Giannini: tre mesi di vacanza  sono come il buco dell’ozono

Scuola: Giannini, torna il bonus maturità e no ai concorsoni

Il progetto del dibattito sulla scuola è nato su «la Lettura» grazie a un’idea di Paolo Giordano. Dieci scrittori hanno affrontato nelle ultime settimane dieci aspetti. I lettori hanno contribuito con le loro idee sul sito Corriere.it. Il forum con il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, cui hanno partecipato alcuni degli autori che hanno scritto su «la Lettura», chiude questa fase della discussione. Paolo Giordano spiega come è nato il progetto.

PAOLO GIORDANO — Negli ultimi anni, ho osservato da vicino il percorso di un ragazzino che ha cominciato a maturare una forte demotivazione nei confronti della scuola, a scartare sempre un po’ più di lato. Per la prima volta ho affrontato il sistema scolastico dal punto di vista di chi cercava di difendere qualcuno. E l’ho trovato rigido, poco capace di assorbire e di includere un momento di sbandamento. Se questo ragazzino non fosse stato sostenuto emotivamente, economicamente, la sua sarebbe stata una vera deriva dalla scuola. Mi pare ci sia un’emergenza di carattere politico: se la scuola non riesce più a parlare a tutti i ragazzi ma soltanto a quelli più pronti ad ascoltarla, crea adulti in parte alienati. C’è una demotivazione che comincia nella scuola media, momento per molti di incertezza e sbandamento, e continua alle superiori — meno nei licei, più negli istituti tecnici e professionali dove l’offerta è meno allineata ai bisogni dei ragazzi. Si può pensare a una nuova scuola, meno alienante?

STEFANIA GIANNINI — Lei mi spinge a considerazioni personali che non pensavo di fare, ma anche a riflettere sul sistema educativo di un Paese civile, cioè non solo quello che pesca nella fascia dei giusti, degli adeguati, ma — come avrebbe detto don Milani — rende realmente eguali, in termini sociali e adattivi. Io sono nata nel 1960, vengo da una famiglia in cui sono la prima laureata, mio padre era un piccolo commerciante, mia madre faceva l’operaia prima di andare a lavorare con lui in negozio. La mia sensazione è che quella scuola, il modello educativo di quegli anni, per studenti che avessero in casa migliaia di libri o poche decine come me, garantiva un’opportunità di fare. Consentiva di scegliere il libro, di scegliere la lettura, di scegliere un percorso. La scuola oggi dà la stessa possibilità, di potenziale uguaglianza nel senso inteso da don Milani? Mah, per quello che ho visto dal colle del Miur, ho la sensazione che gli ultimi 25 anni siano stati consumati ad affrontare le dinamiche sulla funzionalità del sistema e non gli aspetti strutturali.
In realtà, non credo che quella scolastica sia un’emergenza politica: è un’emergenza educativa, cioè la scuola non riesce fino in fondo ad assolvere a quel compito, a e-ducere chi non parte da condizioni avvantaggiate, però ha passione, talento, magari obiettivi specifici. La scuola riesce a farlo fino in fondo? Solo parzialmente, perché mancano una visione generale e un obiettivo educativo fondante — che per un Paese di 61 milioni di abitanti è rendere possibile un avanzamento personale, culturale, sociale — e manca per gli insegnanti la percezione di fare un mestiere importante e retribuito in modo adeguato. Al centro ci deve essere un modo diverso di concepire la scuola — le scuole — nel tempo e nello spazio. Su questo vorrei dire qualcosa più avanti.

