Storia di un corpo: l’io oltre lo specchio
“Ebbene, io ti difenderò! Ti difenderò anche da me stesso! Ti farò i muscoli, ti fortificherò i nervi, mi occuperò di te ogni giorno, mi interesserò a tutto quello che senti.”
Lison, dopo la morte del padre, si vede consegnare in eredità un diario, non uno qualsiasi con gli avvenimenti di ogni giornata, ma qualcosa di più intimo e personale, un diario nel quale scriveva tutti gli episodi e i pensieri più importanti, strettamente legati al suo corpo, un diario fisico e umano, tenuto dal defunto genitore sin dall’età di dodici anni, da quando era scout e venne legato ad un albero dove lo assalì il terrore di essere divorato dalle formiche e giurò che “il mio diario sarà un ambasciatore tra la mente e il corpo. Sarà il traduttore delle mie sensazioni.”.
All’inizio era un ragazzino insicuro, pieno di paure e timori, con una madre insensibile, il padre morto e affidato ad una tata, unica sua fonte di sostegno, decise di andare alla conquista del suo corpo per riprendersi quella figura così estranea da far paura, che stava al di là dello specchio, attraverso l’adolescenza, la maturità, gli amori, la guerra fino a diventare l’uomo che era e arrivando all’ultimo capitolo, Agonia, ripercorrendo una vita passata, e quasi finita, mediante commuoventi ricordi e grandi pentimenti, ostacolati dalla malattia, e in un lento avvicinamento alla morte.
“Storia di un corpo” non narra una vita (infatti del protagonista non conosciamo nemmeno il nome), si limita ad interpretare le sensazioni e i segnali che il corpo prova e ci trasmette, ma che spesso non riusciamo a cogliere, rendendo oggetto di riflessione cose ritenute banali, come un mal di pancia, tanto naturali nella vita di ognuno quanto inusuali per un libro, in una sperimentazione innovativa e ben riuscita.
Una storia narrata dal corpo, grande protagonista, messo in primo piano al centro di una lunga esistenza e non più un semplice involucro e contenitore, ma veicolo di sensazioni. Non solo un racconto, ma una denuncia alla società nella quale il corpo non ci appartiene ma è solo un oggetto da esporre, da mettere in mostra su una vetrina, percepito solo attraverso la vista, ma non ascoltato, e dove “Tutti i corpi sono abbandonati negli armadi a specchio”.
Daniel Pennac riesce a parlare di ogni aspetto del corpo, senza tralasciare nulla, nemmeno le cose che più ci disgustano, con grande naturalezza e senza inutili vergogne, senza volgarità, restituendogli la dovuta importanza. Egli ricorda che non siamo solo mente, ma anche corpo.
Vanessa Pezzotto, 3Eu