Il nuovo libro di Simone Marcuzzi è una raccolta di dieci racconti su dieci italiani che hanno reso famoso il nostro Paese nel mondo o che ne hanno saputo incarnare gli umori, un’epoca. Tema impegnativo, che l’autore ha saputo declinare in modo intelligente e personale, legando le dieci figure al suo vissuto privato, in modo che esse si possono ritrovare nelle pieghe di ogni giorno. Così, per esempio, la citazione dantesca Ce fastu? diviene una scritta osservata nei pressi del parcheggio aziendale prima di un colloquio di lavoro, Rita Levi Montalcini è l’infermiera che rianima Simone dopo lo svenimento da fobia della siringa, la croce di Juri Chechi è l’antidoto alla malinconia adolescenziale.
Il proemio dell’opera è nel segno dell’acqua, che costituisce una sorta di dichiarazione di poetica. Lo scrittore Marcuzzi rivela al lettore di essere indeciso se accettare di scrivere i dieci racconti. Lo fa in presa diretta, mentre sta percorrendo la Pontebbana verso Cividale. E sembra allontanarsi da una decisione in quel suo riportare alla mente un episodio d’infanzia, quando alle elementari percorreva la stessa strada in pullman, attraversando gli stessi paesi, gli stessi paesaggi. Eppure, proprio nel finale del prologo, ci dice che ha accettato perché a trent’anni non può più sottrarsi alle occasioni per perdersi. E perché, per ritrovarsi, avrebbe avuto un rivolo d’acqua caparbio, immaginando sotto tanta ghiaia, quanta possa scorrere. È questo il motivo che ti ha spinto a raccogliere la sfida dell’editore Laurana?
Sono diverse le ragioni per cui ho accettato. La prima è che raccogliere gli stimoli esterni è sempre un’occasione formativa. Nel caso specifico, affrontare il titolo proposto dalla casa editrice mi ha spinto a ragionare su temi che finora mi avevano solo sfiorato, a documentarmi sulla vita di personaggi di cui sapevo poco o nulla e, sul piano tecnico, a ricercare una struttura narrativa che mi permettesse di raccontare questi italiani di successo in modo, se non originale, almeno personale. Per tutto questo sono grato a Laurana. Un altro buon motivo risiede nel fatto stesso che mi veniva data l’opportunità di tornare al racconto breve, forma nella quale mi trovo a mio agio e che purtroppo le case editrici sono sempre più restie a proporre al pubblico per motivi essenzialmente commerciali. Quella richiamata nella prefazione è però la motivazione che più riguarda il senso del libro. La collana “Dieci!”, di cui la mia raccolta è la quarta uscita, si propone come finalità quella di fissare dieci idee o persone o fatti da salvare nel nostro tempo. Nello scrivere i racconti ho cercato di accordarmi a questa idea guida, costruendo piccole narrazioni almeno in parte edificanti attorno a dieci personaggi che diventano i rappresentanti “emersi” di un paese reale e sommerso che forse è un po’ meglio dello stereotipo noto all’estero.
Quali sono stati i criteri con i quali hai scelto i dieci italiani?
La regola che ci siamo dati con la casa editrice è stata di massima eterogeneità. Volevamo che ci fossero uomini e donne, personaggi del passato e del presente, reali e di finzione, e che fossero rappresentati molti ambiti professionali. Inizialmente abbiamo compilato una sfrenata e lunghissima lista di nomi. Credo ce ne fossero un centinaio. Partendo da quella, nell’impossibilità di stabilire un criterio oggettivo di scelta dei più meritevoli (sfido Zuckerberg a scrivere un simile algoritmo), ho selezionato i dieci che più di altri hanno partecipato, in momenti diversi della mia vita e spesso indirettamente, a riti di passaggio o prese di coscienza delle cose. L’elenco comprende: Pinocchio, Dante Alighieri, Moana Pozzi, Giorgio Armani, Rita Levi-Montalcini, Ennio Morricone e Sergio Leone (in coppia, perciò i personaggi sono in realtà undici), Leonardo Da Vinci, Enzo Ferrari, Juri Chechi, Luciano Pavarotti.
Di solito sei colpito da qualche dettaglio della vita di queste figure, da qualche elemento non sempre noto che in qualche modo riesce a rinnovare l’immaginario comune…
Questi racconti sono soprattutto dieci occasioni di confronto tra un trentenne e il suo immaginario. Me ne sono resto conto in fase di documentazione e ho deciso di farlo trasparire in modo chiaro in alcuni racconti: l’idea che avevo di questi personaggi molto spesso era veramente distante dalla realtà. L’icona pop, l’ologramma di notorietà corrisponde solo in minima parte alla persona che rappresenta, a volte quasi per nulla. Suppongo sia la scoperta dell’acqua calda, ma mi ha ugualmente fatto pensare.