ALESSANDRO D’AVENIA — Le racconto una storia: un ragazzo vede il suo insegnante di lettere e dice «Voglio diventare come lui». Decide che vuole insegnare e basta. Ma ritrova nelle Ssis (Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario) quei docenti che all’università aveva evitato perché sapeva che non erano all’altezza, mai entrati in una classe. Semmai, una cosa interessante che trova nelle Ssis è il tirocinio, unica grande palestra per un insegnante. Però poi deve aspettare anni, avendone 37, perché sa che l’età media degli insegnanti è 50-52: è in una graduatoria, quella delle materie classiche, lentissima. Dopo 14 anni di insegnamento, un 37enne con un curriculum non vale niente per la scuola italiana. Un suo collega che vuole accelerare i tempi fa il concorsone del 2012. Arriva primo, vince la cattedra e va a insegnare in una scuola. Quello che voglio dire è che occorre cambiare le regole d’ingaggio, aprire le graduatorie, far sì che il curriculum valga, lavorare sull’aspetto relazionale dell’insegnamento, non solo sulle conoscenze culturali.

STEFANIA GIANNINI — Lei parla di un blocco strutturale nei meccanismi di reclutamento, della difficoltà di avere un ricambio generazionale, di regole di ingaggio ancora inadeguate. Ma racconta anche di esperienze che sono state un successo a metà, per esempio la scuola di formazione per insegnanti, la famosa Ssis poi diventata Pas (Percorsi abilitanti speciali) e poi Tfa (Tirocinio formativo attivo), cioè differenti modelli esterni al percorso di studi per far sì che si cominciasse a misurare il grado di empatia nella relazione con gli studenti — tutti modelli fallimentari, perché il grado di empatia, cioè la capacità didattica, si deve acquisire e sperimentare durante gli studi.
Ma questa è la vera grande risorsa della scuola e dell’università, la relazione asimmetrica tra maestro e allievo. Il maestro è portatore di un patrimonio di conoscenze che sa o dovrebbe saper tradurre in valori che consentano agli studenti di acquisire una visione critica. E, perché questo avvenga, ci dovrebbe essere non un percorso a ostacoli, ma un percorso che indirizza queste qualità se già ci sono, le misura o consente di acquisirle. Che cosa vedo possibile nella situazione italiana? Abbiamo già messo insieme tre sistemi diversi in 15 anni, abbiamo un blocco di 350-400 mila persone che aspettano, spesso con anni di servizio alle spalle, senza l’opportunità di essere stati misurati nei tempi giusti sulle loro qualità dottrinali e didattiche, e che ormai sono nella parte rassegnata della scuola. Il suo collega un’occasione l’ha avuta, ha vinto un concorso. Oggi bisogna avere il coraggio (lì si diventa molto impopolari) di tener conto, pur mettendo su un piano differente, dei 400 mila che aspettano l’inserimento, che forse non avverrà più attraverso il concorso, ma attraverso un riconoscimento del servizio acquisito. Quello che in generale è auspicabile è una continuità nella selezione: io l’ho annunciato e lo stiamo facendo, il prossimo anno partirà il concorso, come avrebbe dovuto essere nei 13 anni precedenti al 2012.

FRANCESCO DELL’ORO — Siamo i campioni dell’abbandono scolastico, quasi 800 mila giovani di 18-24 anni non sono andati oltre la terza media. E per i laureati siamo al 27° posto. Ministro, che scuola vogliamo fare? Continueremo a fare i temi lasciando sul banco solo foglio e dizionario (una cosa contro la storia e contro la logica)? A dare 4,2 come voto? È possibile pensare a una scuola che riesca a valorizzare le eccellenze, ma anche coloro che sono più in difficoltà? Giovanni, di terza media, scrive in un tema: «Io odio la scuola. È bruttissimo stare sei ore fra quattro mura, la scuola è una palla, ho capito che è importante ma almeno rendetela divertente». Ho parlato con un ragazzo che viene dall’Ucraina: lo hanno definito dislessico, vorrei vedere se andassimo noi in Ucraina. Non sono solo studenti, sono adolescenti che vanno a scuola!

