1. G. Zagrebelsky, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale, in un breve testo intitolato “Il difficile compito di fare giustizia” (La Repubblica del 02.12.2005), si chiede se esista o meno un criterio razionale indiscutibile, assoluto, che permetta di definire un’azione (o una legge) come giusta, al di là di ogni relativismo etico.
2. Egli risponde che un tale criterio non esiste. Possono esistere, infatti, criteri di giustizia universali solamente formali, i quali però non sono in grado di indicarci quali azioni in concreto siano giuste. Oppure i criteri di giustizia possono consistere in prescrizioni concrete, diventando così sostanziali e non formali, ma in questo caso esprimerebbero la volontà di quella parte, sia pure maggioritaria, che prevale in un determinato momento e non sarebbero più universali.
3. Secondo Zagrebelsky, se non esistono dei criteri universali in grado di indicarci cosa è giusto esistono però dei criteri universali per individuare ciò che è ingiusto e tali criteri deriverebbero da un innato, fondamentale e originario “sentimento del diritto”, presente in tutti gli esseri umani. Tale sentimento “consisterebbe nella naturale reazione contro azioni che ripugnano, prima e indipendentemente dall’esistenza di una norma che le vieti”. Esso è perciò collegabile piuttosto al “senso dell’ingiustizia” che a quello della giustizia vera e propria.
4. Tale sentimento del diritto o “senso dell’ingiustizia” ha quindi un carattere negativo piuttosto che positivo: esso non ci dice concretamente quello che dobbiamo fare ma ci segnala cosa è sicuramente riprovevole da un punto di vista etico (esso opera come il demone socratico che non ci incita all’azione ma ci induce a riflettere prima di agire, al fine di non commettere il male).
5. Su questa base possono essere formulati principi universali, i quali affermano che ciascun individuo, nessuno escluso, ha diritto di essere tutelato nella sua dignità e di non subire discriminazioni e umiliazioni di alcuna sorta.
6. Tali principi consentono di definire il terreno comune, condiviso, che deve essere posto alla base di una convivenza civile. Costituiscono cioè un insieme di valori accettato da tutti e non oggetto di controversia politica.
7. Da questi principi generali non si può tuttavia, come abbiamo osservato (nel punto 2), dedurre una concreta azione legislativa, vale a dire dei concreti contenuti di legge che realizzino in modo perfetto e compiuto i suddetti principi. Possiamo dire che le leggi devono ispirarsi a questi principi ma non derivano automaticamente da essi.
8. Ciò significa che la traduzione in pratica di tali principi è lasciata al libero gioco del confronto politico tra le parti, le quali hanno il compito di elaborare progetti e proposte legislative concrete.
9. Qualsiasi programma politico, in questo quadro, può ricevere obiezioni e critiche perché nessun programma può essere considerato la perfetta applicazione dei principi di giustizia. Ciò implica una distanza, che si può ridurre ma mai colmare del tutto, tra i principi di giustizia e i programmi politici concreti.
10. I principi di giustizia, così delineati da Zagrebelsky, corrispondono in larga misura ai principi che si vedono di solito sanciti nelle Leggi Costituzionali, in particolare laddove si affermano i diritti inviolabili della persona come base etico-giuridica dello Stato. Osserviamo, infine, che l’organo di tutela dei principi costituzionali, vale a dire la Corte Costituzionale, non ha il potere positivo di promulgare leggi – che spetta solo al Parlamento – ma solo quello, negativo, di cancellare le leggi anticostituzionali (anche in questo caso si può cogliere un’analogia con il demone socratico).
I D classico