anche nella produzione di una canzone, creata unendo quanto di più profondo c’era in ognuno di noi. Inutile dire che ne siamo usciti tutti soddisfatti, tirando fuori la parte poetica celata in noi e rendendo fiere anche le due insegnanti che ci hanno seguito.
Nel corso di questo progetto, dunque, non si è trattato solo di occuparsi dicanzoni o di leggere “storielle”, ma di aumentare le nostre capacità di comunicare tra di noi, dipensare e di prestare ascolto alle riflessioni nostre e altrui, e devo dire che in questo siamo riusciti anche discretamente bene. Non vi sembriuna cosa da poco: in questi mesi di incontri, risate e fatiche, ci siamo visti crescere e abbiamo imparato molto più che non la semplice differenza tra felicità e infelicità.
Spero che il progetto venga mandato avanti negli anni a seguire, così che anche altre classi possano provare le nostre esperienze, facendo capire come da parole e musica possano nascere molte emozioni.

Davide Tonuzi (V E ginnasio)

RAIMONDI, il camminatore della letteratura

Ezio Raimondi
Il grande critico letterario Ezio Raimondi è scomparso il 18 marzo a Bologna all’età di 90 anni. 
Ora la sua camminata ha u­na sosta. Ezio Raimondi, infaticabile camminatore delle letterature, riposa. Ma sono certo che in quel luogo dell’oltretempo do­ve ritmo e danza e quiete sono finalmente uno, lui, il suo passo, le voci degli scrittori e dei poeti nella sua voce porteranno un passo, un si­lenzio, una meraviglia in più.
Lo abbia­mo incontrato noi tanti suoi studenti mentre in fondo all’aula di Bologna camminava e conversava con noi e con­temporaneamente con Borges o Tasso, con Manzoni (quel suo Manzoni strap­pato alle scontate cerimonie) o con Bro­ch o con Dante. Nutriva la nostra me­raviglia, la nostra fragile curiosità. Fa­ceva della letteratura il teatro di ombre e di volti e di parole in cui mettere la no­stra vita a rischio, e a confronto. Camminatore senza binari rigidi, utiliz­zava pezzi di sentiero aperti dalla criti­ca rabdomantica di un Serra o dalle sin­tesi dei critici americani. Mai sottomise la sua libertà a un metodo che non fos­se la conversazione e l’ascolto recipro­co delle parti anche lontane, degli auto­ri anche discordi. Non voleva chiudere nessuna opera in una teoria o in uno schema. Voleva che parlasse con te e vi­ceversa. Non gliene saremo mai grati ab­bastanza, in questa epoca di metodolo­gie che non salvano mai la vi­ta. Non gli saremo mai grati abbastanza di a­verci fatto vedere a- nimato e vivo quel teatro di parole.
Uo­mo che veniva dal popolino basso di u­na Bologna che tirava avanti grazie ai la­vori della madre domestica presso cer­ti signori (era nato a Lizzano in Belve­dere il 22 marzo 1924), il ragazzino Rai­mondi diede i segni di una prodigiosa at­titudine a imparare. E questa attitudine lo ha accompagnato fino alla fine, stu­pendoci ogni volta che lo si trovava più avanti, più curioso, più fervido. La sua camminata è stata lunga, vasti i giri e le ricognizioni che ha compiuto. I suoi vo­lumi di studi sono lì a testimoniarlo. Dal­la filologia alla letteratura comparata, ai fondi che hanno cambiato per sempre la percezione di certe opere o parti di quelle. Basti pensare ai Promessi sposi o al Purgatorio di Dante.