STEFANIA GIANNINI — Manca nel nostro Paese, dalla scuola all’università, il senso di appartenenza alla realtà in cui si lavora, all’istituto o al dipartimento. Il senso di contribuire a un progetto. Nell’autonomia che le scuole possiedono, già per legge, è possibile tecnicamente quasi tutto quel che ha detto lei. Questo non avviene perché quella solitudine pedagogica, degli insegnanti ma anche del preside, molto spesso si traduce non nella ricerca del miglior progetto possibile per la tua scuola, ma nell’adempimento (con gradi diversi di impegno) di una linea che è quella del programma, delle indicazioni ministeriali, della preparazione agli esami… L’unico vero modo per stimolare un cambiamento radicale è al solito non la via legislativa, ma la via culturale. Quello che si può fare è mettere in discussione sul serio il ruolo dell’insegnante, quindi la sua necessaria formazione continua. E poi la valutazione di tutto questo meccanismo, per creare autonomia e responsabilità nella gestione e nell’organizzazione del progetto educativo, per stimolare questo senso di appartenenza che in alcuni Paesi è fortissimo. Se tu vai in America, chi ha studiato a Harvard anche se gli chiedi «prendi caffè o tè?» trova il modo di dire che viene da Harvard, e allora ti risponde che «noi di Harvard bevevamo tè»…

CORRIERE DELLA SERA — A Milano i bocconiani conservano questo senso di appartenenza…

STEFANIA GIANNINI — Sì, perché la community si identifica con un obiettivo condiviso, e chi ne fa parte, che insegni o impari, è motivato a dare il meglio. Perché non si potrebbe stimolare questo senso nelle università, addirittura nelle scuole? Ciò tira in ballo un’altra parola non molto amata: competizione. Non la competizione che divide tra scuola di serie A, quella dei Parioli, e scuola di serie B, quella dell’ultima periferia. È la competizione che dice: il nostro progetto cerca di esaltare al meglio le potenzialità che abbiamo.

FRANCESCO DELL’ORO — Trovo molti ragazzi in ritardo nei processi di responsabilizzazione e nella capacità di organizzarsi, ma anche troppe anime deluse da un sistema di valutazione che invece di motivarli li ferisce.

PAOLO GIORDANO — Ecco, questo delle valutazioni è stato un altro dei punti di partenza del progetto condiviso con «la Lettura». Quando ho visto un bambino in seconda elementare prendere 4, o 5, mi è sembrato assurdo. Un bambino alto così e questo voto così secco e netto.

SILVIA AVALLONE — La scuola mi è sempre stata a cuore. Ma appartengo a una generazione che è stata tagliata fuori dall’accesso all’insegnamento, io stessa sono un’insegnante mancata. Ho scritto il primo romanzo per questo. Io e i miei coetanei sognavamo di fare gli insegnanti, ma abbiamo scelto di non intraprendere quello che per noi era un calvario di incertezza. Ci siamo reinventati con un’enorme sofferenza. Uno degli amici aspiranti insegnanti è però entrato in un progetto di recupero di ragazzi che hanno abbandonato la scuola, nel Biellese. Una serie di enti locali uniti in un’associazione di scopo per recuperare ragazzi che non hanno mai raggiunto la licenza media. Mi si è aperto un mondo. Questi ragazzi provengono da retroterra drammatici, con problemi di apprendimento, di attenzione, storie familiari terribili. Una preside, un dirigente si sono uniti e sono riusciti a incoraggiare questi ragazzi. Ma lamentano una certa solitudine, mentre servirebbe individuare anse che portino al letto del fiume, agli istituti superiori per evitare il ghetto.

STEFANIA GIANNINI — Quella che mi presenta è una sorta di Barbiana dei nostri tempi, l’intento è di strappare questi ragazzi alla strada. Credo che il ghetto si possa evitare se queste esperienze diventano utili ad alimentare il sistema, a dare spunti nella sua fisiologia e non solo a curare una patologia. L’eccezionalità della sperimentazione avrà prodotto modelli educativi diversi; e potrebbe essere molto utile mettere in contatto queste esperienze con quelle della scuola ordinaria. Uno Stato che ritiene che l’istruzione come la salute sia un bene pubblico fondamentale deve avere una visione centrale, un indirizzo politico, e farlo gestire in modi differenti, adattati a ciascun contesto.

