Proseguiamo nel nostro itinerario di interviste, ritornando però all’ambito letterario. Irene Cao, autrice della trilogia erotica che ha riscosso un grandissimo successo a livello internazionale Io ti guardo, Io ti sento, Io ti voglio, si è gentilmente prestata a rispondere alle nostre domande.
Fare la scrittrice è un sogno che insegui fin da bambina, o una passione nata più tardi, tra “sudate carte” universitarie?
Scrivo da sempre. Un tempo, quando non c’erano i laptop, i tablet e tutti gli strumenti tecnologici di cui disponiamo ora, scrivevo su fogli volanti, su taccuini, quaderni e diari che ancora conservo. Scrivevo per necessità e per lasciar fluire i pensieri. È iniziato, forse, come esercizio terapeutico, poi è diventato qualcosa di più. Ma non mi sentirò mai davvero “scrittrice”, semplicemente perché non amo identificarmi in un ruolo.
Come riesci a conciliare questa meravigliosa attività, che richiede senza dubbio tanta concentrazione, con gli amici e il resto della tua vita? Da qui prendo spunto per un’altra domanda: sei in questo senso più Elena o più Gaia?
Non è facile. Quando inizio a scrivere, tendo ad isolarmi dal resto del mondo per qualche mese. Un romanzo non è un racconto: richiede un grado di concentrazione e un impegno psicofisico notevoli. Per mia natura non riesco a scrivere in mezzo al rumore; ho bisogno di molto silenzio dentro e fuori di me. In questo senso, forse, sono più Elena, così rigorosa – almeno all’inizio – nel suo lavoro di restauratrice. Gli amici, quelli veri, sanno comprendere i miei mutevoli stati dell’animo, come io comprendo i loro. Quando supero la fase critica, che coincide più o meno con la gestazione dell’opera, in genere ritorno alle persone care con una nuova energia e questo fa bene a tutti, a me e a loro.
Quali sono i momenti in cui ti senti più ispirata? Che cosa significa per te ispirazione?
Quando m’innamoro, mi sento più ispirata. Ma non mi riferisco all’innamoramento classico tra uomo e donna. Per sentirmi davvero ispirata, devo prima innamorarmi della storia, dei personaggi, dei luoghi che sto per raccontare. Ispirazione per me è innamorarsi ogni giorno.
Quali scrittori prediligi?
Il Novecento italiano e in generale i classici, forse anche perché ho avuto una formazione “classica” (dal liceo alla laurea in Lettere Classiche, fino al dottorato in Storia Antica). Da Saffo a Pasolini, passando per Lucrezio, Dostoevskij e Moravia.
Ci sono particolari modelli su cui ti sei basata nella stesura della trilogia, oltre al celebre Odi et amo di Catullo, che sembra calzare a pennello con la storia di Elena e Leonardo?
Oltre ai classici citati sopra, due romanzi in particolare mi hanno ispirata: Il piacere di Gabriele D’Annunzio e Jane Eyre di Charlotte Brontë.
L’Assunta di Tiziano gioca un ruolo importante nell’iniziazione di Elena al piacere, rappresentando il contrasto che da sempre traccia il confine tra sacro e profano. Sono queste due componenti dell’eros? In che modo ne fanno parte?
Nell’eros c’è sempre qualcosa di sacro e qualcosa di profano: il miracolo avviene quando, attraverso l’incontro dei corpi e degli spiriti, questi due mondi si fondono in un Tutto dove ogni confine si annulla. Nella trilogia ho scelto tre opere d’arte che segnano un momento di svolta nel percorso di Elena: l’Assunta di Tiziano nel primo libro, la Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio nel secondo, l’Estasi della Beata Ludovica di Bernini nel terzo. Sarà anche attraverso un nuovo modo di approcciarsi all’arte che Elena cambierà nel profondo.
Freud sostiene che vediamo nella persona amata nient’altro che noi stessi. Elena tuttavia vede in Leonardo l’immagine di un’altra da sé. Fino a che punto l’amore (perché, checché ce ne raccontino Leonardo ed Elena, è di amore che si tratta) può cambiare la vita di una persona?
L’amore ci cambia, radicalmente. Ma il cambiamento può essere positivo solo quando non rinunciamo alla nostra identità più autentica e profonda (spesso non sempre evidente a noi stessi) e quando sappiamo ritrovarci l’un l’altro ogni giorno come persone nuove, in continua evoluzione.
Per certi versi scrivere non è tanto diverso da girare un film, sei d’accordo? Detto questo, condividi anche tu la passione per il cinema di Filippo? Quali sono i tuoi film preferiti, quelli che ti piace guardare e riguardare (a parte Una giornata particolare di Ettore Scola)?
Sono assolutamente d’accordo. Ho adottato un approccio molto cinematografico per scrivere la trilogia: era come se avessi avuto una macchina da presa tra le mani e mi fossi messa ad inseguire i miei personaggi nei luoghi della loro storia e nelle loro anime. L’incipit stesso di Io ti guardo è molto cinematografico: si parte dal particolare – il melograno dell’affresco con cui Elena è alle prese – e poi si allarga il campo per inquadrare il resto della scena. Esattamente come potrebbe succedere in un film. Io sono una sostenitrice del buon cinema italiano. Rimpiango il Neorealismo (da Roberto Rossellini a Vittorio De Sica a Michelangelo Antonioni), ma anche il realismo magico di Federico Fellini. Nel cinema contemporaneo prediligo Giuseppe Tornatore, Marco Bellocchio, Francesca Comencini, Francesca Archibugi. Ma mi interessano ugualmente i registi emergenti e mi piacerebbe che fosse un regista giovane a trasporre in film la trilogia, dando però più rilievo alla componente emozionale che a quella prettamente erotica.
Nella realtà in cui viviamo, per fortuna, il peso della censura non si fa sentire, e la letteratura erotica trova il suo spazio senza problemi. Quello tra arte e moralità rimane tuttavia, per certi versi, un conflitto ancora aperto. Pensi a questo riguardo che si possano fare ulteriori passi avanti?
Penso che siano già stati fatti passi da gigante, ma rimane pur vero che certe tematiche continuano a far parlare e a ridestare sopiti moralismi. Credo, tuttavia, che un confine a volte si renda necessario, non solo per demarcare lo spazio del non-osceno, ma anche per tracciare una linea di separazione tra ciò che può essere arte e ciò che non lo è.
Se insegnassi lettere al Liceo, credi che daresti più spazio alla scrittura creativa? Se sì, in quali forme?
Ho insegnato lettere al Liceo Classico di Mestre e ricordo con immensa gioia le lezioni sulla poesia e il grande fervore dei ragazzi nel produrre testi in versi. Eravamo a maggio, l’estate si stava avvicinando e andavamo a fare lezione sul terrazzo, in cortile, sui gradini della scuola. Un modo, forse non troppo amato dal preside, per allontanarsi dalla realtà poco ispirante dell’aula e aprire i sensi al mondo fuori. Quell’anno di insegnamento rimane per me un ricordo meraviglioso.
Infine, un piccolo consiglio a chi vorrebbe cimentarsi nell’affascinante arte che è la scrittura…
Bisogna ascoltarsi profondamente, poi la scrittura fluisce da sé, naturalmente, senza sforzo. Quando sforzi il cervello, non sei sulla strada giusta.
Intervista a cura di Giulio Bertolo