I dieci racconti sono legati da un filo temporale che dal presente tende a gettarsi sempre più nel tuo passato sino a giungere, con l’ultimo racconto (Enzo Ferrari), alla tua infanzia (che secondo me, in particolare nell’ultima pagina – assieme al prologo – vale tutto il libro, perché è un gran bel pezzo di letteratura). Perché questa scelta?
L’idea m’è venuta scrivendo il primo racconto della raccolta, quello dedicato a Pinocchio, che riferisce dell’esperienza di lettura del libro Le avventure di Pinocchio da parte di un trentenne. Rileggendolo oggi ho scoperto un libro completamente diverso da come lo ricordavo. Quella che avevo in testa era una favoletta pervasa da un pesante afflato moralistico, tratto su cui evidentemente avevano calcato la mano i miei educatori e i miei genitori quand’ero piccolo: l’essere ubbidienti per non cacciarsi nei guai, il dire sempre la verità per non vedersi crescere il naso, l’andare bene a scuola per non diventare somari. Di tutto ciò oggi ho trovato pochissima traccia. Il tratto onnipresente nella storia immaginata da Collodi mi è sembrata la sua spietata vivacità. Pinocchio corre, corre tantissimo, e ne combina “un sacco e una sporta”, in estrema sintesi perché non riesce a sottrarsi alla spinta della vita stessa. Ho pensato allora a una struttura portante della raccolta come a un percorso all’indietro per andare a riprendermi il tempo in cui ero io il bambino che non sapeva stare fermo, e di chiudere con un racconto (quello dedicato a Enzo Ferrari) speculare al primo, dove è il protagonista, a otto anni, a correre per le strade di Cortina alla ricerca della F40, la sua auto sportiva preferita.
Anche la voce narrante cambia, la sua prospettiva rimpicciolisce i suoi riferimenti. Così in questi dieci racconti parla sì la stessa persona, ma ci sono dieci io diversi, ognuno dei quali è portatore di un proprio sguardo sulla realtà.
Il trentenne che va alla ricerca del bambino tenta di replicare lo sguardo e l’umore di ogni singola stagione della vita che viene evocata, cioè di essere empatico con il suo passato. È però evidente che a parlare sia sempre lui, l’adulto, soprattutto per il significato che viene attribuito ai singoli episodi raccontati, possibile solo a posteriori. Un bambino non si pone il problema di ciò che sta vivendo, vive e basta. Un adulto che si ripensa bambino si può invece permettere uno sguardo maggiormente analitico (pur nell’attendibilità parziale della memoria).
Nel racconto Pinocchio ci fai vedere un trentenne che legge la storia del burattino in spiaggia sotto il sole, mentre un bambino a fianco gioca sotto lo sguardo vigile della mamma. Cos’hai provato scoprendo che Pinocchio è molto più della favola letta ai bambini? È forse la storia del nostro desiderio di vivere che la mamma sotto l’ombrellone non può celare sotto la coltre delle illusioni?
Esattamente. Il difficile equilibrio tra il desiderio di controllo di un genitore e la spinta a conoscere di un bambino è un tema senza tempo e Collodi l’ha declinato in modo spassoso e feroce. Nella storia di Pinocchio le uniche stasi ci sono quando il burattino è ubbidiente, come se rispettare le regole fosse intrinsecamente noioso e non portasse a nessuna nuova esperienza. Con l’ubbidienza non si cresce. Per questo chiudo il racconto augurando al bambino dell’ombrellone a fianco al mio di riuscire prima o poi a scardinare le maglie dell’educazione proposta da sua madre. La sua vita comincerà solo a quel punto.
Qual è il racconto a cui sei più legato?
Oltre al già citato racconto su Pinocchio, dico Leonardo, quello che più mi sono divertito a scrivere (il divertimento è sempre uno strumento attendibile per misurare quanto funziona la mia scrittura). Lo spunto è il progetto di fuga via cielo di due bambini che vogliono replicare uno degli alianti progettati da Leonardo per decollare dalle dune di una pista da motocross. Leonardo a cinquant’anni ancora perseguiva il sogno del volo e continuava a immaginare macchine sensazionali che permettessero all’uomo di farlo: mi è sembrato un dettaglio irresistibile e l’ho calato sui propositi di due under 11 pasticcioni.
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