CORRIERE DELLA SERA — Forse qui è utile tornare a quei concetti di tempo e spazio di cui parlava all’inizio.

STEFANIA GIANNINI — Dunque: il tempo. C’è bisogno di tempo per fare grammatica, per studiare retorica, per leggere Virgilio in metrica o studiare scienze, ma c’è il drammatico bisogno di un tempo dedicato ad altro, magari a una dimensione interattiva e artigianale, per esempio sulla scrittura e sulla lettura. Il tempo non è solo un fatto culturale ma anche legislativo: servono visione e soldi. Pensate al buco nell’ozono che si crea tra il 9 giugno e 5 settembre, più o meno. Questo non significa che la scuola deve diventare una babysitter, lungi da me. Però, sono stata in Israele una settimana fa e mi hanno raccontato di questo straordinario ministro della scuola che sta cercando di fare una grande riforma: il principio è dare alla scuola anche il tempo estivo. In modo che gli studenti possano recuperare quella dimensione lì, il campus, creare quel senso di comunità che allora ti motiva anche come insegnante. Ti senti portatore di un progetto educativo. Il tempo è categoria fondamentale, come lo spazio. Noi stiamo facendo un grande lavoro di intervento sull’edilizia scolastica. Ma bisognerebbe poter andare oltre, quando costruisci o recuperi. Un’idea di Renzo Piano su cui stiamo ragionando e che trovo, nella sua semplicità, geniale è che la scuola abbia uno spazio dedicato all’apertura verso l’esterno, con l’ambiente, con la città. Un piano terra in cui tu non hai nulla, né aule né studio dei professori, ma ambienti in cui c’è tempo e spazio per un contatto con la comunità.

ERALDO AFFINATI — C’è un altro tema che mi sta a cuore. Crede che sia necessario creare i presupposti affinché si realizzi una valutazione specifica per gli studenti stranieri di prima o seconda generazione anche alla fine del corso di studi, in modo simile a quanto già avviene per i Bes (alunni con bisogni educativi speciali)?

STEFANIA GIANNINI — È un tema a cui sono molto vicina per la mia storia: ho lavorato, insegnato e diretto l’Università per Stranieri di Perugia. Il problema dell’integrazione linguistica si collega a quello della valutazione delle competenza e dell’integrazione culturale. Penso si debbano fare le due cose. Non solo valutazione, ma un processo di insegnamento dell’italiano come lingua seconda che sia finalmente strutturato. Oggi è affidato a insegnanti di buona volontà.

CORRIERE DELLA SERA — Ha suscitato grande interesse l’intervento su «la Lettura» di Paola Mastrocola sul tempo lungo nella scuola. Lo stesso tempo lungo di cui ha appena parlato lei. Ma poi bisogna fare i conti con scuole che chiudono il sabato d’inverno per risparmiare sul riscaldamento, che non hanno la carta igienica…

STEFANIA GIANNINI — In una legislatura possiamo cominciare a parlare di alcune cose, ad ascoltare. Sarebbe improvvido annunciare una rivisitazione radicale del tempo, al di là dei soldi. Dobbiamo cominciare, poi il lavoro lo finirà un altro ministro.

CORRIERE DELLA SERA — In effetti, il problema della continuità, della mancata continuità, affligge da tempo la scuola. Idee e competenze di ministri che l’hanno preceduta si sono perse. Luigi Berlinguer aveva idee forti, ma la sua riforma è naufragata, un peccato.

STEFANIA GIANNINI — Questo è purtroppo vero, ma è un problema che ha infettato diversi settori della vita pubblica italiana.

