“Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati (Gabriele Netto)

Inizierei con il dire che questo libro non ha né un inizio, né una fine, non racconta una storia e nemmeno ci prova. Questo libro è una metafora, tiene sospeso il lettore e non lo molla neanche dopo aver letto l’ultima pagina; perché ancora adesso che ne sto scrivendo, mi sembra di averlo in mano. La vita è l’argomento cardine: non solo “alla Forrest Gump” (“la vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”) e quindi intesa come un insieme di tutte quelle esperienze, dalla nascita alla morte, che ci rendono ciò che siamo, ma ha anche un senso più diretto, ma allo stesso tempo più difficile da cogliere, cioè quello di non lasciare vuota, e quindi di non sprecare, la vita di tutti i giorni.

Giovanni Drogo è un sottotenente di un non meglio specificato corpo, mandato a sorvegliare un confine presso la Fortezza Bastiani. Non è chiaro il perché di questo, infatti la Fortezza sorge alla fine di una lunga vallata e all’inizio di un grande pianoro, più simile a un deserto che a un ambiente montano; in questo deserto, si dice, vivevano una volta i Tartari, ma ora non dà segni di vita particolari. Tuttavia, questo luogo è sorvegliato, poiché, sempre si dice, un giorno potrebbe scatenarsi una guerra e in tal caso quello ne diverrà un luogo strategico.

Fin da subito però il narratore fa intendere al lettore che questo non avverrà mai e che la Fortezza Bastiani non è altro che una “prigione camuffata” per tutti i soldati che danno noie.

L’ambiente in cui si svolge il tutto (e il niente) è surreale; non che contenga elementi fantastici, però nel suo insieme non par vero. Il luogo è arido, e porta ad annoiarsi, lontano da tutto e da tutti, privo di svaghi. Tuttavia, chi non decide di andare via dopo pochi mesi, ci rimarrà per tutta la vita, quasi in preda a un incantesimo ed è questo che accade al sottotenente Drogo che all’inizio pare dare di matto per la noia, poi, in qualche modo, rimane stregato dal luogo e ne diventa dipendente, disprezzando la sua vita precedente senza la Fortezza.

Quindi il protagonista finisce per dedicare la sua vita alla Fortezza, qualsiasi cosa faccia è dedicata a questa e si ritrova ben presto immerso in un gruppo di persone, che, a loro volta, senza nemmeno accorgersene, dedicano la propria vita alla Fortezza. Tutti lì credono, o forse, sperano, che, un giorno, la Fortezza verrà a servire a uno scopo.

L’autore si dimostra particolarmente abile a far nascere una sensazione di angoscia, che man mano che le pagine scorrono, aumenta sempre di più; questo avviene un po’ perché il lettore si rende conto delle scelte sbagliate del protagonista, un po’ perché anche chi legge finisce per essere maledetto dalla Fortezza e ne diventa dipendente. Infatti, nelle ultime pagine del libro, quando il protagonista lascia (probabilmente per sempre) la Fortezza un po’ gli dispiace, e non solo a lui.

Ma tornando al significato della storia, chi è Giovanni Drogo? Cosa rappresenta la Fortezza Bastiani, cosa rappresenta il Deserto dei Tartari e cosa rappresenta l’esercito, che, infine, attacca la Fortezza?

Andiamo con ordine. Innanzitutto, Giovanni Drogo non viene descritto in alcun modo, non viene detto se sia alto o basso, magro o grasso, non ci viene detto di che colore abbia i capelli o gli occhi, quanto sia scura (o chiara) la sua pelle; è senza un’identità, quindi, può rappresentare chiunque di noi, diciamo che il lettore quindi riesce, oltre a immaginare cosa pensa il protagonista, ad essere il protagonista. E la Fortezza cos’è? Amica o nemica del protagonista? In un certo senso essa si potrebbe considerare come un rifugio, un luogo di protezione, dove tutto è conosciuto e immutabile, dove i merli rotti non vengono riparati e le macchie nerastre provocate dai rivoli d’acqua rimangono sempre immutabili. Ma la seconda risposta, più interessante, smentisce la prima, e cito testualmente il testo: e allora gli parve di vedere le mura giallastre levarsi altissime verso il cielo di cristallo e sopra di esse, al di là, ancora più alte, solitarie torri, muraglioni a sghembo coronati di neve, aerei spalti e fortini, che non aveva mai notato primaed ecco allora che la cosa si fa interessante perché la Fortezza, apparentemente conosciuta in ogni suo aspetto diventa invece piena di insidie, che però in fondo, attraggono anche il lettore.

Ma ecco che forse né la prima, né la seconda risposta sono corrette, perché altrimenti che senso avrebbe il Deserto dei Tartari, che pare infinito e finito allo stesso tempo. Infatti, nessuno alla Fortezza è mai arrivato al capo opposto, nessuno ne ha mai visto la fine; tuttavia, ecco che i nemici del regno del Nord vengono dal Deserto, ma non è che nel deserto ci abitino, vengono da oltre.

La Fortezza con i suoi vecchi equipaggiamenti e con le sottili mura non può niente contro i cannoni dei nemici, quindi non è un rifugio, ma allo stesso tempo è ciò che più ci assomiglia. La città è vista con disprezzo perché “facile e comoda”. Le alte vette, invece, che circondano la vallata delimitano altri confini, oltre i quali nessuno ha mai osato spingersi.

Infine, l’esercito nemico cosa rappresenta, la morte o la rinascita? Allora, vedendo questa cosa dal punto di vista di Drogo, questo rappresenta una rinascita, poiché dopo trent’anni di attesa, trova una ragione per essersi arruolato, e per aver passato migliaia di giorni rinchiuso tra quattro mura, a controllare e a fare i turni di guardia. Ma ecco neanche a dirlo, l’imprevisto finale; infatti Drogo, malato, prossimo probabilmente alla morte, non riuscirà a partecipare alla battaglia, non la vedrà nemmeno, poiché cacciato dalla Fortezza (date le sue condizioni).

Allora è chiaro, la vita è la storia, Drogo ha passato migliaia e migliaia di giorni senza trovare nulla di speciale da fare, ha spento il cervello e ha lasciato che questo lo invecchiasse e lo facesse morire (almeno interiormente) a soli sessant’anni, anche se a quell’età ha raggiunto solo il fondo, la discesa è stata lenta ma costante. Il significato quindi è che nessuno deve arrivare mai a dover aspettare la guerra finale, nessuno si deve limitare a ciò che vede, ma deve scalare le vette e andare oltre il deserto, non fossilizzarsi in una situazione, ma immaginare il luogo oltre le vette, oltre le quali, ovviamente, ci saranno altre vette che ognuno deve scalare a sua volta.

Gabriele Netto

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