Un eterno dipinto. “Luce d’Estate ed è subito notte” di Jón Kalman Stefánsson
Fino ad ora non mi ero mai soffermata a pensare quanto fosse più facile recensire un libro brutto rispetto ad uno bello. Rendere giustizia a un bel libro, senza banalizzarlo, e a tutte le emozioni che è riuscito a trasmettere, è molto più complesso che massacrarlo.
Perché viviamo? Questa è la domanda che si deposita su ogni pagina del libro di Stefánsson, palesata dalla voce dei protagonisti, o inespressa, ma chiaramente percepibile. È uno dei quesiti che vengono formulati più spesso e, in un paesino islandese di all’incirca quattrocento anime, questo interrogativo attraversa le vite dei tanti abitanti che, descritti dall’autore con precise pennellate, vanno a formare un quadro che fa si che il piccolo centro abitato, pagina dopo pagina, prenda vita e colore sotto gli occhi e nella mente del lettore.
Il romanzo non ha una trama, non ha un inizio e una fine precisa. È fatto di tante piccole storie, dalle tante piccole vite degli abitanti del paese, in cui giorni, settimane, mesi e anni si susseguono senza sosta, dove viene buio presto e l’inverno non lascia scampo. Un paesino in cui si potrebbe pensare non succeda mai niente che meriti di essere raccontato, soprattutto dopo che il Maglificio ha chiuso e di lavoro sembra non essercene più. Eppure, se si guarda bene a fondo, ognuno degli abitanti ha una sua storia, più o meno intensa, più o meno triste, che merita di essere letta e raccontata. La storia di Agústa che lavora all’ufficio postale e intrufola le sue mani come un segugio tra i pacchetti postali, per esempio. La storia del vecchio direttore del Maglificio, che sogna in latino e abbandona la sua attività lavorativa e la famiglia per dedicarsi allo studio degli astri, e quella di chi sogna e si accorge di non riuscire a contare le proprie lacrime. La storia di ragazzi che vorrebbero inseguire ciò che li rende felici e altri che camminano sulle orme paterne per senso del dovere, inciampando nell’infelicità. Quella d’amore, tra Mathias ed Elisabeth e tra Benedikt e la donna dalla valigia marrone, o quella di tradimento, tra Asdis e Kajartan. Ogni abitante ha una storia da raccontare e Stefánsson è davvero molto bravo a mescolare insieme i colori dell’ironia, tristezza, amore, dolcezza, amicizia e dolore e a stenderli sulla tela.
È un romanzo corale perché la voce di uno lascia spazio a quella dell’altro, perché le vite dei personaggi sono così intimamente legate le une alle altre che è inevitabile il movimento fluttuante che ci accompagna da un’abitazione all’altra. Ogni nuovo capitolo aggiunge una nuova storia, un nuovo personaggio, una nuova abitazione al mosaico intrecciato, tanto che alla fine si ha la sensazione di conoscere i protagonisti uno per uno, di custodirne i segreti e le speranze vane. Si capiscono i loro problemi, i loro bisogni e si arriva a delineare la ricerca costante di qualcosa di effimero da parte della specie umana. “Parliamo, scriviamo, raccontiamo di piccole e grandi cose per cercare di capire, di arrivare a qualcosa, di afferrare l’essenza che però si allontana sempre più come un arcobaleno.” (pag. 159)
Lo stile narrativo non è quello di un romanzo classico con un incipit, una parte centrale e una finale. Neanche quello di una poesia; è una raccolta di pensieri scritta in maniera poetica, delicata alcune volte, brutale e cruda in altri momenti. In questo modo Stefánsson non racconta solo storie di persone, sta anche spogliando ogni aspetto della vita dell’uomo, recitando al contempo una lunga, avvincente poesia.
Può sembrare una storia semplice, all’apparenza banale, eppure è incredibilmente reale e, per questo, ancor più profonda. Fa ridere e commuovere, gioire e star male, fa sentire quelle sensazioni che tutti provano nella propria vita, ogni giorno, di fronte a grandi, ma soprattutto piccole, cose. Sono quest’ultime quelle che illuminano le nostre giornate, prima di lasciarci di nuovo nel buio. È forse questo continuo andamento ciclico di felicità e tristezza il motivo per cui viviamo?
Per amare e comprendere questo libro bisogna avere tempo per assaporarselo lentamente, senza aver fretta di arrivare al dunque, perché un dunque non c’è. Chi vuole una storia con un inizio e una fine non la troverà; ma il consiglio migliore è quello di leggerlo, di leggere quel lungo filo di parole che si srotola lungo tutte le pagine creando una magia che solo chi ha letto le frasi di Stefánsson può capire.
Perché viviamo? Tutti ci siamo posti questa domanda qualche volta e se in Luce d’estate ed è subito notte non troveremo una risposta definitiva, troveremo di sicuro tanti motivi per cui vale la pena farlo.
Frase preferita
“Nessuno pare avere il coraggio di rimanere nel Magazzino dopo che scende la sera, in questo senso ne abbiamo ancora di strada da fare per vincere le tenebre – che siano dentro di noi, sotto di noi o fuori.” (pag.199)
Tutte le citazioni sono tratte dal libro Luce d’Estate ed è subito notte di Jón Kalman Stefánsson, pubblicato da Iperborea – Milano nel 2013 e tradotto da Silvia Cosimini.
Franco Luna