Tutti ad Andreis…La scuola non è ancora finita (Rebecca De Martin e Emma Moretto)

Progetto Andreis

Ancora niente vacanze! Un gruppo di studenti di IVAg e IVBg si è recato la mattina del 12 giugno ad Andreis con le professoresse Mariarosa Burino (coordinatrice della sezione A), Angela Piazza (coordinatrice della sezione B) e Fulvia Tedeschi (insegnante di scienze nella sezione A). Il gruppo era formato da Virginia Bergamasco, Rebecca De Martin, Emma Moretto, Nicole Valeri per la IV Ag e Anna Vianello, Simone Nardo, Maria De Santis, Costanza Vianello, Giusy Portolan, Lucia Martini, Anna Stroppa, Elisa Ciriani e Valentina Cancian per la IV Bg.
Lo scopo di questo breve viaggio era quello di consegnare alle autorità andreane (sindaco neo-eletto, vicesindaco e assessore) i prodotti relativi all’unità di apprendimento svolta nell’ultimo periodo dell’anno scolastico e relativa proprio al mondo di Andreis. In particolare, i ragazzi hanno realizzato diversi pieghevoli, un ipertesto e dei video pubblicitari contenenti informazioni relative al piccolo paesino, ancora poco conosciuto, della provincia di Pordenone, che nel mese di marzo avevano avuto la fortuna di visitare. Considerato il riscontro positivo di questi lavori, le professoresse avevano infatti deciso di presentarli agli amministratori di Andreis.
Progetto Andreis
Così, giovedì 12 giugno, nel municipio del paese, i ragazzi hanno esposto le loro opere al Sindaco Romero Alzetta, al Vicesindaco Andreina Trinco e all’assessore Rita Moretto. Si è trattato di una breve spiegazione del contenuto di questi prodotti, un cenno alle modalità di lavoro, una rapida lettura ed infine un commento relativo all’esperienza. Le opere degli alunni sono state molto apprezzate e il Sindaco in particolare ha riconosciuto la difficoltà nell’ideare e realizzare un simile lavoro.
Tedeschi e sindaco ad Andreis
Conclusasi la parte “burocratica”, i ragazzi e le insegnanti si sono recati a visitare la casa del poeta friulano Federico Tavan, che il nostro liceo ha celebrato nella recente “Giornata della poesia” recitando le sue composizioni. Purtroppo alcuni studenti hanno dovuto concludere l’esperienza già a fine mattinata, a causa degli orari dei mezzi di trasporto, ma due ragazze, Rebecca De Martin ed Emma Moretto assieme alle professoresse Mariarosa Burino, Angela Piazza e Fulvia Tedeschi, sono state condotte dal sindaco a visitare due dei luoghi più suggestivi di Andreis: la fontana di Bosplans e la base scout. La leggenda narra che Attila si sia fermato ad abbeverare i suoi cavalli proprio in questa fontana e il poeta Tavan ha preso spunto da questo fatto per dedicare alla fonte una poesia, incisa su una panchina di pietra posta di fronte alla grande vasca. Per quanto riguarda la base scout, si tratta di una baita di legno in mezzo ai boschi, “locus amoenus” e accogliente che speriamo possa diventare il prossimo anno la meta di una settimana verde per le classi del biennio del nostro liceo,come ci ha suggerito il sindaco Alzetta.
Andreis 2a.
In paese, al rientro, è stato offerto a tutti un pranzo luculliano, preparato dal vice sindaco Trinco e dall’assessore Moretto, a base di piatti tipici andreani tra cui ‘peta, funghi e polenta’.
E finalmente, con un giorno di ritardo, le vacanze hanno avuto inizio anche per i ragazzi, protagonisti della piacevole gita, che si sono resi disponibili alla buona riuscita di questa iniziativa e hanno presentato orgogliosi il loro progetto.

