«Fatalità vuol dire che una cosa succede e basta, e non ci puoi far niente»

La colpaTre strade nere, parallele, che si incontrano in un punto, un punto bianco che rappresenta la salvezza. È il punto “ospedale” in cui vengono finalmente cucite le ferite.
Alcuni libri hanno il potere di sembrare reali: costruiscono un mondo dentro al lettore. Questo è uno di quei libri, con la particolarità di presentare una realtà che esiste davvero. L’inchiostro fa vivere i personaggi, le parole donano loro un’anima palpabile. Quando accade è inevitabile vivere con loro, vivere di loro, provare emozioni, piangere, innamorarsi. Questi libri magici creano un mondo che non vogliamo svanisca. Perciò è una sofferenza leggere l’ultima parola, perché spegne la realtà creata riportandoci alla vita di sempre. Tuttavia rimane accesa una luce nella nostra mente, dove sappiamo che il libro continua a vivere. Vorrei leggerlo, rileggerlo e rileggerlo ancora, per tenere viva la luce anche davanti ai miei occhi, per non far morire la storia, per convincermi che Martino, Estefan e Greta esistono davvero, sono miei amici e tutto il male e il dolore che negli anni hanno preso le sembianze di un “cane nero” siano stati cancellati nel momento in cui le strade si sono incrociate e sono diventate un’unica grande strada.
La carta racchiude un grido disperato di tre bambini, che non hanno avuto un’infanzia comune, felice e tranquilla, ma piuttosto traumatica. Ma è stata una fatalità.
“Non si può essere bambini se non te lo concedono”.
Lorenza Ghinelli scrive in modo chiaro, diretto, in un linguaggio che colpisce e attira in particolar modo gli adolescenti.
“La colpa” è un libro che fa pensare, si intrufola negli angoli più nascosti della mente, attraverso labirinti fatti di immagini nere e dolorose, smuove la polvere e scrosta piano piano il nero, facendoci aprire gli occhi.
Leggendo capiamo che una persona è quello che è grazie al suo passato, e non sappiamo cos’abbia vissuto per diventare così. Quindi non dobbiamo essere superficiali, ma scavare a fondo, togliere la polvere e aiutare gli altri a scrostare il loro e il nostro nero.
I ricordi possono essere dolorosi, soprattutto se ci si è sedati con il “Gioco del Se”, e possiamo nasconderli bene con un muro fatto di quintali di vita, ma prima o poi esplodono, escono con una furia pazzesca. Talvolta degli incontri inaspettati fanno sì che questo accada, che il “cane nero” si tramuti in un urlo impetuoso che quando esce alleggerisce l’anima.
“L’uno nel cuore dell’altra abbiamo costruito casa”.

Linda De Santi

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