La brillante intuizione di Francesco Maria Tipaldi

 

Con questa recensione il Gruppo poesia Leomajor ha vinto il premio per la miglior recensione al Premio Castello di Villalta Giovani 2017.

La poesia di Tipaldi è nuova per l’elemento di sorpresa che sempre fluidifica la spaccatura fra le immagini ed extraterrestre nel demolire – ribaltandolo – ogni archetipo. Il titolo lascia subito intendere lo scarto intuitivo che è il cuore di ogni poesia, e già da Opera del rapimento catapulta il lettore nel labirinto privo di punti cardinali dell’universo energico e personalissimo del poeta.

La raccolta è divisa in tre sezioni: le prime due si muovono nella direzione di scomposizione dell’uomo nelle sue parti e bisogni, per poi ricomporlo a tasselli nell’ultima sezione. Il lettore è volutamente spiazzato e messo al muro, ma sempre con l’idea di ferirlo per aiutarlo a respirare.

Protagonisti absoluti dell’opera di Tipaldi sono uomini e dei: dei dionisiaci, pregni di carnalità e al contempo di ripugnanza verso di essa. Essi appaiono come cadaveri nel letto di un fiume di cui ormai hanno consumato l’energia. L’appello al trascendente echeggia come vano, la reale natura del mondo è dubbia e meccanica; quando la creatura torna alle radici di un caotico male, però, scopre un assopito richiamo ad un primitivo Dio, il quale si identifica in un primo momento col poeta stesso.

Ma l’entropica azione nutritiva che anima l’intera raccolta non lascia spazio ad alcuna ragione religiosa: l’appendice del mostro è sacrificio che si autoalimenta, qualunque intento finalistico viene stroncato nel nome di uno pseudonichilismo. Il termine nuova presente nel titolo presagisce una rifondazione di realtà, non inesistente, che il profetico narratore propone contro vecchi schemi dell’uomo antico e moderno.

L’osservazione, spiazzante nella sua semplicità, di Francesco Maria Tipaldi è che l’uomo non è adatto al mondo dell’uomo. Le strutture lo hanno imprigionato, come un gigante nell’olio, evolvendosi troppo in fretta e lasciandolo indietro. A partire da questa deduzione il poeta si muove verso una ricostruzione progressiva dell’essere umano, rivalutando i suoi bisogni, la aspirazione-negazione della fertilità.

Dallo smembramento delle certezze umane, si arriva nell’ultima poesia, Eden, ad una parziale ricostruzione, un Adamo spontaneo ed appagato.

Con questa operazione Tipaldi ci mostra, forse solo in modo marginale, che la felicità non è, come ci piacerebbe credere, un fattore interno né, altra comoda ammissione, una questione ambientale, ma riguarda piuttosto l’armonia tra uomo e fattori antropici.

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