Rebecca De Martin e Emma Moretto (IVAg)

Sulla condizione della donna (Marta Fedrigo e Sara Valentini)

images_5Come sosteneva Freud, circa il problema dell’enigma della femminilità, gli uomini hanno sempre tentato di risolverlo, senza però riuscirci; la risposta non può certo venire dalle donne, in quanto loro stesse ne rappresentano il problema.
Quello della donna è stato fin dall’antichità, e continua ad esserlo, un argomento al centro dell’attenzione di grandi letterati, pensatori e artisti. Il grande paradosso in tutto questo è rappresentato dal fatto che sia sempre stato l’uomo ad avanzare supposizioni e argomentazioni circa l’altro sesso, sostituendosi al protagonismo femminile. Questo avveniva perché erano rari i casi di donne erudite o artiste.
In una cultura, rivelatasi maschilista, è sempre stata consuetudine associare alla donna un ruolo di subordinazione rispetto all’uomo. Tale aspetto è dovuto anche grazie alla diffusione del messaggio cristiano, secondo cui la donna è irrimediabilmente segnata dal peccato originale, che non le è mai stato perdonato. Sempre secondo il credo cristiano, la donna è sempre stata considerata nel ruolo di madre e di moglie, come colei che cura il focolare domestico e attende alle faccende domestiche. Questo aspetto di subordinazione si manifesta anche in altre religioni, come in quella islamica, dove anzi il maschilismo è molto più accentuato. Basti pensare che la nascita di una bambina rappresenta una disgrazia per la famiglia, dal momento che il suo arrivo destabilizza il mantenimento dei beni all’interno del nucleo familiare, con la possibilità di una perdita totale del patrimonio. A tal proposito, Tahar Ben Jelloun nel suo libro “Creatura di sabbia” la storia descrive di una bambina, ultima di sette figlie femmine, educata come un maschio, dal momento che il padre era ostile a voler consegnare il patrimonio nelle mani dei fratelli. Questa decisione paterna da un lato permette alla bambina di vivere un’infanzia serena e di frequentare la scuola, sfuggendo alla condanna di analfabetismo che caratterizzava il sesso femminile in quella cultura, dall’altro la costringe a rinunciare alla sua identità.
Non è solo la religione a definire un ideale di donna, ma, al giorno d’oggi, i mass media stanno condizionando sempre di più l’idea che le donne hanno di loro stesse. I mezzi d’informazione approfittano delle insicurezze, debolezze e mancanza di autostima legate al genere femminile, “abusando dell’anima della donna, imbruttendola e sfruttandola”. Conseguenze di questo processo sono alcune trasformazioni connesse al corpo femminile. Tra queste la paura dell’invecchiare ne rappresenta un fattore determinante. L’effetto immediato è quello dell’utilizzo, spesso in maniera massiccia, di cure cosmetiche e frequenti visite chirurgiche; se questo può aiutare ad accrescere la propria autostima qualche ritocco è tollerabile, ma l’ossessione per la giovinezza conduce le donne a una condizione di ridicolezza.
Se a tale “disagio” la società associa la parola “bellezza”, preoccupandosi solo dell’apparire, si denuncia una forte carenza di attenzione all’essere della persona. 
Il criterio “magrezza = bellezza” oggi sta diventando una costante problematica per molte ragazze (ma non solo). Affrontando la problematica dei disturbi alimentari, come l’anoressia, si possono notare delle motivazioni ricorrenti che ne determinano il presentarsi, tra le quali troviamo la difficile situazione familiare, il desiderio di perfezione per raggiungere un illusorio ideale di bellezza, nella convinzione che la magrezza sia il proprio punto di forza. E se apparentemente si potrebbe pensare che siano ragazze da un’adolescenza apparentemente “normale”, in realtà sono fragili, insicure.
Insensibilità, debolezza, mancanza di autostima che caratterizza non chi è anoressica, ma anche tutte quelle ragazze obese.
In entrambi i casi l’impressione è quella di sentirsi escluse dalla normalità del mondo, escluse dall’amore, dall’amicizia, da ogni tipo di relazione e dalla felicità. L’ossessione per il corpo caratterizza l’origine di tutti i problemi; ma la domanda che bisogna porsi è la seguente: è veramente il corpo che caratterizza tutta la persona?
A volte sembrerebbe che la risposta sia affermativa; basti pensare alla convinzione secondo cui per raggiungere un posto all’interno dell’èlite, o per raggiungere il proprio obiettivo in genere, le donne si “vendono”, svalorando in questo modo il proprio corpo e la propria persona.
Collegato a questo “commercio” di corpi femminili, si può contrapporre, l’ideale cristiano della purezza e della verginità prematrimoniale. Tuttavia, come è consuetudine, più una cosa si ostacola imponendone il divieto, più quella diventa un’attrazione per molti. E cosi avviene in una società a maggioranza cristiana, in cui la presenza di molte “donne di strada” raggiunge tassi considerevoli.
A quanto pare sembra che l’enigma della femminilità sia un interrogativo ancora aperto. Infatti, ogni donna va considerata nello specifico senza tentare di ricondurla a categorie già predefinite dall’universo maschile, soprattutto nel caso in cui in lei sia presente la volontà di liberarsi dai banali stereotipi attuali.