E la generosità del suo impegno lo testimonia anche la folta schiera di coloro che, pur seguen­do percorsi diversi, gli sono debitori. E io tra questi. Con lui mi ha legato una strana lunga amicizia, iniziata con una impegnativa tesi, in anni in cui gli chie­devo di accompagnare certe iniziative di approfondimento in Università, ne­gli incontri con scrittori – memorabile uno con Testori, o quello con Luzi durante il quale nacque l’idea di dar vita all’unico Centro di poesia contemporanea attivo in una università i­taliana, da lui presiedu­to fino a oggi. Scelsi – lui capii subito – di non cercare la carriera ac­cademica. Accompa­gnò la mia poesia viag­giatrice e vitale con at­tenzione e con una pun­tuale nota scritta per un libro. Mi incoraggiò sem­pre e sostenne, pur cono­scendo la mia natura brada di poeta insofferente a ri­tuali accademici. Lui stesso finì quella sua prestigiosissi­ma carriera accademica in modo ama­reggiato e deluso.
Quella che lo congedò senza nemmeno troppo riguardo non e­ra l’università che aveva sognato e che a­veva praticato per decenni con gli stu­denti. Troppe meschinità e pavoneggia­menti, troppa ideologia l’hanno inqui­nata e resa esausta. Nelle sue lunghe cam­minate – quelle che fa­ceva a lezione ma an­che per via, facendosi accompagnare da un assistente o dall’ultimo curioso degli studenti – c’è un emblema. La letteratura sottratta alla natura di cam­mino, di viaggio, di avventura cono­scitiva profonda e drammatica, si irrigidisce in culturalismo sterile, in serbatoio ideologico, o in passa­tempo per signorine.
La statura dello studioso in Rai­mondi era pari alla inquietudine dell’uomo. Il viaggio in cui ci ha introdotto era il viaggio del suo spirito, non solo il suo tempera­tissimo e prodigioso mestiere. Una inquietudine espressa in modo pudico, senza clamore. Ma vivacissima. Quando gli pro­posi di fare un libro di conver­sazioni insieme, di conversazio­ni non solo letterarie ma sulla vita, e lui accettò destando più di qualche scalpore, lo volle intito­lare La speranza contesa (l’edi­tore fu Guaraldi). Fu uomo di fede, senza fronzoli. Le conversazioni che per vent’an­ni quasi settimanalmente si face­vano furono per me ricche di sug­gerimenti e di traiettorie, e credo per lui occasione fuori dai vincoli di debiti accademici per mettere a fuoco certe questioni insieme. Ricordo per esempio la sua curiosità per una scrittrice come Flannery O’Connor di cui volle leggere certi libri che gli regalai. O la instanca­bile forza con cui mi portava a conside­rare le “Osservazioni” di Manzoni.
Si dice di solito quando se ne va una fi­gura così imponente che lascia un vuo­to. Non solo negli affetti della figlia e del nipote e di coloro che lo hanno amato. Certo Raimondi lascia uno spazio che non è colmabile. Di cavalli di razza così ne nascono rara­mente, e nella critica letteraria – pratica peraltro oggi ampia­mente in crisi e da reinventare – di certo sono rarissimi. Ma lui lascia un pieno, ver­rebbe da dire. Lascia non solo scaffali pie­ni di studi e di sco­perte e di preveggen­ze – fu primo a com­prendere l’importan­za di un Bachtin o a volere tradotti da il Mulino altri studi fon­damentali come quelli di Freccero – ma lascia un teatro vivo, una certa anima­zione dietro di sé.
Molti professori di li­ceo, molti giovani e meno giovani scrit­tori che hanno avuto la fortuna di ascol­tarlo, la pazienza di leggerlo hanno di certo ereditato la letteratura come un “pieno” non come un “vuoto”. Intendo un teatro dove va in scena non una ma­schera, ma il volto sempre ferito e sem­pre misteriosamente glorioso dell’uomo. Non a caso, fu Manzoni uno dei suoi grandi autori e forse quello con cui prin­cipalmente sentiva di dover portare in discussione certe acquisizioni della co­siddetta modernità oltre che le ricchez­ze ctonie e sublimi della lingua e del suo mutamento. Le pagine dedicate al gran romanzo, in prospettiva europea e in­ternazionale, e quelle dedicate a La co­lonna infame danno il senso di un con­fronto fertilissimo e attuale. La sua cam­minata ora ha una sosta. Il Dio dei vian­danti e dei pellegrini sa riconoscere il passo dei suoi, e sa farlo sconfinare in u­na nuova luce.

