Andrea Zanzotto raccontato da Stefano Dal Bianco (Riccardo Forcolin, Alessandro Trevisan)

Andrea Zanzotto

Il poeta veneto Andrea Zanzotto è stato uno dei massimi esponenti della letteratura e, più in particolare, della poesia del Novecento in Italia. Contemporaneo di Pier Paolo Pasolini, riconosce fin da subito i legami che esistono tra letteratura e scienza, mondi lontani e separati, secondo Zanzotto, che lui fa dialogare, provando a dar vita a una sorta di “fantascienza”, in quanto ogni scoperta scientifica ha  bisogno di un po’ di fantasia. Il complesso percorso letterario di Zanzotto, spiegato dettagliatamente da Stefano  Dal Bianco, ricercatore universitario e curatore dell’opera del grande poeta presso Mondadori, inizia intorno agli anni Quaranta, quando comincia a scrivere le sue prime poesie dove appare già il suo forte interesse per la natura e l’uso frequente di linguaggi tecnici e scientifici. Inizialmente esclude le persone dalla descrizione dei paesaggi, a causa delle esperienze vissute in prima persona durante la Seconda Guerra Mondiale, le quali gli fanno comprendere che il suo antagonista principale è la Storia, colpevole di aver sconvolto il paesaggio e la natura con le guerre e il progresso. Successivamente inserisce le persone in paesaggi immaginari e fantastici, utilizzando per esprimersi, in questi primi testi, il dialetto veneto. La  sua prima raccolta, “Dietro il paesaggio”, viene pubblicata nel 1951 e contiene poesie scritte tra il 1940 e il 1948 non solo in dialetto ma anche in lingua italiana. Andrea Zanzotto ritrova, durante il suo percorso stilistico, nella letteratura e quindi nella lingua italiana un rifugio per nascondersi dagli orrori della Storia, insediati ormai nel “suo” dialetto. In questa fase egli unisce direttamente il paesaggio alla scrittura, facendo scomparire l’io del poeta e realizzando una sorta di “poesia ecologica” , dove continua a inserire all’interno delle descrizioni espressioni scientifiche, pur non approvando il progresso tecnologico che devasta l’ambiente. Durante gli anni Sessanta realizza che ormai la Storia ha trionfato, non si può più fermare nella mente degli uomini, corrosa dagli acidi del progresso, ma si può sempre sperare, continuando a lottare, grazie alla letteratura. Egli infatti inizia a utilizzare tutti i meccanismi letterari che gli permettono, tramite il ricorso al linguaggio scientifico, di lottare contro il progresso, utilizzando appunto tutti i campi del sapere.

Ecco di seguito una poesia emblematica dello stile di Zanzotto che ci ha proposto Dal Bianco.

Sì, ancora la neve      

“Ti piace essere venuto a questo mondo?”
Bamb.: Sì, perché c’è la STANDA”.
Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi… ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l’ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è – il mondo pinoso il mondo nevoso –
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: “siamo un segno senza significato”:
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c’è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l’immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
Ma c’è chi non si stanca di riavviticchiarsi
graffignare sgranocchiare solleticare,
di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
non si stanca di riassestarsi
– l’ho, sempre, molto, saputo –
al luogo al bello al bel modulo
a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
al seminato d’immagini
all’ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
al tutto ch’è tutto bianco tutto nobile:
e la volpazza di gran coda e l’autobus
quello rosso sul campo nevato.
Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
Ma presto i bambucci-ucci
vanno al grande magazzino
– ai piedi della grande selva –
dove c’è pappa bonissima e a maraviglia
per voi bimbi bambi con diritto
e programma di pappa, per tutti
ferocemente tutti, voi (sniff sniff
gran gnam yum yum slurp slurp:
perché sempre si continui l’”umbra fuimus fumo e fumetto”):
ma qui
ahi colorini più o meno truffaldini
plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
più o meno truffaldine:
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata…
O luna, ormai,
e perfino magnolia e perfino
cometa di neve in afflusso, la neve.
Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino
(e la neve saliva saliva – e lei moriva)?
E che si dice là nella vita?
E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
– ancora – per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nanobiscroma
cose e cosine
scienze lingue e profezie
cronaca bianca nera azzurra
di stimoli anime e dèi,
libido e cupìdo e la loro
prestidigitazione finissima;
è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
e “acqua che devia
si dispera si scioglie s’allontana”
oltre il grande magazzino ai piedi della selva
dove i bambucci piluccano zizzole…
E le falci e le mezzelune e i martelli
e le croci e i designs-disegni
e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
E l’avanguardia ha trovato, ha trovato?
E dove il fru-fruire dei fruitori
nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
dove, invece, l’entusiasmo l’empireirsi l’incanto?
Che si dice lassù nella vita,
là da quelle parti là in parte;
che si cova si sbuccia si spampana
in quel poco in quel fioco
dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
E i mille dentini che la minano?
E il pino. E i pini-ini-ini per profili
e profili mai scissi mai cuciti
ini-ini a fianco davanti
dietro l’eterno l’esterno l’interno (il paesaggio)
dietro davanti da tutti i lati,
i pini come stanno, stanno bene?
Detto alla neve: “Non mi abbandonerai mai, vero?”
E una pinzetta, ora, una graffetta.

Riccardo Forcolin, Alessandro Trevisan (VBg)

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