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Ci SIAMO – Una lettera di F.

Buongiorno dottore,

a scriverle questa lettera è un normalissimo ragazzo di quindici anni, che si ritiene fortunato sotto molti aspetti e che al mondo non avrebbe da chiedere nulla di più di quello che ha. Sarebbe, perciò, lecito per lei domandarsi perché questo ragazzo le abbia scritto una lettera. Beh, è complicato da spiegare, ma proverò a farglielo comprendere nel modo più semplice possibile. Come le ho detto, mi reputo un ragazzo fortunato: la mia famiglia sin da piccolo non mi ha mai fatto mancare niente, ho tanti amici che mi stanno vicino, vado bene a scuola e le passioni che coltivo mi danno numerose soddisfazioni. Ma, paradossalmente, è proprio questo equilibrio positivo a rendermi “instabile”, poiché nel momento in cui mi accorgo che anche un piccolo dettaglio non si trova nella posizione in cui dovrebbe stare, il mio carattere ne risente, trasformando quella che può essere una piccola mancanza in una profonda sensazione di insoddisfazione personale. Parlando in gergo medico, mi viene da pensare che questo sia uno dei sintomi di una “malattia” che purtroppo colpisce molti ragazzi della mia generazione: il non saper dare il giusto valore alle cose. E così ho scritto a lei. Conosco una minima parte della sua storia personale, dottore, ma data la realtà con cui ogni giorno si ritrova a confrontarsi, credo che pochi altri meglio di lei e delle persone che svolgono il suo medesimo ruolo, siano così “esperti” in materia. Sfogliando le pagine del libro “Oltrelacqua”, ho potuto percepire concretamente quello che lei prova quotidianamente: le difficoltà nel capire e nel farsi capire da quei ragazzi che vedono spezzarsi le ali dei loro sogni per colpa di un terribile scherzo del destino, la complessità di indossare la veste di medico al lavoro e quella di marito e padre nell’ambito familiare, avendo in entrambi i contesti il comune obiettivo di trasmettere un sorriso alle persone a lei vicine, gli atroci dubbi dettati dal voler dare speranze a chi in realtà di speranze ne avrebbe poche e la paura di crollare da un momento all’altro per le troppe responsabilità che gravano sulle sue spalle. Ma nonostante tutte queste difficoltà, lei va avanti e cammina a testa alta, con la consapevolezza che è il bene degli altri a fare bene a lei. Nulla più di questo può rendere forte un uomo e può fargli capire quali sono le cose che veramente contano nella vita, quegli attimi unici di cui non ci rendiamo conto, quegli spazi di tempo persi nel vuoto di una tristezza inutile, priva di senso, se confrontata con quanto di bello abbiamo attorno a noi. Quanto vorrei avere solo una minima parte della sua capacità di soppesare il valore delle cose, in modo da abbandonare tutti quei pensieri e quelle stupide riflessioni sul superfluo che mi impediscono di accorgermi degli oggetti, delle persone, dei minuti che davvero renderebbero completa la mia felicità. È strano, ma la invidio. Non credo farò il medico da grande, sento che non è quella la mia vocazione. Ma spero comunque di imparare ad acquisire il suo modo di vivere la vita. E scriverle questa lettera è stato già un primo passo verso tale obiettivo. Ringrazio lei e il libro che mi ha permesso di conoscerla. Se in futuro saprò davvero valorizzare le cose giuste, sarà anche merito suo.

