Aristotele e la favola dei due corvi bianchi
Margaret Anne Doody è una scrittrice canadese, insegna alla Notre Dame University come professore di letteratura comparata. Autrice di saggi critici, un giorno, come lei stessa ricorda “stavo leggendo la “Retorica” di Aristotele e sono rimasta colpita dai suoi ragionamenti, questo filosofo, mi sono detta, per conoscere gli uomini e le cose usa la freddezza, da tempo adoravo la sua passione per i particolari, per gli animali e la scienza. La sua logica aveva qualcosa del metodo deduttivo di Sherlock Holmes. Mi è venuta voglia allora di un romanzo in cui Aristotele facesse la parte di Holmes e un po’ quella di Nero Wolfe, siccome non ne ho trovati in tre settimane ne ho incominciato a scrivere uno io.” Da tutto ciò è nato “Aristotele detective”. Era il 1978. Nel 1980 seguì un piccolo racconto, “Aristotele e il giavellotto fatale”, poi più nulla per vent’anni, quando in Italia fu edita da Sellerio. Da allora sono usciti cinque romanzi e due racconti brevi, in cui Aristotele investigatore per caso usa la sua sterminata dottrina non solo concettualmente ma applicandola all’esperienza, alla vita reale, per sciogliere nodi, dipanare crimini all’apparenza insolvibili. Lo accompagna sempre il giovane Stefanos che racconta in prima persona le vicende, è un ex studente svogliato del liceo aristotelico. Ogni libro è un modo per “spiegare” un pezzo del pensiero aristotelico calandolo in un originale situazione narrativa. La scrittrice vuole intrattenere, appassionare, ma allo stesso tempo spiegare ed educare.
In “Aristotele e la favola dei due corvi bianchi”, l’argomento di base è la polis. In varie giornate Aristotele racconta ai suoi studenti e a Stefanos una favola che parla di due corvi bianchi e un tesoro. Il procedere del racconto si intreccia col la storia di due cugini, Caronide e Simmaco in lotta fra loro a causa dell’eredità di una donna, la moglie di Caronide e con la missione di Stefanos e Aristotele all’isola di Idra dove devono scoprire, incaricati dal governo di Atene, un caso di corruzione e di evasione dalle tasse. Da questa vicenda si arriva quasi ad un omicidio sventato da Aristotele e Stefanos. Così il filosofo finisce la storia dei due corvi bianchi che rappresentano “il possesso irrazionale, il tenere tutto per sè invece che condividere” e “Caronide e Simmaco sono presi dalla smania di proteggere il loro patrimonio dagli altri e di sottrarsi dalla condivisione …. Se ci isoliamo dalla comunità danneggiamo essa e noi stessi. Perché la polis non garantisce solo la sopravvivenza …. La città in realtà esiste perché ci consente di concepire grandi ideali e per conoscere e compiere nobili azioni (Aristotele – dal testo)”. Questa concezione del fine nobile della politica, espressa dal filosofo nella “Politica” non è un concetto astratto e oramai superato, ma invece una visione serena e illuminante, vitale attraverso il tempo, tanto che proprio oggi nei tempi travagliati in cui viviamo il concetto di buona politica, bene comune, comunanza di ideali è più che mai attuale e un esortazione a lavorare insieme per un fine comune.
Alberto Rosso