“La Città dei ragazzi”: il viaggio in Marocco di chi ce l’ha fatta

LaCittaDeiRagazziE’ un libro che cattura, scaraventa il lettore in una realtà difficile: la vita di alcuni ragazzi stranieri figli della povertà e della guerra, che riescono a sfidare l’impossibile e, quasi grazie ad un miracolo, sono arrivati qui, nella Città dei ragazzi, conquistando forse il gradino più alto: la vita, in cui la cosa strana è che se non vieni accettato da nessuno, rimani isolato. Ma questo non è il loro caso.
Il romanzo racconta il viaggio in Marocco dello scrittore con Omar e Faris per ritrovare le loro famiglie. Un viaggio che metterà in luce la povertà dei due ragazzi, le condizioni di disagio che li hanno portati in Italia. Affinati rappresenta l’unico punto fermo delle loro vite travagliate attraverso  l’educazione che è intesa come un cambiamento per l’individuo. Egli li ha accompagnati alla ricerca delle loro radici.
L’autore parla del rapporto burrascoso con il padre e frammenta storie di giovani immigrati illegalmente, distinti dalle loro particolari personalità.
In questo romanzo vengono messi in luce i valori della famiglia, del ruolo del maestro che per i ragazzi è Eraldo Affinati, della figura paterna, dell’insegnamento, e ci domanda cosa sia più importante tra il rimanere ancorati alle proprie origini e al passato o l’iniziare una nuova vita migliore e diversa.
Quale di queste tematiche è per lei la più importante?
Direi che il tema prevalente potrebbe essere quello delle radici spezzate. I ragazzi che vengono da altri mondi sono costretti a vivere coi piedi in due staffe: la cultura da cui provengono e la nostra. In più c’è il trauma che hanno vissuto. Infine la potenza del viaggio da loro compiuto. Ma queste tematiche sono filtrate dalla storia, altrettanto difficile, del narratore, il quale si rispecchia nelle vicende dei suoi studenti fino al punto di riconoscersi in loro.
I suoi studenti sono solo i protagonisti di questo libro o ne sono stati anche i primi lettori?
Alcuni di loro, come avete visto, hanno anche scritto delle parti del libro. Quando il romanzo venne pubblicato non erano ancora in grado di leggerlo. Lo hanno fatto negli anni successivi. Ancora oggi qualcuno mi telefona per dirmi di essersi riconosciuto in questo e quel personaggio e mi racconta la sua vita.
eraldo_affinatiQuale storia dei ragazzi si avvicina di più alla sua storia personale?
Nessuna in particolare ma tutte hanno un punto in comune nel quale mi riconosco: la solitudine adolescenziale. Loro spesso sono orfani ed io sono figlio di due orfani: mia madre a diciassette anni fuggì a Udine da un treno che la stava conducendo nel lager; mio padre non conobbe mai suo padre e vide morire sua madre quando aveva dodici anni. Entrambi non avevano studiato e non possedevano le parole per raccontare a se stessi – prima ancora che a me e mio fratello – ciò che avevano vissuto. Sono stato io a farlo. Per questa ragione sono diventato uno scrittore e un insegnante.
Il viaggio in Marocco è legato al tentativo di aiutare Omar e Faris a ritrovare le loro famiglie. Il motivo del viaggio è solo legato al desiderio di scoprire le proprie origini o è stato condizionato anche da altri fattori?
E’ stata una sfida nata in classe quando io chiedevo notizie su di loro. A un certo punto Omar e Faris mi hanno detto: visto che sei così interessato, perché non ci riaccompagni a casa? Ed io ho accettato questa richiesta. Mi sono fidato di loro così come loro si sono fidati di me. Io voglio sempre toccare con mano, non mi accontento delle teorie, a costo di bruciarmi le dita.
Cosa l’ha spinta a continuare a insegnare nella Città dei Ragazzi?
E’ come se volessi risarcire mio padre di quello che lui non ebbe la fortuna di avere. Alla vostra età dormiva sotto i ponti di Roma. E poi c’è anche qualcosa di inspiegabile: ogni volta che entro in aula mi esalto come se rivedessi me stesso nei ragazzi che ho di fronte.
Vorrei che loro si ricordassero per sempre di me. Anche adesso che sto rispondendo a voi, provo la stessa emozione. Non vi conosco, ma è come se vi sentissi miei amici, forse perché so che, avendo letto il mio libro, voi conoscete me. Siete entrati nel midollo spinale di Eraldo Affinati. Se la letteratura non è questo, secondo me non è niente.
Quali doti deve avere un insegnante per rapportarsi con realtà così problematiche e diverse? In che misura l’insegnante deve anche saper cogliere dai ragazzi quelle esperienze che possono metterlo in discussione?
In realtà non esistono doti speciali per essere un insegnante. Ognuno può realizzare in forma diversa una relazione umana efficace. Uno può essere severo, un altro indulgente, i metodi possono variare. Magari uno che sulla carta avrebbe tutte le doti, alla fine non funziona e un altro, apparentemente inadeguato, trova un modo per comunicare. L’importante è l’autenticità con la quale ti presenti. 
Certo, essere soltanto se stesso non basta, ma è una buona partenza. L’insegnante si deve mettere sempre in discussione, ora per ora. Gli studenti lo obbligano a farlo. Se tu non ascolti la tua classe, se non ti fai trafiggere dagli studenti, sei destinato a perdere. Vi assicuro: è il mestiere più bello del mondo, ma bisogna sentirlo proprio.
L’esperienza del viaggio in Marocco l’ha messa di fronte a una cultura e una realtà assai diverse e inaspettate rispetto a quella italiana. Com’è stato tornare a casa? Come ha guardato il suo mondo dopo tale esperienza?
Ho apprezzato tante cose che noi tendiamo a sottovalutare. Ve le dico in sintesi: la qualità del silenzio; la fratellanza umana; il rispetto della tradizione; la sensibilità religiosa; il sapersi accontentare. E poi in fondo la cosa che mi rimane di più è l’amicizia che ho intrecciato coi padri dei miei due studenti. In pochi giorni sono entrato nei loro mondi interiori. In Italia non mi era mai successo. Cioè mi succede soltanto con gli adolescenti.

Vi ringrazio di cuore di queste domande. Spero che possiate leggere altri miei libri. In questo momento sto scrivendo un libro (piccolo) sulla scuola a partire dalla mia esperienza autobiografica. Dovrebbe uscire a settembre-ottobre 2013. Quest’estate sono stato in Gambia, dove ho ritrovato la madre di Khaliq (ricordate l’ultima lettera della “Città dei Ragazzi”?): anche da questa esperienza nascerà un altro romanzo… Un abbraccio e buone feste! Raldo

L’intervista è curata dalla 3Eu

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