Il 10 maggio 2012, all’interno del Salone del Libro di Torino, “Avvenire” gli aveva consegnato il Premio Giuseppe Bonura per la critica militante, giunto alla terza edizione. Ezio Raimondi era stato, infatti, capace di unire la ricerca filologica e documentaria con la sperimentazione dei più moderni metodi interpretativi. Professore emerito all’Università di Bologna, Raimondi fu condirettore della rivista “Convivium” e di “Lingua e stile”, direttore dell’Archivio Umanistico Rinascimentale di Bologna e di “Intersezioni”. Lunghissima la sua bibliografia critica, dal primo saggio su Codro e l’Umanesimo a Bologna (1950) a Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano (1961), Metafora e storia. Studi su Dante e Petrarca (1970), Il romanzo senza idillio. Saggio sui Promessi sposi (1974), Le pietre del sogno. Il moderno dopo il sublime (1985),L’etica del lettore (2007). Tra le sue opere più recenti si ricorda Un teatro delle idee. Ragione e immaginazione dal Rinascimento al Romanticismo (2011).

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Franco Di Mare incontra gli studenti al Concordia di Pordenone (Alberto Francesconi, Francesco Amato)

Studenti del Leomajor e Franco Di Mare

Ospite d’eccezione all’Auditorium Concordia, per la V edizione degli Incontri con l’autore (Giornata internazionale del libro), organizzati dalla professoressa Merighi dell’Istituto Flora, è stato quest’anno il noto giornalista e scrittore Franco Di Mare, venuto per parlare del suo libro “Non chiedere perché”. Si tratta di un romanzo autobiografico nel quale l’autore riflette indirettamente sulla propria esperienza di inviato durante la guerra in Bosnia, all’inizio degli anni ’90 e sull’incontro con la piccola Malina, la bimba da lui salvata dall’inferno del conflitto armato di Sarajevo. Il primo intervento dell’autore è stato anticipato dalla proiezione in sala di un video e dalla lettura di una poesia e di una recensione, tutti lavori realizzati dagli studenti degli istituti coinvolti. A questo punto, ha preso la parola Di Mare, il quale si è soffermato sulla motivazione del peculiare titolo del romanzo e sulla descrizione della sua vita da giornalista inviato, che l’ha messo a contatto con la cruda realtà della guerra. Durante questo discorso di apertura, gli studenti che riempivano l’Auditorium hanno ascoltato rapiti le parole profonde dell’autore, il quale non ha solo parlato del suo romanzo, ma ha descritto emozionanti particolari della propria vita, catturando così l’attenzione dell’intera platea.
Nel corso dell’incontro sono state poste all’autore numerose domande dai ragazzi e i suoi brillanti interventi sono stati inframmezzati dalla lettura di altri testi e dalla visione di video, sempre realizzati dagli studenti. Le domande si sono distinte per serietà e impegno e Di Mare ha risposto con trasporto ed entusiasmo. In particolare, si è soffermato sulle esperienze più impressionanti vissute nei vari teatri di guerra e sui risvolti che hanno avuto sulla sua persona. Inoltre, in risposta ad una domanda da lui molto apprezzata, ci ha illustrato quello che, a parer suo, è il miglior percorso da intraprendere per diventare giornalista, spronandoci ad impegnarci a fondo per raggiungere i nostri obiettivi. Al termine dell’incontro Mattia Guido, giovane che frequenta la 3 AKC presso l’istituto “F. Flora”, ha avuto modo di stupire ed emozionare tutti i presenti con una lettera da lui scritta per Malina, o meglio Stella, la piccola protagonista del romanzo, adottata da Di Mare, il quale commosso ha assicurato che avrebbe consegnato la lettera alla figlia.
Dopo i ringraziamenti di rito da parte della preside del Flora, istituto promotore dell’evento, Di Mare si è dimostrato disponibilissimo a salutare di persona molti ragazzi, vogliosi di conoscere da vicino l’autore di un libro tanto apprezzato come “Non chiedere perchè” e di farsi autografare la propria copia del romanzo.
Questo incontro, in definitiva, non ha solo permesso ai numerosi studenti presenti di ascoltare le parole di uno scrittore e giornalista rinomato come Franco Di Mare, ma anche  di stabilire un dialogo profondo tra l’autore e i ragazzi stessi, attraverso domande, letture, video e interventi. E’ stata dunque un’esperienza assai apprezzata dall’intero pubblico di giovani, attenti e partecipi durante tutta la mattinata.

Alberto Francesconi, Francesco Amato V B ginnasio.