Un saluto e un abbraccio

 F.

Progetto Ci SIAMO – Incontro con il dott. Mascarin e la prof. Merighi

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L’Area Giovani del CRO di Aviano (2007) e il Progetto Giovani dell’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano (2011) sono delle aree, all’interno di due Istituti Oncologici a carattere scientifico, dedicate alla cura degli adolescenti e dei giovani adulti malati di tumore. Sono stati creati, in sostituzione dei reparti tradizionali, spazi multidisciplinari in cui convergono differenti figure professionali il cui obiettivo comune è quello di fornire un’assistenza idonea per i ragazzi. La sfida è quella di occuparsi non solo della malattia, ma dei ragazzi nella loro interezza. Una cura della persona quanto del malato. SIAMO è la Società Italiana Adolescenti con Malattie Onco-ematologiche, un progetto, su base nazionale, volto a promuovere e valorizzare iniziative dedicate a questi giovani pazienti.
In questi anni abbiamo reso i nostri giovani pazienti protagonisti del loro percorso. Li abbiamo aiutati dal punto di vista assistenziale e sostenuti nel recupero della normalità. La scrittura ha rappresentato il mezzo principale d’espressione dei loro sentimenti durante la malattia. Attraverso la scrittura hanno manifestato sogni, progetti e speranze, supportandosi tra pari durante le terapie e offrendo la loro esperienza anche ai coetanei sani.
In questo progetto, destinato agli studenti delle Scuole Secondarie di secondo grado, la scrittura diventa uno strumento di espressione da parte dei coetanei sani nei confronti degli adolescenti che si trovano ad affrontare malattia, difficoltà, disagi… Non solo strumento di comunicazione, ma anche momento di sensibilizzazione e riflessione.
I docenti potranno “stimolare” gli studenti attraverso la lettura del testo “Oltrelacqua” (A. Merighi, Edizione Omino Rosso), di alcuni testi scritti dai ragazzi dell’Area Giovani del CRO di Aviano o mediante la visione del film “Bianca come il latte, rossa come il sangue”. Piccoli input utili a suscitare emozioni sincere che, in seguito, gli studenti esprimeranno tramite la scrittura e la loro creatività. Agli studenti, infatti, viene dato il compito di sviluppare un elaborato dal titolo: “Ci SIAMO, a te le nostre parole. Invia i tuoi pensieri ad uno dei personaggi del libro “Oltrelacqua” (A. Merighi, Edizione Omino Rosso) per non farlo sentire solo, per far capire che ci sei e che lo comprendi.” Gli elaborati dovranno essere depositati presso la segreteria del proprio Istituto o inviati alla mail dell’Area Giovani del CRO di Aviano (areagiovani@cro.it) entro il 15 giugno 2014. Tutti gli elaborati formeranno  l’Antologia dell’Area Giovani consultabile nel sito www.areagiovanicro.it. Una commissione esterna, composta dal personale dell’Area Giovani e della Biblioteca Scientifica del CRO di Aviano, dagli insegnanti referenti delle Scuole Secondarie di secondo grado di Pordenone e del Progetto Scuola in Ospedale del CRO di Aviano, selezionerà alcuni testi o parte di essi o elaborati: diventeranno oggetto di una presentazione nella prossima manifestazione di pordenonelegge2014 e di una successiva pubblicazione destinata agli adolescenti.

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